martedì 22 dicembre 2015

Il senzatetto più famoso del web


Ieri ho visto un’intervista di Fabio Fazio a Richard Gere, andata in onda domenica scorsa. Parliamo di un attore famosissimo che quasi alla soglia dei settant’anni ha fascino da vendere a molti altri. Ma non è di questo che voglio parlare. Mi interessava sentire ciò che aveva da dire un uomo che pratica buddismo da molti anni, particolarmente vicino al Dali Lama e, cosa che non sapevo, sostiene da molti anni Survival International. Si tratta di un’organizzazione che difende i diritti umani dei popoli indigeni e tribali nonché il loro habitat da qualsiasi forma di persecuzione o razzismo. Mi sembrano ottimi motivi per rimanere ad ascoltare quanto ha da rispondere alle domande di Fazio.

Rispetto agli attentati di Parigi dice che i cattivi sono pur sempre persone e che si possono redimere, e che noi, ipoteticamente buoni, dovremmo saperli perdonare. A questo punto cita concetti di un certo peso quali la compassione e l'empatia. La prima è un sentimento di sofferta partecipazione ai mali altrui, mentre la seconda è il processo psicologico per cui ci si identifica con un'altra persona riuscendo a condividerne le emozioni. Qui metto in pausa il video e mi fermo a riflettere. 

Penso che se ogni essere umano possedesse queste che hanno tutta l'aria di essere delle virtù degne di santificazione, beh allora vivremmo su un pianeta che non è l'attuale. Se parliamo di perdono allora diventa ancor più difficile quando si devono fare i conti con un amico o un familiare perso a causa di una furia omicida all'apparenza senza spiegazione. Però penso che se un buddista praticante come lui, parla in questi termini probabilmente si tratta solo di esercizio, meditazione, concentrazione e alla fine si può arrivare ad essere, se non all'apice della perfezione, almeno degno di continuare ad occupare un posto su questa terra. 

A questo punto avrei voglia di togliermi tanti dubbi ed invece mi tocca subire l'accostamento di due fotografie, il Dalai Lama e il Papa, e la necessaria domanda di Fazio su cosa possano avere in comune i due.  

Richard, costretto a rispondere, dice che senz'altro vogliono entrambi la felicità degli altri prima che la propria, anzi in realtà non parlano per loro stessi perché non sono degli egocentrici. Alla voce egocentrismo il dizionario mi risponde: "Tendenza a porre se stessi al centro di tutto, subordinando ogni cosa al proprio interesse personale, alla propria volontà e ambizione" praticamente i cardini su cui è fondata l'esistenza di gran parte dell'umanità. 

Forse qualcuno penserà che esagero, però subito dopo Fazio diffonde la foto di Richard acconciato da barbone per un film e lui ammette che in 45 minuti in cui era circondato da tantissime persone, nessuno lo ha riconosciuto, neanche degnato di uno sguardo più approfondito. Insomma ce n'è da fare tra meditazione, riflessione, lavoro su noi stessi per migliorarci e rendere questo un posto migliore dove vivere. 

Però su web l'abbiamo degnato ben più che di qualche occhiata visto che la foto ha ottenuto 85 milioni di visualizzazioni. Forse su in rete la bontà per esprimersi non ha bisogno di laboriosi processi mentali, scorre veloce e senza intoppi. Qualche click e siamo tutti assolti, almeno secondo la nostra personale coscienza, perché il buon Dio potrebbe non essere del tutto d'accordo. 

Ma Gere, l'affascinante Richard, dice che lui i social non li frequenta ed io mi chiedo perché un uomo di tali vedute si debba tenere tutto questo sapere per sé. Forse ancora non sa che i click sono più miracolosi di qualsiasi insegnamento parlato. 

Alla fine di tutto penso che è una bella persona, in tutti i sensi e con un click stoppo il video.


giovedì 17 dicembre 2015

TransAmerica



                                                          Il testo contiene spoiler

Un altro film on the road. Un altro viaggio verso la scoperta di un nuovo sé stesso, verso una nuova identità sessuale e non solo. Deve anche immedesimarsi, suo malgrado, nel suo nuovo ruolo di genitore che non sapeva di essere. Bree, la protagonista, guarda al futuro con la speranza di chi vede avvicinare la concreta possibilità di esprimere veramente sé stessi, di amarsi, di amare realmente, essere felici insomma. 

Ma deve fare i conti con un passato che torna, portando i nodi di un amore sbagliato, l’unico amore etero della sua vita. Se nodi possiamo definirli, visto che parliamo di un figlio di cui non conosce nemmeno l’esistenza e che almeno apparentemente rappresenta un ostacolo per il suo nuovo futuro come donna. 

Toby, il figlio in crisi di astinenza da droghe e da affetto, avrebbe davvero bisogno di suo padre, anche se questo si rivelasse una donna mancata. La cosa che più stupisce Bree è scoprire di sentire un enorme vuoto nella sua vita, proprio nel momento in cui diventa una lei. Ha conquistato finalmente la sua giusta identità, ma ha perso suo figlio, sconvolto da una pesante verità. 

E se due persone che hanno bisogno l’una dell’altra, prima se ne rendono conto e poi si trovano, è davvero festa grande. Perlomeno è così che dovrebbero terminare tutte le storie.

Toby, il figlio inconsapevole rivolto a Bree: “Perché mi hai fatto uscire di galera? Eri venuta a chiedere chi aveva bisogno di aiuto?”  Beh, vaff… non ho mai sentito di una Chiesa di trans!”

“Così pensi che io non abbia il diritto di appartenere a una Chiesa?” gli risponde Bree con fermezza. “Il mio corpo forse è in corso d’opera, però la mia anima non lo è di sicuro. Gesù mi ha fatto così per una ragione, perché io soffrissi e rinascessi come ha fatto lui.”

I genitori di Stanley quando lo rivedono dopo la sua trasformazione fisica in Bree: “…senti ci serve solo un po’ di tempo, noi ti amiamo, ma…” Interviene la madre: ”… non ti rispettiamo. Non capirò mai perché mi stai facendo questo!”   

Bree esasperato: “Non ti sto facendo niente, ho una disforia di genere. È un disturbo genetico.”  

“Non dare la colpa a tuo padre e a me di questo!”

Amareggiato per il comportamento dei genitori, Bree si confida con Toby: “Vorrei soltanto che una volta mi guardassero e vedessero me, tutto qui. Che mi vedessero veramente…”

“Ti trovo sexy Bree, cioè… io credo di vederti” le rivela il ragazzo, lasciandola senza parole.


domenica 13 dicembre 2015

Ora tocca a noi preoccuparcene


È terminata la Conferenza sul clima ed io ho appena finito di leggere un articolo su Le Scienze, edizione italiana dell’autorevole Scientific American, riguardo al clima. Non ci sono dubbi: gli scettici, coloro che temporeggiano, i cauti fino all’eccesso, dovranno ricredersi, perché i dati dai quali emerge che il riscaldamento globale è causato dalle attività dell’uomo sono basati da diverse induzioni che convergono una sull’altra. 

Partendo dalla meteorologia passando per l’oceanografia tutte le prove confluiscono su un unico colpevole: l’uomo e le sue attività. Sono stati presi in considerazione diversi elementi tra i quali lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento dei livelli del mare e tutti i dati estrapolati danno origine ad un’unica teoria. 

Ma ci sono studiosi che dicono che l’aumento della temperatura non è colpa dell’uomo? il 3 per cento del totale degli studi sul cambiamento climatico dicono che non è così, ma hanno presentato diversi errori e non sono riusciti a convergere su nulla.
Una volta dimostrato che la colpa di questo sfacelo climatico è nostra, c’è da chiedersi cosa possiamo anzi dobbiamo fare. 

Perché il punto è anche questo, non dobbiamo sentirci impegnati a farlo come se fosse un compito di scuola. Non stiamo facendo un favore a nessuno in particolare, se non a noi stessi e alle generazioni future, delle quali, almeno a parole, dimostriamo di tenere più di ogni altra cosa. Ci sono un bel po’ di stili di vita da modificare e rendere compatibili con la sopravvivenza della specie umana sulla Terra. 

L’uso dell’automobile su tutto. Non ci possiamo permettere di abusarne, per fare piccoli spostamenti, per accompagnare il figlio alla scuola che dista qualche centinaio di passi dall’abitazione, per sostituire sempre e comunque il pullman o il treno. Purtroppo la rete dei trasporti pubblici in Italia non è efficiente, lo sappiamo. Ma quello che ci troviamo a fronteggiare è un problema serio e tutti i problemi di una certa portata comportano soluzioni impegnative. E comunque non basterebbe. 

Dovremmo ottimizzare i consumi di energia anche nelle nostre case, evitare gli sprechi e convertire il consumismo eccessivo in acquisto ponderato, per esempio non cambiando gli oggetti anche quando sono perfettamente funzionanti. Produrre un cellulare ha un costo ecologico altissimo, quindi inquina e molto. Ricordiamocelo ogni volta che per capriccio decideremo di acquistarne uno nuovo. 

A meno che qualche alieno impietosito non deciderà di venire a salvarla, la Terra e quindi il nostro futuro è solo nelle nostre mani. 

Link alla notizia su Le Scienze


giovedì 10 dicembre 2015

Signora, se non cederà il suo posto, sarò costretto a chiamare la polizia...

Il bus continua la sua corsa, lenta ma regolare, verso le abitazioni dei suoi passeggeri. Una di loro, Rosa Parks, torna dal suo lavoro di sarta; i piedi stanchi e doloranti le ricordano impietosi la pesantezza della giornata. Le sembra di trovare un certo conforto nell’abbandonare senza remore il suo corpo su quel sedile. Il paesaggio continua a scorrere al di fuori del finestrino, mentre la stanchezza si attenua lentamente.  Sembra una serata come tutte le altre, ma quello che accadde di lì a breve, deviò grandemente l’andamento degli eventi futuri. 

L’autista ferma il pullman, si alza e si avvicina alla signora Rosa Parks: “Signora, non può occupare questo posto. Deve alzarsi, sono posti riservati…” indicando un signore che attendeva per prendere il suo posto. Siamo nell’anno 1955 e in Alabama vige la segregazione razziale. Rosa Parks, cittadina di colore deve cedere il proprio posto, ad un cittadino bianco, nel settore comune, quando sono terminati in quello a loro riservato. 

L’autista sta aspettando che lei si attenga alla legge, ma Rosa con un cenno del capo, breve ma deciso, si rifiuta, per poi voltarsi nuovamente verso il finestrino.
“Signora, non glielo chiederò una seconda volta, deve alzarsi subito. Se non lo farà, sono costretto a chiamare la polizia!”. Potrebbero essere stati proprio questi i dialoghi di quel 1° dicembre 1955, a Montgomery, perlomeno dalle fotografie scattate io li ho immaginati così. 

Come era prevedibile, Rosa da quel sedile non si alzerà, fino a quando i poliziotti non la preleveranno dall’autobus per portarla in carcere. La storia era già cambiata. Le proteste dei giorni successivi furono così pesanti ed estese che nel 1956 la Corte Suprema dichiarerà incostituzionale la segregazione sui pullman pubblici dell’Alabama. 

Il pastore Martin Luther King impegnato a decidere con la comunità afroamericana le azioni da intraprendere dopo il suo arresto, disse di lei: “l'espressione individuale di una bramosia infinita di dignità umana e libertà”.

Sono passati 60 anni da quel giorno e 10 da quando Rosa Parks ha lasciato questa Terra, e tutti noi continueremo a parlarne e a ricordare. Perché lei fa parte della categoria delle persone senza tempo, di coloro che mettono in gioco sé stessi quando la posta in gioco è altissima, di quelli che l’unica arma che imbracciano è il loro infinito, dignitoso, disarmante coraggio. 

Grazie Rosa Parks a nome di tutti quelli che come te credono nell’uguaglianza dei diritti, perché come disse Martin Luther King tu hai agito in nome di una “sconfinata aspirazione delle generazioni future.” 


domenica 6 dicembre 2015

Un serio problema che avanza nel disinteresse generale. Eppure...


Eppure, prima o poi, potremmo arrivare ad un punto di non ritorno. E non sarà meno pericoloso dell’autodistruzione che abbiamo deciso di avviare tramite le decapitazioni, i bombardamenti, le mitragliate ammazza folla e quanto di più altamente distruttivo ci verrà in mente di volta in volta. In questi casi la fantasia non ci manca e abbiamo anche sempre pronto più di qualche aguzzino che sfodera una soluzione in grado di mostrare la forza, a scapito di tante vite incolpevoli. 

C’è un problema di cui i giornali parlano solo in occasioni di catastrofi che non possono fare a meno di ignorare, e che la maggior parte delle persone tratta come una di quelle questioni fastidiose delle quali si può decidere di disinteressarsi. Questi giorni se ne sta discutendo a Parigi in una conferenza mondiale, di cosa è presto detto. 

La comunità scientifica si è espressa chiaramente nell’indicare che sarebbe il caso di non superare la soglia dei 2°C di riscaldamento rispetto all’epoca preindustriale.” A noi 2° in più o meno di temperatura sembra un niente, ma la natura è fatta di equilibri e le attività dell’uomo sulla Terra li sta rompendo forse per sempre. Gli impatti potrebbero essere molto pesanti e creerebbero una situazione da cui difficilmente potremmo tornare indietro, appunto.

Allora decido di farmi un giretto in rete alla difficile ricerca di notizie che possano darmi un’idea di quanto è grave la situazione. 
Cominciando proprio dall’Italia un articolo su Repubblica dice che “L’Italia è il Paese dell'Unione europea che segna il record del numero di morti prematuri rispetto alla normale aspettativa di vita per l'inquinamento dell'aria.” 

Passo poi al disastro ambientale avvenuto in questi giorni in Brasile “Più di 60 milioni di metri cubi di fanghi tossici provenienti da una miniera di ferro hanno raggiunto l’Oceano Atlantico nello stato di Espirito Santo. Migliaia di pesci sono già morti…

Piuttosto intimorita continuo la ricerca di informazioni che mi aiutino a delineare un quadro della situazione ed arrivo ad un articolo di Wired.it dove trovano conferma le mie impressioni sul disinteresse generale a questi fatti, mentre appunto viene data notizia di pesanti incendi in Indonesia “L’aria è talmente inquinata che bastano dieci giorni per ammalarsi, anche indossando una maschera anti-gas. Dite che ignoriamo tutto questo perché l’Indonesia è lontana? Eppure, pare siamo stati noi a provocare tutto questo, per far spazio alle merendine negli scaffali dei nostri supermercati, cioè per produrre olio di palma, e come denuncia Greenpeace sarebbero una ventina le multinazionali indagate.” 

Stremata arrivo all’articolo in cui si parla della Conferenza sul clima nella speranza che i Paesi del globo siano talmente allarmati da tale situazione che si attiveranno in maniera frenetica per cominciare a fare qualcosa, subito. Ed invece ognuno è preoccupato del proprio sviluppo economico e “…rischiamo di avere un accordo che comunque non consentirà di raggiungere l’obiettivo voluto e che, tra l’altro potrebbe risultare anche meno efficace se poi i singoli Stati, lasciati senza obblighi legalmente vincolanti, non faranno ciò che hanno promesso.

L’articolo di Antonello Passini conclude dicendo che l’unica vera soluzione verrà dalla consapevolezza ambientale dei singoli cittadini, gli unici in grado di adottare scelte virtuose dal punto di vista economico e fare pressione sui politici affinché prendano decisioni efficaci. 

L’unico fattore che sembra determinante in tutta questa mala faccenda e che scorre inesorabile, nonostante la costante inerzia, l’imperdonabile negligenza, l’inspiegabile indifferenza è… il tempo. 

Lui no, non ci perdonerà. 











mercoledì 2 dicembre 2015

Un tacchino in segno di ringraziamento

Venerdì scorso si è svolta la più famosa maratona di sconti che dall’America si è poi diffusa in tutto il mondo: il Black Friday. Il Venerdì Nero è successivo ad un giovedì di Novembre, il quarto per la precisione, festeggiato ufficialmente negli Stati Uniti dal 1789. Da quando il primo presidente, George Washington, proclamò una giornata nazionale di ringraziamento. 
Ma ringraziamento per cosa? 

Per saperne qualcosa di più bisogna andare parecchio indietro nel tempo, quando, nel 1621, un gruppo di Padri Pellegrini perseguitati in patria per le idee religiose troppo integraliste, decise di abbandonare l’Inghilterra, per raggiungere le coste del Nord America. Decimati dal viaggio e con l’inverno alle porte, organizzarono la semina di quanto portato dalla madrepatria sulle nuove terre che li ospitavano. Il raccolto, però, non andò come sperato e la metà del gruppo morì di stenti, gettando un’ombra sinistra sul loro nuovo futuro. Un gesto di fratellanza cambiò ogni cosa perché gli abitanti di quei luoghi indicarono agli stranieri le piante da coltivare e gli animali da allevare. 

E fu un tripudio di granturco e tacchini che i Pellegrini non poterono ignorare; anzi l’abbondanza di frutti e pennuti fu tale che non poterono fare a meno di festeggiarla, insieme ovviamente ai loro amici indigeni. 
Bella conclusione, mi son detta, per una storia cominciata con un bel po’ di morti sul campo ed invece grazie alla solidarietà umana, finisce in un ringraziamento a Dio per quanto ricevuto, che si trasmette nei secoli fino ai giorni nostri.

Ed invece no, qualcuno doveva guastare la festa, proprio quando la festa da privata diventò pubblica. Nel 1676 il governatore di una contea del Massachusetts, aveva deciso di indire un giorno di ringraziamento per la buona sorte della comunità e fin qui tutto bene, ma lo stesso giorno servì per celebrare la vittoria contro gli "indigeni pagani", cioè gli stessi nativi americani, senza l’aiuto dei quali i Pellegrini probabilmente sarebbero morti di privazioni. 

Erano passati solo cinquant’anni da quel gesto tanto nobile, eppure qualcuno è riuscito a farne motivo di rivalsa contro coloro che l’avevano compiuto.  
Noi, i posteri che continuano a festeggiare con menu ricchi di tacchini, granturco ed altri frutti della terra che il buon Dio donò ai Padri Pellegrini secoli prima, non possiamo dimenticare ciò che venne compiuto in quei luoghi.

Un segno di umana solidarietà verso degli stranieri che fuggono da persecuzioni in atto nella loro madrepatria. La storia si ripete, sempre. Anche la solidarietà dovrebbe.

Io, ogni volta che vedrò il tripudio in onore dei tacchini, il quarto giovedì di Novembre, mi fermerò a riflettere su quel gesto. Voglio farlo diventare uno dei buoni esempi da seguire. 

Quale simbolo migliore, se non un grande, ingombrante tacchino. 

Non passa inosservato, proprio come dovrebbe essere per i gesti nobili.


domenica 22 novembre 2015

The Lady: Aung San Suu Kyi


Nel 2011 Luc Besson le aveva dedicato un film e lei oggi, all’età di 70 anni, vince le elezioni nel suo paese, la Birmania. La sua è stata una vita spesa a rivendicare la democrazia attraverso la lotta non violenta, in un paese governato dalla dittatura militare. Il padre, un importante esponente politico, venne ucciso dai suoi avversari, lasciandola orfana all’età di due anni. 

La madre divenne altrettanto importante con il ruolo di ambasciatrice in India nel 1960 e la piccola Aung San Suu Kyi la seguì ovunque, fino a quando si ammalò gravemente, costringendola, ormai adulta e sposata, a tornare nel suo paese per accudirla. Fu allora che il regime militare prese il potere in Birmania o Myanmar, e da quel momento Aung San Suu Kyi non lo abbandonò più, trascorrendo quindici anni agli arresti domiciliari, a capo di un partito dai grandi intenti: la Lega Nazionale per la Democrazia. 

I militanti, strenui oppositori della dittatura militare, come accade sempre in questi casi, vennero puniti duramente, torturati, con imponenti rivolte studentesche che si trasformarono in autentici omicidi di massa. Ma lei che aveva deciso di lottare per la pace e la democrazia, perseguì il suo obiettivo senza usare neanche un proiettile, guidata dagli insegnamenti di Mahatma Gandhi e dai principi del buddismo. 

In tutti quegli anni fu detenuta agli arresti domiciliari, poi in stato di semi libertà senza comunque poter lasciare il suo paese e far visita al marito morente; solo per un’intuizione dell’autista di un convoglio sfuggì ad un massacro in cui morirono molti suoi sostenitori; cominciò ad ammalarsi subendo interventi e ricoveri; condannata a tre anni di lavori forzati per violazione della normativa della sicurezza dopo che un componente delle Chiesa mormone statunitense, aveva raggiunto la sua casa a nuoto, attraversando il lago Inya. 

Tutto ciò avrebbe annientato la tempra di chiunque, ma lei, Aung San Suu Kyi, ha proseguito il suo drammatico, eccezionale cammino per guidare il suo popolo verso la libertà. 
Il 13 novembre 2010 è stata liberata e due anni dopo ritira finalmente il Premio Nobel per la pace assegnatole nel lontano 1991. Oggi, a 70 anni ha vinto le prime elezioni libere della Birmania dopo 25 anni, avviandosi a diventare il primo ministro di Myanmar. 

Io mi inchino davanti alla grandezza di alcune persone e spero che vivano per sempre. E lo faranno perché saremo noi a permetterlo, con il loro esempio a farci da guida. Proprio come lei ha fatto con Gandhi. In tempi pregni di violenza in cui le azioni belligeranti vengono dettate dalla sete di potere/denaro, noi dobbiamo essere illuminati dal modello di queste grandi menti, le cui coraggiose gesta sono state ispirate da ideali di fratellanza, pace, commovente umanità.

Pur dall’alto della sua storica vittoria, costatale anni di terribile, quasi letale sacrificio, Aung San Suu Kyi, rivolta ai suoi sostenitori ha dichiarato:
“Dobbiamo procedere con cautela. Stiamo sereni e calmi. Il vincitore deve rimanere umile ed evitare di offendere gli altri. La vera vittoria è del Paese, non di un gruppo o di singoli”.

Non c’è nulla da aggiungere a tali parole e posso solo dire di essere onorata di vivere lo stesso tempo di una persona in grado di esprimere una tale nobiltà d’animo.


sabato 14 novembre 2015

Solo ieri era la giornata mondiale della gentilezza


E solo ieri ne sono venuta a conoscenza, del fatto che esistesse un movimento, il World Kindness Movement, nato a Tokyo nel 1988, promotore di una giornata così speciale. Ne sono rimasta piacevolmente colpita, perché pensavo che non si desse tanta importanza ad un certo modo di porsi verso il prossimo: cortese, amabile, garbato, così come suggerisce il dizionario richiamando il termine in questione.

Mi ero quindi messa a riflettere su quanti gesti gentili potessi annoverare, nella giornata che volgeva al termine, che mi conferisse una qualche autorità nello scrivere e dibattere su questo tema. Fin dalla mattina ho salutato con un buongiorno l’autista del pullman che mi avrebbe portato al lavoro. Ho cercato di ascoltare garbatamente le richieste degli altri e di non farli attendere troppo, se in quel momento non stavo facendo nulla di più urgente. Ho dato una risposta ad una persona che mi aveva chiesto di informarmi su un oggetto che indosso e che l’aveva incuriosita. Sono stata contenta di essermi ricordata di farlo e lei ha apprezzato, dal momento che mi ha risposto con un sorriso. 

Eh sì la gentilezza richiama gentilezza ed acquieta i malumori. Di questo ne sono assolutamente convinta. Mi sono informata sull’andamento di alcune situazioni che riguardavano delle persone a me vicine, e ho visto che sono state contente del mio interessamento, del fatto che le ho ascoltate. Ho cercato di elargire un sorriso, nonostante negli ultimi giorni non fossi stata in un’eccezionale forma fisica. Potevo fare di meglio, sì certo si può e si deve migliorare. Dovrebbe essere l’obiettivo di ogni essere umano. In ogni caso ero contenta di aver almeno provato a porgere un sole e non una nuvola, attorno a me.

Quindi avevo proprio pensato di dedicare un post a tale evento, ma come spesso succede la mancanza di tempo non mi ha permesso di mettere nero su bianco tutti i pensieri in merito ed ho procrastinato al giorno successivo. Però il giorno dopo che sarebbe oggi, non è un giorno qualunque. In mezzo ci sta un massacro di persone che nulla, ma proprio nulla ha a che vedere con la gentilezza. Sarebbe stato opportuno da parte mia cambiare argomento e parlare dell’orrore di cui è capace l’uomo. 

Ed invece ho pensato che fosse necessario calcare la mano sul modo di porci verso gli altri, su quanto sia importante dare il buon esempio. E su come siamo bravi, al contrario, a generare spirali di odio e violenza, a mettere una razza o una religione, in antitesi o in posizione di superiorità rispetto ad un’altra, a depredare interi popoli in nome di presunte civilizzazioni, ad armare le mani di menti più deboli per far prevalere la propria folle idea. E senza la benché minima parvenza di coraggio, armati fino ai denti di vigliaccheria nel nascondere le vere intenzioni: la conquista del potere e il nome dell’onnipresente regista di tali crimini: il dio denaro.

Ed allora cerchiamo di costruire la società evoluta che, almeno a livello cinematografico, siamo in grado di realizzare. Certo un mondo alla Star Trek sembra così lontano, ma si comincia sempre dalle piccole cose. 

Un gesto gentile è un eccezionale antidoto alla crudeltà.


martedì 10 novembre 2015

In ricordo del Prof Benedetto G.



Non lo conoscevo personalmente però so che si è tolto la vita, impiccandosi. Era un professore di matematica, insegnante quindi, ed amante dello studio, dal momento che aveva acquisito più di una laurea. Odio parlare al passato di una persona che ha volutamente messo la parola fine alla sua esistenza, mi sembra di assistere impotente ad una perdita inestimabile per l’intera comunità. La nostra vita continua a scorrere normalmente, giorno dopo giorno, anche se quella persona non può più farci dono del suo valore, mai più.

Una mia amica che lo aveva conosciuto, ne è rimasta profondamente dispiaciuta ed io tramite i suoi racconti ho potuto dedicargli queste poche righe. Suo figlio era andato da lui per qualche ripetizione di matematica e si erano accordati per prepararsi ai prossimi test. 
In queste circostanze molte sono le voci che circolano per cercare di dare una spiegazione razionale ad un gesto così estremo. È sempre così, la gente si sente in diritto di sentenziare e mettere l’ultima parola su un’intera vita, anche quando la persona non la conosce affatto o quasi. 

Il fatto di aver frequentato qualcuno che riveste un ruolo in determinati contesti, come può essere quello scolastico non ci rivela nulla del suo vissuto, delle sue esperienze e ancor più delle sue sofferenze. Eppure circolano le voci, si dice che la causa può dipendere da una vita eccessivamente solitaria o ritirata, o chissà per quale motivo che sembra più plausibile degli altri. Ed invece no, non ci dovremmo sentire autorizzati ad emettere alcun tipo di responso, non su una questione così intima, non quando non conosciamo niente di quell’esistenza.

Credo di aver commesso anch’io l’errore di cercare una spiegazione, ma la notizia mi aveva molto colpito ed è umano che si cerchi di razionalizzare qualcosa che va così tanto fuori dall’ordinario. E poi confidavo nella delicatezza con cui la mia amica avrebbe trattato l’argomento, altrettanto ne era rimasta colpita e dispiaciuta. 

Siamo arrivate alla conclusione che una mente così brillante avrebbe avuto bisogno di condizioni e circostanze ben al di sopra di quelle realmente vissute. E non può che sentirsi poco valorizzata in un contesto qual’è quello italiano che di certo non premia i più meritevoli. 

Alcune frasi rubate qua e là sembrerebbero confermare quest’amarezza. Sono scoraggiamenti quotidiani che minano una natura già di per sé fragile. Se non si è abbastanza forti si soccombe.

Pare che abbia lasciato un biglietto con su scritto: “Scusate il gesto. Pregate per me.” 
Io pregherò per lei Prof ed ancor più per questa comunità che non l’ha saputa comprendere e che lei senza volerlo, ha punito duramente. 

Rendendola infinitamente più povera.




venerdì 6 novembre 2015

Se la celebrità è postuma

Vincent Van Gogh - Self-Portrait, August 1889, Oil on canvas, National Gallery of Art, Washington D.C.

Google gli dedica un doodle ed io gli dedico questo piccolo spazio del mio blog, sempre gentile concessione di Google. Il suo nome è Adolphe Sax ed è ovviamente lui, l’inventore del sassofono. Brevettato e presentato ufficialmente nel 1846 Inizialmente concepito per bande ed orchestre, divenne famosissimo dopo la sua morte come strumento caratteristico della musica jazz, negli Stati Uniti, per poi divenire usatissimo in tantissime applicazioni di musica pop e rock.

Ed è proprio questo il punto, Sax divenne celebre in tutto il mondo solo quando non era più in vita. Come tanti altri artisti. La sua vita fu invece molto travagliata, boicottato duramente da altri fabbricanti di strumenti. Portato alla bancarotta per ben due volte, aggredito fisicamente e trascinato in tribunale svariate volte. I suoi dipendenti minacciati o intimoriti per costringerli a licenziarsi. Tutto ciò ebbe ovvie ripercussioni sulla sua salute, arrivando a sviluppare un tumore, fino a quando non morì in assoluta miseria. 

Non è la prima volta che un talento non venga riconosciuto quando può riscuotere i meriti delle sue creazioni; c’è una certa tendenza ad emarginare le menti lungimiranti. Menti che magari valorizzate a dovere potrebbero dar vita ad altre mirabolanti espressioni del proprio genio creativo, anticipando magari di moltissimi anni l’intuizione di qualche altra mente illuminata. O semplicemente dando luogo ad una creazione alla quale nessuno arriverà mai. Potrebbe succedere anche questo, purtroppo. 

In ogni caso non si può affermare con certezza, dal momento che non abbiamo la possibilità di vivere un’altra dimensione, quella in cui tutte le menti brillanti, eccelse, raccolgono i frutti dei loro meriti mentre sono ancora in vita, dando libero sfogo al loro estro, senza doversi confrontare con le beghe degli invidiosi o l’ostruzionismo delle piccole menti, peccato. Credo che saremmo avanti di molti, molti anni nell’evoluzione della specie e chissà, tante umane nefandezze sarebbero superate da tempo.

Ce lo dovremmo ricordare la prossima volta che ci sembra di scorgere uno sguardo che si illumina, un ragionamento al di fuori del comune, un’idea che ci sembra davvero fuori tempo. Potremmo avere la fortuna di scambiare due chiacchiere con un futuro Gregor Johann Mendel o Edgar Allan Poe. 

Scusate se è poco.

mercoledì 4 novembre 2015

La notte prima di Ognissanti



















Se provate ad anagrammare le parole All Hallows’ Eve (la notte prima di Ognissanti) con qualche aggiunta qua e là, può essere che incappiate nella parola che dà il nome alla festa più macabra dell’anno: Halloween.
La sua origine risale alla festa celtica di Samhain, il cui nome deriva dall’antico irlandese e sta a significare  “fine dell’estate”. Molti sono gli usi e costumi di questa ricorrenza ed alcuni in particolare hanno avuto origine in tempi relativamente recenti, attribuendo tinte più o meno fosche ad una festa che non nasce per spaventare.

Tra gli usi potremmo annoverare quello di intagliare zucche con espressioni orripilanti, risalente alla tradizione irlandese e scozzese di intagliare rape per farne lanterne, simbolismo in ricordo delle anime bloccate nel Purgatorio. Mentre tra i costumi c’è proprio quello di travestirsi, il quale affonda le sue origini nel Medioevo, in Irlanda ed in Gran Bretagna. Il 1° Novembre, il giorno di Ognissanti, la gente povera andava porta a porta e riceveva cibo in cambio di preghiere per i loro morti il giorno della Commemorazione dei defunti (il 2 Novembre).

Alcuni culti religiosi, per esempio i cristiani discendenti dei popoli celti, non attribuiscono alla celebrazione di Halloween significati negativi, piuttosto la vedono come un’opportunità di insegnamento per i bambini, circa la morte e la mortalità. Non è così per la maggior parte del culto cristiano che la associa alla paura, la stregoneria, gli spiriti, i fantasmi e di nuovo lei, la morte.

Io mi sono immersa nello spirito della festa, travestendomi dalla più famosa replicante che la cinematografia conosca, Pris - Daryl Hannah, nel celebre Blade Runner.
Non sono andata in giro a elemosinare dolcetti o preghiere. Ho semplicemente preso in prestito le tenebre della notte per nascondere ritrosia ed insicurezze, calandomi a pieno spirito nel personaggio.


E non potrei aver fatto miglior scelta. Una replicante, creazione sfuggita al controllo degli umani, che si nasconde per scappare dalla morte: programmata, crudele, inevitabile.

domenica 25 ottobre 2015

Ritorno al futuro passato


Mi sembra ieri che andavo al cinema con le mie amichette e la madre di una di loro ci portò a vedere Ritorno al Futuro. Mi ricordo ancora il cinema che si trovava alla fine di Via Nazionale a Roma. Beh devo proprio ringraziarla quella mamma così accorta che ha fatto sì che prendesse vita il mio primissimo approccio con la fantascienza. E che approccio. 

Da quella volta non sono più riuscita a smettere. Dopo quattro anni arriva Ritorno al Futuro II e sono in prima fila a vederlo. Eh sì, ebbi la conferma. Ero totalmente affascinata da Michael J. Fox e ancor di più da tutti quegli attrezzi futuristici che poteva maneggiare visto che ebbe la fortuna di fare un salto nel lontanissimo (per allora, siamo nel 1989) 21 ottobre 2015. Tempo per noi ormai passato. 

Il mio flirt con lui ancora dura tutt’oggi e si è fortificato negli anni, quando le sue vicende personali hanno fatto emergere un uomo di carattere, capace di fare della sua pesante esperienza un’occasione per aiutare le prossime generazioni. A trent’anni gli è stata diagnosticata una grave forma di malattia di Parkinson e lui di tutta risposta ha istituito la Fondazione Michael J. Fox che fa ricerca sulle cellule staminali. Non può che meritare tutta la mia ammirazione. In effetti ci avevo visto giusto ad invaghirmi di lui nel lontano 1989. 

Ma cosa ne è stato delle futuristiche previsioni di quel piccolo capolavoro cinematografico?

Ne prendo atto in un articolo del National Geographic in cui si parla di hoverboard, il mitico skate volante, così come le stesse automobili che viaggiavano ben lontane dall’asfalto, le stazioni di servizio intelligenti ed ultima ma non meno importante, anzi, la spazzatura che si trasformava magicamente in carburante.

Per ciò che riguarda gli hoverboard sembra che in California una compagnia di nome Arx Pax stia lavorando ad un prototipo che si muove grazie ai campi magnetici, il suo nome è Hendo. Lo sceneggiatore Bob Gale, padre dell’idea dell’hoverboard come lo abbiamo visto nel film, ha già provato l’ultima versione di quello reale. “È stata un’esperienza allucinante salire sull’Hendo, è proprio quello a cui pensavamo nel 1989”, racconta. Ma siamo un po’ in ritardo da quella previsione.

Rispetto alle automobili, siamo ancora più lontani. Nel film Doc parlava di un tempo futuro in cui non c’era bisogno di strade ed invece l’auto volante è ancora oggi un sogno. Certo ci si arriverà, ma dovremo aspettare un bel po’. Secondo Jack Langelaan, professore associato di ingegneria aerospaziale alla Pennsylvania State University, non c’è da stupirsi che la tecnologia delle auto volanti ci metta così tanto ad arrivare sul mercato. “Il pericolo maggiore è che, essendo l’auto volante un ibrido, si finisca per creare qualcosa che è la via di mezzo tra un’automobile scadente e un aereo che funziona male”, commenta.

Le stazioni di servizio intelligenti come si vedevano nel film, sono ben distanti dall’essere realizzabili. Nel Midwest americano entro l’anno arriverà sul mercato una pompa per il carburante che non è ancora dotata di intelligenza a quei livelli, però grazie ad un erogatore estensibile apre autonomamente l’ingresso al serbatoio e fa rifornimento senza bisogno di un essere umano. Non mi sembra una banalità.

Una delle scene che comunque destarono maggiormente la mia curiosità era quella in cui Doc butta dentro la mitica macchina del tempo di nome DeLorean, ogni genere di immondizia per alimentarla.  Lì si parla di una reazione nucleare all’interno del motore, però se pensiamo al concetto di trasformazione dell’immondizia in energia, ci sono già diversi esempi nel mondo. Per citarne uno: la discarica Altamont in California che produce quasi 50.000 litri di gas naturale liquefatto, grazie ai quali alimenta i 300 camion della spazzatura che lavorano nella regione. Utilissimo ma ancora troppo costoso per diffonderlo su larga scala.

Sembra proprio che gli sceneggiatori del film si siano tenuti un po’ troppo stretti con i tempi. La maggior parte delle previsioni sono rimaste irrealizzate. Azzardando due conti la data andava spostata di un centinaio d’annetti, quanto meno per il motore trincia immondizia!

Le uniche due cose che non hanno deluso sono l’uso del fax, è così che viene annunciato a Marty il suo licenziamento, e la mia cotta per Michael. 

Ha dimostrato di essere un grand’uomo. 

sabato 17 ottobre 2015

Little Miss Sunshine

Il testo contiene spoiler


Mi farebbe piacere che anche voi passaste due ore di spensierata allegria come è stato per me quando ho visto il film che dà il titolo al post. L’ho scovato grazie alla segnalazione su un gruppo, definito molto divertente. Io aggiungerei anche intenso, anche se a tratti fin troppo stravagante, quasi grottesco. Il titolo di Little Miss Sunshine è ciò a cui la piccola, simpaticissima Olive aspira, motivata dal nonno eroinomane, appena ripudiato da una casa di cura. 

Il film è la storia di un viaggio affrontato da tutta la famiglia allo scopo di ottenere questo titolo. Un viaggio incerto, traballante come le vite dei protagonisti sul Westfalia che li trasporta, dove tutto sembra precipitare da un momento all’altro. Ma resiste, al di là di ogni previsione, e sembra anzi annunciare a gran voce che l’unione fa la forza e la tenacia col supporto dell’affetto alla fine ha la meglio. La spontaneità e l’essere sé stessi alla fine paga, anche se non fa vincere. 

La scena in cui la bimba si esibisce in un balletto, studiato dal nonno ci dice proprio questo. In un mondo costruito sulle apparenze, il viso sincero e spaesato della bimba un po’ troppo in carne per affrontare un concorso di Barbie in miniatura, quasi commuove. Tutto intorno sembra di plastica, ma il suo viso paffutello, gli occhiali e la sua disarmante spontaneità, fa traballare quel finto castello di promesse ed illusioni, rafforzando i sentimenti che tengono uniti i componenti della sgangherata famiglia. 

Bellissimo il dialogo tra il professore fresco di tentato suicidio e il nipote in piena inquietudine esistenziale. Il ragazzo gli confida che a volte vorrebbe dormire e svegliarsi a 18 anni e dimenticare il liceo e tutto il resto. Insomma tutto ciò che gli provoca sofferenza. 
Il professore gli risponde: 

“Conosci Marcel Proust? Scrittore francese, un perdente assoluto. Mai fatto un lavoro vero, amori non corrisposti, gay. Passa vent’ anni a scrivere un libro che quasi nessuno legge, ma è forse il più grande scrittore dopo Shakespeare. Arrivato alla fine della sua vita si guarda indietro e conclude che tutti gli anni in cui ha sofferto erano gli anni migliori perché lo hanno reso ciò che era. Gli anni in cui è stato felice, tutti sprecati, non gli hanno insegnato niente. Perciò se vuoi dormire fino a 18 anni pensa alle sofferenze che ti perdi. Il liceo dici? Quegli anni sono il fior fiore delle sofferenze. Non ci sono sofferenze migliori!” 

Il ragazzo sorride e manda a quel paese i concorsi di bellezza. “D’altronde la vita è tutto un fottuto concorso di bellezza dopo l’altro: il liceo, l’Università, poi il lavoro… Decide quindi di impegnarsi per arrivare a ciò che più desidera, anche se la strada per lui è tortuosa. 

“Fai la cosa che ami e a quel paese il resto…”

domenica 11 ottobre 2015

Generosa Wikipedia


Come ogni anno mi accingo a dare il mio piccolo contributo ad uno strumento prezioso ed indispensabile al quale attingiamo noi tutti: blogger, studenti, o semplici curiosi del sapere. 
Parlo di Wikipedia. Lo strumento che ha rivoluzionato l’accesso alla cultura, rendendola disponibile ed fruibile subito e per milioni di persone. Mi verrebbe da dire che soddisfa ogni ideale politico, il comunismo ed il suo opposto. Rende la cultura di proprietà comune consentendone l’utilizzo anche a categorie di cittadini più svantaggiati tramite strutture pubbliche con internet gratuito. 

Al tempo stesso, non trattandosi di un bene di consumo o un mezzo di produzione lo Stato non potrebbe diventarne unico proprietario, con buona pace dei capitalisti, ai quali non credo dispiaccia anche un altro aspetto. Se ci pensiamo bene rende un profitto anche al privato cittadino proprio per la sua immediata disponibilità, informazioni rapide che racchiudono un valore, il tempo necessario a cercarle.
Ancora più immediate in quanto non inquinate dalla presenza di spazi pubblicitari, invadenti ed importuni ma pur sempre necessari per continuare ad erogare un servizio gratuitamente. Si regge sulla contribuzione volontaria, più o meno generosa. 

Mi ricordo durante la mia infanzia quando mia mamma acquistò una bellissima enciclopedia a volumi che ancora conserviamo, luccicante e traboccante di informazioni. Quanto l’ho sfruttata! Ricerche, esami o dubbi impellenti. Lei stava lì, ad attendere di dare soddisfazione ai miei neuroni in agitazione, e a me sembrava quasi di commettere un sacrilegio a sfogliare quelle pagine immacolate. Un impegno economico non indifferente che oggi non si affronta quasi più. Segno dei tempi che cambiano e del fatto che Internet ha reso possibile una rapida diffusione dei dati. 

Wikipedia è oggi per milioni di persone, ciò che rappresentò quella lussuosa enciclopedia agli occhi meravigliati di una studentessa alle prime armi.

Spero che sapremo apprezzarla altrettanto, e comunque sarebbe bello se rimanesse quello che è ora: un rivoluzionario, democratico, civilissimo mezzo in grado di contribuire all’evoluzione. 

Non credete che tutto ciò valga almeno due euro?

sabato 10 ottobre 2015

Fuori dai binari di una vita ordinaria


"Voglio che le altre persone prendano ispirazione da questa mia decisione e inizino a farsi domande su ciò che giudicano normale - ha spiegato Leonie Müller al Washington Post -. Non c'è mai una sola strada da prendere, ma sempre diverse. La prossima avventura magari ti sta aspettando ed è proprio dietro l'angolo. Assicurati solo che tu voglia davvero provarla".

Leonie Müller è una studentessa che ha fatto notizia per la bizzarra decisione di passare la sua momentanea esistenza su un treno o più precisamente su svariati treni, sbarazzandosi di una fissa dimora. Ammette di non voler vivere più da nessuna parte e di sentirsi sempre in vacanza, distratta dalle mille attrazioni che la vita in un vagone può nascondere. Leggere, scrivere, parlare con tante persone o semplicemente guardare fuori dal finestrino. 

Mi sono ricordata dei miei anni di pendolarismo in cui queste attività rappresentavano un piacevole passatempo per supplire alla lentezza e all’inefficienza dei mezzi di trasporto. A volte la stanchezza prendeva il sopravvento, offuscando la bellezza di queste semplici cose. 

Mi incuriosisce il fatto che ci sia qualche giovane cuore che decide di riempire con quelli che io chiamo passatempi, il suo vivere quotidiano. Arrivo a pensare di non averli apprezzati abbastanza, focalizzando troppo spesso la mia attenzione sugli aspetti negativi del viaggio. Con uno spirito più leggero, avrei letto qualche libro in più, avrei cominciato a pensare di scrivere un blog molto tempo prima. 

Non so se Leonie Müller deciderà di continuare a vivere in questo modo i suoi prossimi anni, è improbabile che lo faccia per tutta la vita. Di certo può vantare nella sua storia personale, un’esperienza fuori dall’ordinario. Le strade diverse di cui parlava nell’intervista, per essere percorse necessitano di una buona dose di coraggio, ma possono davvero portare dei risultati ordinariamente irraggiungibili. Magari un incontro sul treno potrebbe modificarle per sempre la vita. Magari un libro che altrimenti non avrebbe mai letto, potrebbe farle vedere le cose da un’altra prospettiva. 

Piccoli e grandi avvenimenti che in un modo e nell’altro portano ad un cambiamento. Un’opportunità di crescita enorme.

Lei, al contrario dei treni su cui viaggia, ha intrapreso un percorso diverso da quello stabilito. 

Dalla consuetudine, dalla norma, dai nostri insindacabili giudizi.

domenica 27 settembre 2015

L'inventario delle cose belle


Come promesso annoto qualche riflessione sui compiti assegnati dal Prof. Catà  per l’estate appena passata. Sono degni di approfondimento proprio perché non riguardano materie scolastiche in particolare, ma più semplicemente il vivere. Suggerimenti su come affrontare la vita, beneficiando di tutte le cose belle che abbiamo a disposizione. Cose semplici che ci aiutano a raggiungere una dimensione più umana, che perdiamo di vista per inseguire gioie effimere, beni materiali che promettono felicità illusorie. 

“Al mattino, qualche volta, andate a camminare sulla riva del mare in totale solitudine: guardate come vi si riflette il sole e, pensando alle cose che più amate nella vita, sentitevi felici.”

Il 1° compito assegnato recita proprio così e non potrebbe esserci persona più felice di me nell’accogliere pienamente un suggerimento così allettante. Già nelle mie precedenti riflessioni ho sottolineato l’importanza di vivere appieno la natura. Stare in sua contemplazione ci riporta in una dimensione lontana dalla vita frenetica e superficiale. 

Ci spogliamo della nostra veste quotidiana e restiamo in ascolto del silenzio o di quanto la natura ha da offrirci in quel preciso momento: un cinguettio, l’infrangersi delle onde sulla battigia o il fruscio delle foglie mosse dal vento.
Troppo poco per renderci felici? Secondo me abbastanza per focalizzare la mente su pensieri positivi, sulle piccole cose che scaldano il cuore. 

Ognuno di noi ha qualcosa di cui gioire, ce ne dobbiamo convincere. Magari quel qualcosa con gli anni ha perso valore ai nostri occhi e allora perché non sfruttiamo il momento magico per fare di nuovo l’inventario delle cose belle della nostra vita? Sepolte dalla polvere, improvvisamente riacquisteranno valore e ci sentiremo gioiosi di essere in grado di apprezzarle, proprio come auspicava il Prof.  

Il sole caldo e avvolgente del mattino farà il resto. 

venerdì 18 settembre 2015

Unite verso il sud


Non posso proprio farne a meno. Ammirare lo spettacolo della natura a settembre, quando vira verso un’altra stagione che comporta decisi cambiamenti. Noi li percepiamo come scocciature o fastidiosi disagi, ma se ci fermassimo ad osservare attentamente, potremmo diventare spettatori estasiati di un’esibizione incredibilmente intrigante, crudele anche, violenta per certi versi, ma di certo irresistibilmente incantevole.

Questi giorni, passeggiando sulla spiaggia, ho potuto vivere da vicino quest’irruenza ed è stato un turbinio di emozioni. Non si poteva quasi camminare per la potenza del vento ed il mare era in tempesta, da lontano si vedeva sia la sabbia che svolazzava lungo la battigia che la spuma del mare che, dispersa nell’aria, creava una cortina che rendeva quasi impossibile distinguere oggetti lontani.

La natura può essere violenta, ma questa brutalità segue delle regole ed arriva come logica conseguenza di qualche altro evento.
Mi sono seduta di fronte al mare in subbuglio e mi sentivo intimorita da tanta forza e provavo al tempo stesso assoluta riverenza per ciò che tanti definirebbero come una manifestazione del potere divino.

Oggi, di prima mattina, il vento è stato clemente placando la sua intensità, ed alzando lo sguardo verso il cielo, la natura ci ha regalato un’altra meraviglia. Gruppi di rondini volavano verso una medesima direzione: il sud. Alla ricerca di caldo, segno che qui la stagione sta cambiando. Come accade da sempre, ma come può non stupire uno spettacolo così bello? Che si ripete, nella sua affascinante, incredibile regolarità. 

E non mi sono stancata neanche un attimo di osservarle: leggere e diligenti, seguivano alla lettera un copione, come se dalla loro precisione ne derivasse la stabilità dell’intero sistema. 

Tra un po’ dovrò ripartire per immergermi nella velocissima realtà che trangugia tutto: pasti rapidi, parole ridondanti e migliaia, milioni d’informazioni. Il mare sarà ancora in tempesta, il vento soffierà violento ed il cielo si riempirà di goccioline salate. 

In attesa che le rondini migrino di nuovo, perché succederà.
Ogni anno, nonostante tutto. 

domenica 6 settembre 2015

È un paese per vecchi


Rimaneggiando il titolo di un famoso film dei fratelli Coen, ottengo l’istantanea di un paese che sta invecchiando sia demograficamente che concettualmente. 
Parlo dell’Italia ovviamente e non sono io a dire che i decessi superano le nascite e l’età media della popolazione continua salire. È l’Istat che attraverso i suoi dati ci fotografa un paese in progressivo invecchiamento e io aggiungo in continuo deterioramento.
Sì perché leggendo il dato secondo cui diminuisce il numero degli immigrati e aumenta quello degli emigrati, mi vien da riflettere che se anche i pochi giovani che popolano questa nazione decidono di andare via, allora la situazione è complessa ed ancor più deprimente di quanto potessi pensare.

La verità è che questo paese langue, nel suo modo di pensare, statico e conservatore. Le idee nuove, giovani e scalpitanti, non vengono sostenute e muoiono ancor prima di esprimere tutto il loro incredibile potenziale. Si spengono quando invece dovrebbero rappresentare il carburante che permette ad un paese di avanzare, procedere rapidamente verso il futuro. Ma qui no, non si scommette, non si osa. Si preferisce percorrere strade già conosciute, sentieri usurati dal tempo e certo, maledettamente comodi. Non si sa mai che cambiando qualcosa nell’ordine delle cose, qualcuno ci rimetta e allora meglio continuare nello stesso identico, malsano modo e così facendo ci guadagna bene il singolo e ci perde la collettività, pesantemente. 

E così l’idea giovane, la rivoluzionaria scoperta scientifica o semplicemente un inconsueto modo di pensare, vengono sepolti da una macchina organizzativa, imponente e mal oleata, con passaggi farraginosi, lunghi e costosi. E mi sembra davvero incomprensibile che tutto ciò che per altri paesi costituirebbe una ricchezza da preservare con cura, qui venga considerato un bene da tassare oltre misura.

E un bel giorno accade che il giovane dalle mille idee si senta un incompreso e molli i suoi esaltanti progetti, l’altrettanto giovane ricercatore prossimo ad una scoperta sensazionale decida di far dono di questo tesoro ad un altra ospitale nazione che possa restituirgli la dignità perduta e il coraggioso rivoluzionario del pensiero dopo ore di attese per costosi dazi, arrivi alla conclusione che non è in grado di cambiare un sistema che rema contro di lui in ogni modo possibile e con smisurata forza. 

Oggi non è proprio il giorno giusto per innovare e rimanda a domani ogni buon proposito.
Intanto la macchina procede, lenta, costosa e vecchia, sempre più vecchia.