domenica 18 dicembre 2016

La città non ha ancora perso


Proprio in questi giorni il sindaco di Roma Virginia Raggi ha assunto le deleghe all’Ambiente per via di un avviso di garanzia giunto all’assessore. Nulla di nuovo, storie di ordinaria amministrazione nella nostra politica, vecchia o nuova che sia. Il momento però assume notevole importanza perché si può davvero dimostrare di essere diversi, di voler cambiare le cose, di rivoluzionare.

È quello che ci si aspetta da chi dichiara di essere trasparente, nuovo, di rappresentare una soluzione di discontinuità rispetto alla vecchia politica, mangereccia e intrallazzatrice. Questo è il suo momento caro sindaco, non può più aspettare, deve darci un segnale, che ci faccia ancora credere che questa città si può salvare.

Roma merita un trattamento di favore da parte di chi la governa e, non da meno, dai suoi cittadini. È un luogo immerso nella storia, secolare come alcuni alberi che la abitano, intrisa di una magica, indescrivibile atmosfera. Queste in realtà erano le premesse, perché sia i politici che i suoi abitanti hanno pensato bene di oltraggiarla, sporcarla, vituperarla, disonorarla. Riempiendola di immondizia, inutili rumori, scritte sui muri più pregiati, servendo su un piatto d’oro possibili aree verdi in cambio di freddi casermoni di cemento. 

Non serve una ricetta miracolosa, ingredienti segreti che qualche maestro spirituale non rivela per non perdere la sua guida. Tutto ciò che si può fare è alla luce del sole e alla portata del movimento che la sostiene. In primo luogo bisogna dimostrare nei fatti di dare un taglio netto con il passato, la scelta delle persone a cui affidare la propria fiducia è fondamentale. Prendere le distanze da chi negli anni non ha voluto il bene della città, ma solo delle sue personali ricchezze, sarebbe un ottimo inizio.

Persone che si occupano di politica, che cercano di amministrare una città mettendo al centro di tutto la città stessa, il suo benessere, la qualità di vita che può offrire a chi la abita. Invece di politici che fanno ruotare ogni questione attorno al denaro, e a quanto se ne riesce a moltiplicare grazie ai molteplici affari che una metropoli del genere può produrre.

Non è una sfida impossibile se i cittadini decideranno anche loro che è il momento giusto per un nuovo futuro. In un modo altrettanto facile, nulla di complicato ma pregno di civiltà. Dimostrando di tenere davvero a questa città, tenendola pulita, rispettando le regole della strada, non rovinando i beni comuni, intrattenendo rapporti trasparenti con chi la governa.
È un traguardo raggiungibile, se si inizia ora esattamente dal settore che si trova a governare per necessità: l’ambiente. 

È ampiamente dimostrato che in una città ricca di aree verdi e di parchi urbani, la qualità di vita è nettamente più alta. L’attività fisica praticata in uno spazio ricco di vegetazione, favorisce il rilassamento e aiuta il tono dell’umore. In verità molti luoghi che potevano trasformarsi in piccole o grandi oasi, sono diventati la base di orripilanti colate di cemento, per la somma gioia di chi ci ha fatto fortuna.  

Esistono comunque spazi da riqualificare, zone degradate o abbandonate di cui riappropriarsi per donare una nuova immagine, città oltre i confini nazionali da cui prendere esempio. 

Parigi come New York hanno recuperato linee ferroviarie in disuso per farne parchi, percorsi verdi disegnati sui vecchi tracciati ormai abbandonati, frequentati da turisti e cittadini invogliati così a muoversi. E nascono la Promenade Plantée e l’High line elevated park. Berlino non ha rimandato indietro i soldi europei, ma li ha utilizzati con il progetto “Neighbourhood management Berlin”, per recuperare quartieri difficili con alti livelli di disoccupazione e una difficile convivenza tra etnie diverse.

Si può dare vita ad una città ricca di rapporti umani, lì dove si creano aree di aggregazione, in cui la gente si può incontrare, per fare attività fisica o anche solo per scambiare qualche parola. 

Un altro intervento al passo con i tempi sarebbe quello di realizzare piste ciclabili, rendendo al tempo stesso più efficiente la rete di trasporto pubblico. 
Spero che la città non abbia ancora perso come canta Niccolò Fabi, spero che chi ne esca vittorioso non siano i palazzinari con i loro loschi affari o le polveri sottili, spero davvero che non abbiano perso i rapporti umani o il sogno di vivere in un luogo da cui non si ha frequentemente il desiderio di scappare.

Se l’amore si dimostra nei momenti difficili, allora bisogna muoversi ora. Tutti, nessuno escluso. Altrimenti si fa avanti qualcuno che fa ripartire il circolo vizioso della vecchia politica. 

Altro giro, altra corsa e si ripiomba nel tunnel.







domenica 11 dicembre 2016

68 anni non sono bastati


68 anni sono quelli passati da quando fu adottata la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e ogni anno, il 10 di dicembre, viene dedicata una giornata a ricordarci quest’importante traguardo. Se pensiamo che ciò avvenne immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, viene quasi automatico riflettere sul fatto che successivamente ad una tragedia di proporzioni così vaste, l’uomo ha sentito la necessità di mettere nero su bianco un’intenzione, quella di non ripeterla una terza volta. 

Una guerra mondiale non era riuscita a far prevalere l’autocontrollo sull’umano istinto di prevaricazione, sopraffazione, crudele annientamento dell’altrui dignità al solo scopo di affermazione personale e dei propri principi. Ne è giunta una seconda che, in termini di crudeltà e abominio, ha superato di gran lunga ogni più atroce previsione. 

Credo che in quegli anni l’uomo ha potuto realizzare di cosa è capace, nel senso più negativo del termine. Del male che può produrre su esseri appartenenti alla stessa specie, di quanto il diavolo non sia una pura invenzione religiosa, ma un commensale che spesso invitiamo al banchetto per nutrirsi della nostra stessa carne. Le immagini che rimangono scolpite nella mia mente sono quelle di individui privati del tutto della loro dignità, ridotti a carcasse, involucri la cui anima spera di trovare al più presto un po’ di pace, fuori da un immeritato inferno.

Forse neanche l’essere umano aveva consapevolezza di essere in grado di arrivare a tanto e, quando si rende conto di aver sfiorato una tragedia ancora più grande, riflette lucidamente e butta giù inchiostro. Sembra quasi che sia la paura a far liberare parole incancellabili, una precauzione fin troppo ragionata in vista della prossima, temuta follia. 

Non si è fortunatamente verificata una terza volta, anche se il rischio si è corso ripetutamente. L’orrore era stato evidentemente tanto e tale, che ci si è fermati ad una, seppur ferma e dura, contrapposizione ideologica.

Un mondo che scampa un conflitto senza confini, sembrerebbe capace di arrivare ad un grado di civiltà e di evoluzione dove al centro di tutto è posta la persona e i suoi imprescindibili diritti. Un contesto dove la Dichiarazione stilata con tanta cura e dovizia, sembra esserne il giusto testamento.

In questo nobile atto di fede verso la natura umana, abbiamo deciso che gli esseri appartenenti alla nostra specie non possono fare a meno di diritti, di cui i più importanti sono quelli di libertà ed uguaglianza. 

Non a caso sono sanciti nei primi due articoli e scaturiscono dopo una Rivoluzione, la più famosa di tutte, quella francese, dopo la quale fu chiaro che l’uomo non aveva nessuna intenzione di essere uguale ad un altro. Infatti voleva essere più ricco, più potente, più fortunato e se possibile assomigliare ad un dio.

Ma se dopo una Rivoluzione e due guerre, immischiamo le emozioni e dichiariamo che l’essere umano non può non essere rispettato, anche se la pensa diversamente, prega in orari diversi, o non si scotta al sole, perché stiamo ancora a questo punto? 

Al punto in cui un bambino è costretto a vivere in un contesto di guerra o a lavorare perché troppo povero e per questi motivi non può ricevere un’istruzione.  

Se una generazione in erba non evolve, tutti gli altri diritti perdono di senso. Pare che non ce ne rendiamo conto, fino a quando arriva qualcuno che con le parole giuste grida la soluzione a tutti i problemi e prende il sopravvento. 

Vorrei non essere ancora in vita per raccontarlo.


domenica 4 dicembre 2016

La rivincita dell'uomo comune


La notizia dalla quale vorrei partire è quella del finto sequestro ideato da Lapo Elkann, più noto come giovane rampollo della famiglia Agnelli. Dopo un festino a base di droga che si sarebbe tenuto nella casa di una prostituta transessuale, finisce tutti i soldi a disposizione e decide di inscenare un finto sequestro per ottenere denaro dalla famiglia. 

Già la notizia in sé potrebbe far venir voglia di scrivere qualche riga a proposito degli eccessi di una vita denarocentrica e tutti i beni e i piaceri che ci si possono comprare e l’assoluta mancanza di valori e bla bla bla. Ne potrebbe uscire fuori un articolo del quale non sarei orgogliosa, perché frutto di una retorica fin troppo a buon mercato, ottenuta sfruttando un fatto che rimane comunque privato, anche se coinvolge un personaggio pubblico. Allora vi chiederete perché ne sto parlando, smentendo la premessa e i suoi buoni propositi.

Ho pensato di dedicare queste righe alle reazioni che sui social network, la stampa e l’opinione pubblica in generale un fatto del genere può generare. Come al solito la realtà supera la fantasia e quello che esce dalla bocca delle persone, fa concorrenza agli acidi più corrosivi di cui la chimica è capace. E alla fine si perde di vista il vero paziente, colui che ha bisogno di una cura di valori forti, quelli che non li compri neanche barattando il bene più costoso. Le parole più gentili che si possono leggere in giro sono “drogato” o “viziato”, per non parlare dei commenti che un simile scenario erotico può scatenare.

Una mia amica scrive su Facebook la sua amarezza per aver letto tante parole ironiche, vignette che sbeffeggiano e battute quasi scontate e nessuno che sa leggere tra le righe, e neanche troppo, di un estrema fragilità dell’essere umano. Ed è lei che ha suscitato in me il desiderio di mettere nero su bianco queste riflessioni. 

Una persona che si spinge ad un abuso di droghe fino a toccare l’eccesso di un’autodistruzione mi fa solo venire voglia di aiutarla a non sprofondare ancora più giù, fino al punto in cui capisci che la felicità che puoi comprare non è di lunga durata, il prezzo da pagare è troppo alto e non si misura in dollari.

Arrivati a questo punto dovrebbe scattare un dignitoso silenzio ad alleggerire, se possibile, una situazione adeguatamente degenerata ed invece, dal momento che non stiamo parlando di una persona comune ma di un ricco imprenditore allora è giusto affondare la lama fin dove l’osso lo permette. 

Ed è qui che per me scatta un’associazione quasi automatica con un altro articolo in cui lessi di aspre critiche mosse alla figlia di una famosa cantante o di una top model. Offese duramente, va sottolineato che gli insulti provenivano quasi esclusivamente da donne, senza troppa riverenza per la giovane età. La loro sfortuna non era tanto quella di essere nate non proprio bellissime, ma piuttosto quella di vantare un conto corrente a sei zeri mentre ancora dormivano sonni beati nell’utero.

Siccome loro come Lapo incarnano il sogno infranto di tutti coloro che vorrebbero vivere in tanto agio, allora se capita qualche fatto che li riporta ad un piano più terreno come può essere la capacità di creare bruttezza o quella di annientarsi definitivamente, tutti si sentono più tranquilli ed anche in vena di scherzarci pesantemente su. 

Giustizia è fatta, tanto loro, in caso, i soldi per farsi aggiustare da un esoso psichiatra ce l’hanno e aver infierito non fa sentire colpevoli. Per buona pace di tutti. Tranne di quelli che hanno capito che ognuno di noi, con o senza soldi, è vittima di una società malata, tristemente incentrata sull’apparenza e la ricerca di affermazione personale. E la persona non è al centro. 
Altro che sonni tranquilli.




domenica 27 novembre 2016

Hasta la muerte e oltre


Rivoluzione è conoscenza del momento storico,
è cambiare tutto quello che deve essere cambiato,
è uguaglianza e libertà piena,
è essere trattato e trattare gli altri come esseri umani,
è emancipare noi stessi e con i nostri propri sforzi,
è sfidare poderose forze dominanti dentro e fuori l’ambito sociale e nazionale,
è difendere i valori in cui si crede a qualsiasi prezzo,
è modestia, disinteresse, altruismo, solidarietà ed eroismo,
è non mentire mai né violare principi etici,
è convinzione profonda che non esiste forza al mondo capace di schiacciare  la forza della verità e delle idee,
Rivoluzione è unità, è indipendenza, è lottare per i nostri sogni di giustizia, per Cuba e per il mondo,
che è la base del nostro patriottismo, del nostro socialismo e del nostro internazionalismo.

Fidel Castro pronunciò questo discorso in un comizio davanti al suo popolo, diffondendo nell’etere parole veramente importanti sia dal punto di vista dell’impegno personale da profondere per non disattenderle che per la seria dichiarazione di principi che le ispirano.

Difficile tenere fede a tanta virtù, ancor meno quando dopo essere usciti vittoriosi da una rivoluzione si decide di tenere il potere nonostante i buoni propositi iniziali. 
Il Condottiero Supremo, figlio di una famiglia benestante, decise di aderire alla politica antimperialista sin dagli anni dell’ateneo, scuole per ricchi che però non influenzano la sua vena di rivoluzionario. 

Capace di ribaltare un governo messo in piedi da un dittatore ed entrare trionfante sul carro insieme a contadini, umili, nullatenenti e tutti quelli che non accettavano l’imposizione di un dittatore, Fulgencio Batista, che privilegiava i pochi ricchi proprietari terrieri. 

Nel momento del trionfo, il lontano capodanno del 1959, dichiara: “Non sono interessato al potere, né prevedo di assumerlo. Tutto ciò che farò è essere sicuro che i sacrifici di così tanti compatrioti non rimarranno invano, qualunque cosa il futuro mi riserverà.”

Ed invece il potere lo assumerà e lo manterrà per tutta la sua esistenza, mettendo in atto politiche atte a diffondere il più possibile la ricchezza, l’istruzione, il livello di sanità,  dando i suoi frutti se si considerano i dati che dicono, per esempio, che il grado di istruzione a Cuba è tra i più alti dell’America Latina o che il tasso di mortalità infantile è tra i più bassi delle Americhe.

E fedele ai principi dichiarati difende i valori in cui crede a qualsiasi prezzo, sia esso l’incarceramento di un dissidente, il suo obbligato abbandono di beni e familiari, la persecuzione di chi non incontra i suoi gusti in fatto di preferenze sessuali, salvo poi rendersi conto di aver esagerato e ammettere un ufficiale dietro front rispetto ai diritti dei gay. 

L’ascesa a quel potere inizialmente snobbato, avviene in un contesto storico di aspra contrapposizione tra Stati Uniti e Russia e lo schieramento filo sovietico pone il popolo cubano in una posizione pericolosa. L’America cerca di eliminarlo fisicamente e non riuscendoci affama il suo popolo con un embargo economico che è una mera violazione dei diritti umani, Fidel però deve tenere fede ai suoi ideali oltre che far sopravvivere una nazione e fa posizionare dei missili nucleari sul suo territorio. 

In questo deprimente teatrino ideologico il popolo cubano sembra non essere più al centro del suo pensiero egualitario ed in una posizione di estrema debolezza fa gravemente le spese di un potere che annebbia la lucidità di pensiero.

Afferma che la rivoluzione è conoscenza del momento storico ed in un controverso, parziale, cambio di rotta, consente, molti anni dopo la rivoluzione, la nascita di alcune imprese private o di migrare da Cuba seppur con alcune limitazioni, trovando il tempo, pur ateo, di incontrare tre papi.

Sono circolate contraddittorie affermazioni circa le sue personali ricchezze, che lui ha puntualmente smentito. Certo, non è che un rivoluzionario debba per forza svestirsi dei suo beni come San Francesco, ma se lo facesse per sentirsi più vicino alla sua gente, si approprierebbe di una unicità che poche persone nella storia possono vantare.

Se la rivoluzione è modestia, disinteresse, altruismo, solidarietà ed eroismo, non capisco perché dopo anni di governo, non abbia deciso di lasciare il posto a qualcun altro scelto da un popolo forgiato da anni di sacrifici e rinunce, quindi pienamente meritevole della sua fiducia. 

E in un estremo, generoso ultimo gesto di amore verso il suo amato popolo, avrebbe dovuto indire libere elezioni, privando suo fratello del potere, tanto per screditare almeno in parte affermazioni come quella di Trump che lo definisce: “Dittatore brutale.”

Mi permetto di aggiungere qualche capoverso a quel mirabile discorso: 

Rivoluzione è farsi da parte, far camminare da solo il popolo cresciuto con i sani principi di solidarietà, altruismo ed uguaglianza, 
Rivoluzione è rinunciare,
Rivoluzione è essere coerente con le proprie affermazioni, sempre.



domenica 13 novembre 2016

Veramente non ha vinto Trump, ma ha perso la Clinton


Mi duole dirlo ma queste elezioni americane sono state una vera delusione.  Non come qualcuno potrebbe sospettare, per la vittoria di una persona sgradita o per meglio dire dei suoi messaggi inquietanti, piuttosto per la sconfitta di una donna che avrebbe potuto davvero fare la differenza. Non solo perché sarebbe stata la prima donna nella storia alla presidenza degli Stati Uniti, ma perché in grado di contrastare efficacemente il Trump-pensiero: razzista, sessista, discriminatorio, fomentatore di cattivi sentimenti. 

Già mi fa riflettere il fatto che dopo otto anni di un presidente di colore, venga votato un candidato appoggiato dal Ku Klux Klan, e leggendo le percentuali di voto  da parte degli afroamericani verso il partito democratico, emerge che non sono cambiate rispetto alle precedenti elezioni. Perché gli afroamericani, anzi i neri, giusto per adeguarmi al Trump-pensiero, non hanno deciso di votare in massa la bella signora? 

Non è solo questo il dato che mi lascia perplessa. Il voto degli ispanici riesce a stupirmi anche di più.  La Clinton prende il 6% in meno di voti di Obama nel 2012, per conto di una parte di popolazione americana che avrebbe dovuto sentirsi seriamente minacciata dalle intimidazioni del miliardario. Allora scatta in me una considerazione quasi automatica, o lui non risulta abbastanza credibile o lei non riesce a convincere, non strappa agli elettori quella fiducia regalatale dal suo avversario su un piatto d’argento, il che è anche più sconfortante.

In realtà il meglio o peggio deve ancora arrivare, il dato che mi avvilisce maggiormente è quello dei giovani votanti, i ragazzi tra i 18 e i 29 anni, in pratica il futuro della nazione. Il 55% di questa fascia l’ha votata, contro il 37% che ha scelto Trump, lungi dall’essere una vittoria schiacciante. Nel 2012 il 60% scelse Obama, ed ecco che è riuscita ad allontanare anche le generazioni in erba da un voto che doveva spingere al cambiamento. 

Lei sarebbe stata la presidente che ci avrebbe traghettato verso un’era di scelte importanti, difficili, necessarie, un ecosistema prossimo allo sfacelo e lotte all’ultimo sangue per accaparrarsi le ultime riserve di oro nero. Per riuscire in quest’ardua impresa avrebbe dovuto essere lontana o quanto meno non facilmente influenzabile dai poteri forti, le lobby che contano, coloro che non hanno a cuore tali questioni, quelli che ragionano a suon di dollari. 

Avrebbe, inoltre, dovuto essere degna di fiducia, ed invece in pochi le hanno creduto, certo magari poteva anche dirlo che il malore durante la cerimonia al Ground Zero era dovuto alla polmonite. Avrebbe guadagnato parecchi punti, e non sarebbe apparsa come l’ennesimo politico bugiardo. Non ha convinto il suo messaggio, debole e convenzionale, non in grado di contrastare le idee così folli da risultare innovative. 

Non è riuscita neanche in un obiettivo quasi scontato, quello di persuadere le stesse donne. Ha preso il 54% di voti femminili, solo il 10% di voti in più di quelli dati all’oltraggioso milionario e poco di meno di quelli ottenuti da Obama nel 2012. La moglie tradita avrebbe potuto fare grandemente di meglio. Forse ha ragione lui quando dice che “quando sei famoso con le donne puoi fare quello che vuoi.” Fortunatamente non vale per tutte.

E ora siamo agli scienziati che si dicono seriamente preoccupati da questa vittoria, e chi non lo sarebbe visto che l’ormai presidente parla dei cambiamenti climatici come “una bufala dei cinesi”.

In che mani ha consegnato il mondo la donna che ha bruciato un’opportunità unica, irripetibile? 
Mani che non si sa dove andranno a parare, ed intanto dall’Ansa arrivano notizie sulle persone messe da Trump nel team di transizione dalla vecchia alla nuova presidenza. 

In netto contrasto con la sua stessa campagna anticorruzione lo riempie di lobbisti, per capirci meglio proprio coloro che in merito ad una determinata questione dovrebbero prendere decisioni al di sopra di ogni sospetto, ed invece ne hanno vergognosamente le mani in pasta, dando così vita a scandalosi conflitti di interessi. In Italia siamo avvezzi a questo genere di faccende.

Dalla stessa Ansa giungono notizie proprio sui cambiamenti climatici, risulta infatti accertato che hanno modificato l’ecosistema. Ecco magari la distinta avvocatessa avrebbe potuto fare una campagna su quanto la situazione ambientale sia pericolosa, minacciosa per la sopravvivenza umana. 

In questo caso però non si sarebbe trattato dell’ennesima bugia e forse per fare politica seriamente non si può peccare di eccessivo realismo.

Intanto la bella signora si ritira dalle scene internazionali con il suo staff deluso e scintillante al seguito, e ci lascia in eredità quattro anni di imprevedibili avvenimenti. 

E a me continua a far riflettere il voto di quei giovani che non le hanno dato fiducia, che occasione perduta. Che rabbia.





domenica 6 novembre 2016

Spaventi da un penny

Il testo contiene qualche spoiler

La traduzione letterale di Penny Dreadful, la serie televisiva di cui vorrei parlare e che vorrei consigliare, è esattamente questa. Gli spaventi da un penny erano pubblicazioni divenute popolari nel Regno Unito nel 1800, grazie al loro basso costo, 1 penny appunto, tra le classi meno abbienti. Lo stile narrativo che li caratterizzava era ispirato al romanzo gotico, un misto di romanticismo ed horror. 

La loro brevità, i toni sensazionalistici, lo stile trascurato dal punto di vista grammaticale e le immagini esageratamente forti, ne facevano racconti di qualità tutt’altro che eccelsa. Gli illustratori disegnavano in base alle direttive degli editori che li spingevano a raffigurare scene drammaticamente d’effetto: “Gli occhi devono esser più grandi, e ci dev'essere più sangue, molto più sangue!"

Anche se questo non impedì che divenissero fonte di ispirazione anche per importanti scrittori. Fino ai nostri tempi in cui, addirittura alcune star del cinema si scomodano per interpretare i personaggi della serie che segue quel filone. Le storie un po’ rivisitate di Victor Frankenstein, Dorian Gray, Dr Jekill, il conte Dracula che si intersecano sino a formare un trama unica in cui si fondono elementi oscuri che non danno fiducia sul futuro dell’esistenza umana ed opportunità di rinascita che non spengono del tutto la fiamma della speranza.

Streghe, vampiri e licantropi si fronteggiano nell’eterna lotta tra il bene ed il male, tra Satana e Dio, mai giungendo a creare scene orrorifiche per il puro gusto di tenere incollato più pubblico possibile, com’era ai tempi dei racconti brevi e come è spesso una certa fetta di odierno intrattenimento.

Io, che non amo il genere horror o le scene eccessivamente forti, avevo seri dubbi inizialmente, ma ero eccessivamente incuriosita per evitare del tutto la possibilità di cominciarne la visione.
Alla terza puntata, quando mi sono resa conta della straordinaria qualità, dalla fotografia ai costumi, dall’incredibile intreccio alle magnifiche interpretazioni, era già troppo tardi, non ne potevo più fare a meno.  

I dialoghi sono pura poesia ed ascoltarli fa immergere lo spettatore ancor di più nella storia, un’ora in cui davvero non si pensa ad altro e più che spaventare fa riflettere ed immaginare. 

Qualcuno l’ha chiamato l’Eva Green Show, dal momento che è lei il personaggio principale, contesa tra il diavolo e il conte Dracula, capace di dar vita ad un personaggio poliedrico, magnetico, fulcro della trama e degli altri protagonisti.

La sua interpretazione è sublime, l’esempio più significativo di quanto l’attrice sia abile nell’ipnotizzare lo spettatore, non più in grado di discernere tra realtà e finzione, e la scena in cui Satana prende possesso della sua anima, nell’ambito di una seduta spiritica non si dimentica facilmente. Bellissima ed inquietante.

In un opera d’arte è lo spettatore che fa la differenza, il suo occhio può dare risalto ad un particolare significativo per la maggior parte o tralasciare gli elementi che ne hanno decretato il successo. 

Nel mio caso, nell’intrigante carrellata di nomi resi famosi dai loro creatori, quali Dorian Gray o il Dr Frankstein, ciò che ha avvinto irrimediabilmente la mia mente è stato John Clare, denominata anche la Creatura, uno dei mostri scaturiti dalla perversa fantasia di Victor Frankenstein. 

Lui è la personificazione della crudele ipocrisia, della mostruosità intrinseca alla società. Colei che crea i mostri, poi se ne vuole disfare, li spinge ai margini in un perverso gioco che sfida la sanità mentale del reietto.

“Il mondo ha un cuore di pietra” non può che pensare diversamente, ma nel momento in cui potrebbe riscattare la sua natura, esce fuori l’amore più puro, una rinuncia durissima e pregna di generosità e gentilezza.

È in quel momento che ho pensato che i veri mostri si presentano bene, hanno un bell’aspetto e parlano senza sbavature. 

I veri mostri imbrogliano lo sguardo, tranquillizzano ingannevolmente.  

“C’era un tempo in cui prato, bosco e ruscello, 
la terra e ogni essere a me noto, 
sembravano ornati da una luce celestiale
la gloria e la freschezza di un sogno,
non è più come era prima,
mi giro ovunque posso
di giorno o di notte
le cose che ho visto ora non posso più vederle
ma c’è un albero, di molti uno
un singolo campo che osserva dall’alto
entrambi parlano di qualcosa che è passato
la viola del pensiero ai miei piedi ripete lo stesso racconto
dove è scappato il barlume visionario?
dove sono ora, la gloria e il sogno?”

la Creatura nell’ultima scena della serie.





martedì 1 novembre 2016

La triste fama di un ponte


Nella foto che mi ritrae c’è una promessa mantenuta. Alla vigilia di un nuovo anno avevo deciso di cercare in giro, guardare oltre la realtà, sperando di incontrare una persona cara. 

Chi ha letto il post precedente sa che la vigilia alla quale mi riferisco è quella dell’antico popolo celtico, per il quale il 31 ottobre, il Samhain, è un giorno a dir poco particolare. Ha luogo l’ultimo raccolto, ci si prepara alla stagione invernale, si commemorano i morti, coloro che sono passati ad un altro mondo, lontano, irraggiungibile. 

Non l’ultimo giorno di ottobre, quando nell’oscurità gli spiriti ci vengono incontro e noi vivi ne approfittiamo per offrire del cibo, nella speranza che loro, un tempo amati, ci diano un po’ della loro compagnia. E visto che è anche un importante momento di riflessione, sarebbe bello condividere i nostri pensieri con chi non è più carne, ormai disinteressato ai piaceri materiali.

Il fresco di una stagione autunnale che stenta a decollare era ieri più deciso. Lo spostamento delle lancette all’indietro di un’ora, ha fatto calare il buio ancor prima, rendendo la serata ideale per incontri non esattamente ordinari. 

Non mi sarei allontanata troppo dalla zona in cui abito, percorsi non troppo illuminati, immersi nel parco dei Castelli Romani, luoghi perfetti per spiriti che non vogliono essere scoperti. Indosso qualcosa di scuro per non sembrare appariscente e qualcosa di chiaro e colorato, per non rischiare di mimetizzarmi nell’oscurità.

L’idea era di arrivare ad Ariccia oltre l’altissimo ponte per poi percorrere un lungo viale alberato che arriva sino a Genzano, il potente terremoto ha cambiato i piani ed il contesto. Non era permesso alle macchine di transitare sul ponte e tutto ha assunto connotati imprevisti: pochi rumori, l’aria che si sposta solo per il vento, molecole che arrivano al naso con il solo profumo della natura.

Questo fa sì che ci soffermiamo lì più a lungo del previsto, ed è a quel punto che l’incontro che avevo sperato si realizza, anche se lo spirito non è uno solo e i connotati non mi sembrano conosciuti.

Le anime appartengono a coloro che hanno deciso di spezzare la loro esistenza su quel ponte, casuale collegamento oltre la vita terrena. Si avvicinano a me e all’inizio ho paura, sono numerosi, tutti con storie diverse, molti avevano un lungo futuro davanti a sé. 

Cominciano a raccontarmi le loro storie e non riesco a seguirle tutte, mi sembra però di trovare un punto comune: la solitudine.

Ad un certo punto lo spirito di un ragazzo mi prende da parte. Mi racconta che il motivo per cui lo ha fatto era principalmente uno: la mancanza di speranza. Troppe delusioni e nessuno che capisse davvero il suo stato.

Sono andati via tutti insieme e mi è sembrato che il parlare di loro li avesse fatti felici. 

Sono tornata a casa angosciata, non ho incontrato la persona cara e quelle storie mi hanno intristito, ma visto che era anche la notte dei propositi, ho deciso di metterli nero su bianco.

Ho promesso di essere più sorridente, maggiormente cordiale, più disponibile, di ascoltare più attentamente. 

Una società accogliente e gentile, è un ottimo antidoto alla tristezza e alla solitudine.

Il calore umano alimenta la speranza e forse molti di loro non avrebbero fatto quella scelta. 

Credo che le parole di quel ragazzo volessero dire proprio questo. 

lunedì 31 ottobre 2016

Samhain, quando i morti incontrano i vivi


Quella odierna era una giornata di festeggiamenti per l’antica popolazione dei Celti che abitava la verde Irlanda. L’epoca è quella dei Romani e per i Celti il 31 ottobre corrispondeva alla vigilia di un nuovo anno con significati e simbolismi del tutto particolari. 

Il Samhain ricordava la fine di una stagione, quella estiva, l’ultimo raccolto che era il preludio alla stagione invernale in cui ci si chiudeva nelle proprie case, passando il tempo a raccontare storie e leggende. Nel periodo del rigido freddo tutto tace, la vita riposa proprio come i morti che dimorano nel sottoterra, almeno fino a quel momento. 

Perché per i Celti era proprio il 31 ottobre, il giorno in cui il Samhain invocava gli spiriti dalla landa felice e di eterna giovinezza che li ospitava affinché si unissero ai vivi. Non sarebbe stato possibile senza che le leggi del tempo e dello spazio si infrangessero, dando vita ad una dimensione del tutto nuova in cui la morte non è più una linea di demarcazione ben definita. 

Non esisteva un aldilà, le due dimensioni si fondevano in unico mondo. I morti avrebbero potuto tornare nei luoghi della loro esistenza, aggirarsi indisturbati, dando luogo al giorno più intriso di magia che il calendario potesse conoscere, il giorno che non esisteva. 

Samhain era un importante momento di contemplazione spirituale, in cui celebrare il ritorno dei propri cari, ma anche esorcizzare la morte, il popolo del sottosuolo che irrompeva tra i viventi, non senza incutere paura. 

Si rimuoveva fisicamente un enorme scudo, lo Skathach, creando così un’apertura con il mondo dei defunti, per loro si lasciava del cibo sulla tavola o si mettevano le luci alle finestre, per guidarli nella notte. 

Non poteva essere altrimenti in un giorno in cui si dava il massimo onore agli antenati, si esaltavano le loro gesta, o semplicemente si evocavano momenti felici passati insieme a loro.  

Questo è anche un giorno di iniziazione, si dava vita ad un enorme falò, all’interno del quale si sacrificavano animali, in una contemporanea celebrazione per il nuovo che prende il posto dell’anno passato, buoni propositi da realizzare con l’aiuto degli dei o brutte abitudini da eliminare.

Non sarebbe male se approfittassimo anche noi, frustrati abitanti di quest’epoca complicata e bellicosa, per mettere nero su bianco ciò che non va nel nostro modo di comportarci, verso noi stessi, il prossimo, la natura e ci ripromettessimo di fare diversamente. 

Potremmo non avere un falò a disposizione, possiamo sempre fare la carta in mille pezzi. E se magari ci avanza tempo, mentre siamo in giro, guardiamo più attentamente, oltre la realtà, gli spiriti potrebbero aggirarsi senza meta ed affamati. 

Non è detto che siano di buonumore per come stiamo conducendo la storia del pianeta, di certo non lo sono se hanno condotto gesta eroiche nella speranza di costruire un mondo migliore. 

Se siamo fortunati potrebbero essere parenti o amici ai quali abbiamo voluto veramente bene. 

Io spero di incontrare spiriti benevoli, mi auguro una persona cara alla quale vorrei far leggere i miei post, davanti al caldo fuoco di un camino. 

Rispetto al passato l’inverno in procinto di arrivare sarebbe meno rigido, spenderemmo il tempo a parlare del vecchio e soprattutto del nuovo da costruire.

E visto che ho il fuoco a disposizione, ne approfitterei per bruciare la carta con qualche brutta abitudine da cambiare. 


domenica 23 ottobre 2016

Fu il tuo bacio, amore, a rendermi immortale.


Lo scrisse l’autrice Margaret Fuller nel 19° secolo, investendo il bacio di un immenso potere, in grado di influenzare l’unica vera certezza dell’esistenza umana: la mortalità. 

Gabriel Garcia Marquez ci ricorda invece quanto sia importante non lesinare sul concederli, a suggello di un legame, ma anche per confermare un rapporto di fiducia, oltre che di amore, per comunicare alla persona che lo riceverà il valore che ha la sua stessa esistenza: 

"Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti darei un bacio e ti chiamerei di nuovo per dartene altri.”

Nel corso dei secoli fiumi di parole sono state spese, in versi o capoversi, per esaltarne l’importanza, infinite quantità di colore hanno immortalato quello passionale tra innamorati, consacrato in un avvolgente abbraccio. Poeti, pittori, artisti che lo hanno impresso a fuoco nelle righe della memoria.

Mai fu più opportuna tanta enfasi, degna celebrazione delle manifestazioni più alte che un sentimento come l’amore può vantare. In questo post voglio anch’io magnificarne le virtù, aggiungendo anche un caloroso abbraccio e qualche secolo di scienza che ha scoperto di entrambi i benefici in termini di salute psicofisica. 

Proprio così, un bacio è in grado di abbassare il cortisolo, l’ormone dello stress, aumentando quello dell’ossitocina, serotonina, endorfine che agiscono, per contro, sul tono dell’umore, facendoci sentire rilassati ed in armonia con il mondo. L’abbraccio deve durare almeno 20 secondi e se ce lo concediamo con persone di cui abbiamo piena fiducia, tanto meglio. 

Visto che lo stress è il male di questo secolo, allora è proprio il caso di abbandonare l’avarizia ed elargirli con generosità, anche perché, ragionando in termini egoistici, saremmo i primi a beneficiarne.  In primis per ciò che concerne la salute fisica dal momento che hanno un effetto simile a quello di un analgesico, ma non solo. 

Aumentano le difese immunitarie attraverso il rilascio di sostanze chimiche benefiche e la contemporanea diminuzione dell’ormone dello stress li rende tranquillamente prescrivibili dal medico come cura preventiva per la salute del cuore. 

Se durante un lungo abbraccio o un bacio appassionato la pressione diminuisce è altrettanto importante sottolineare quanto questi facciano bene all’autostima e siano immensamente liberatori. 

Lasciarci andare nelle braccia di un’altra persona abbassa le difese, quelle che teniamo sempre alte nei rapporti interpersonali e che non ci fanno mai essere noi stessi. Ciò fa paura, ma quando accade non potremmo sentirci meglio. E non potremmo fare dono più prezioso, fiducia e sostegno all’altro che si trasformano in calore umano. 

Un lungo abbraccio non è qualcosa che ci scambiamo con persone che conosciamo poco, ed il bacio è un gesto ancora più intimo, che in genere si concedono persone che hanno in essere una relazione amorosa. 

La verità è che spesso anche tra persone degne di reciproca fiducia con il tempo questi scambi amorosi tendono a perdersi nella routine quotidiana, lasciando spazio a parole inutili e scambi meno “impegnativi”. 

In un epoca tanto pregna di egoismo e disumanità, dovremmo preservare dei momenti consacrati all’altro, chiunque altro al quale vogliamo dare e ricevere amore, sostegno, fiducia, stima, apprezzamento. 

Nessun scrittore o poeta, anche il più valente, riuscirebbe mai ad esprimere con le parole, quanto questi nobili gesti riescono a dire nel momento stesso in cui si esprimono. 

Ogni volta che non ci pensiamo o ce ne dimentichiamo, perdiamo un’occasione per essere felici. 

Italo Calvino aveva descritto la malinconia di chi non può più perdersi nell’ebbrezza dei sensi:

“Se infelice è l’innamorato che invoca baci di cui non sa il sapore, mille volte più infelice è chi questo sapore gustò appena e poi gli fu negato.”


domenica 16 ottobre 2016

Overshoot Day: quando la Terra dice basta!


Lo scorso 8 agosto abbiamo esaurito le risorse che la Terra era in grado di offrirci per l’anno 2016, con ben 5 mesi di anticipo dalla fine!
Stiamo divorando piante ed animali, ad una velocità tale da non concedere loro la possibilità di riprodursi, rigenerarsi. 

Siamo sempre più numerosi, diversi miliardi, affamati, belligeranti, pretenziosi e per nulla rispettosi, per lo meno non la maggior parte. E la Terra annaspa, in questa costante, interminabile richiesta, come una madre incapace di saziare tutti i propri figli. 

Oltre alla insufficienza di risorse, ciò che preoccupa fortemente è il riscaldamento globale e le sue devastanti conseguenze. Sembrano essere due problemi con radici diverse, ma in realtà il denominatore è decisamente comune e si chiama spreco, sia esso alimentare che relativo all’eccessivo sfruttamento di materiali, minerali, combustili. 

Sarebbe interessante fare un grafico su come l’uomo si muove sul suo pianeta, di cosa si nutre, cosa sfrutta per vivere, e soprattutto a che velocità fa tutto questo. Ne verrebbe fuori un andamento compulsivo, in cui ripete comportamenti in maniera automatica senza pensare, riflettere sulle conseguenze.

Perché delle conseguenze ci sono eccome e se oggi ci sembra che non sia affatto così, in realtà è proprio vero il contrario, e le future generazioni sono quelle in reale pericolo. 

Il grafico di cui sopra, vedrebbe lo stesso abitante del pianeta, in lotta con altri simili per il controllo di quei combustili fossili, il cui sfruttamento sta sfinendo il luogo in cui lui stesso vive. Praticamente alla ricerca spasmodica di autodistruzione. Perfetto caso da manuale psichiatrico.

È vero che i governi dovrebbero mostrare di tenere maggiormente al posto che abitano, ma ciò non alleggerisce la coscienza dei singoli per le loro responsabilità. 

Ogni individuo può e deve preoccuparsene, tanto per elevarci un po’ più in alto dell’insignificante rango di miliardesimo abitante del pianeta, di cui nessuno conserverà più un ricordo dopo la morte.

Già se si inizia a riflettere sulle conseguenze dei propri gesti, si rende onore alla presunta intelligenza della nostra natura, se lo si fa tutti insieme, si potrebbe cominciare a pensare che non siamo proprio votati all’autodistruzione.

Proprio nella vita di tutti i giorni possiamo dimostrare di essere degni cittadini del pianeta; la parola d’ordine è sempre una: ridurre al minimo gli sprechi. 

La ricerca spasmodica di calore o di fresco negli ambienti chiusi fa sì che i consumi di energia salgano incredibilmente, spesso basta molto molto meno per stare comunque bene. Prediligere il treno come mezzo per gli spostamenti, riduce di gran lunga l’inquinamento atmosferico. Acquistare meno di tutto, meno cibo, meno abiti, far durare più a lungo ciò che già si possiede. 

Forse in pochi sanno che l’industria della moda è una delle più inquinanti per l’ambiente e che la carne rossa è uno dei cibi più deleteri con alte percentuali gas ad effetto serra prodotti per il suo allevamento. 

Dovremmo poi far sparire dalle nostre tavole i cibi spazzatura, i cosiddetti junk food, cibi dalle calorie vuote che non apportano principi nutritivi, ma sono altamente dannosi sia per la propria salute che per quella dell’ecosistema.

Non dobbiamo vederle come magnanime concessioni fatte al pianeta, visto che i diretti beneficiari saremmo proprio noi, anzi la nostra salute. Vivere in un ambiente inquinato fa ammalare. 

La temperatura sta aumentando e se non ci affrettiamo a porre rimedio, la Terra sarà un malato incurabile. 

Trovare la cura sarà l’ultimo dei problemi.

domenica 2 ottobre 2016

Il viaggio non è uno status symbol


In questo scorcio d'estate, così come ogni anno in questo periodo, si fa il bilancio di una stagione, quella estiva, che dovrebbe aver contribuito a far rilassare ed aver rigenerato a sufficienza prima di riprendere un anno di fatiche, lavoro o studio che sia.

Ed invece l’effetto terapeutico che una vacanza dovrebbe infondere si perde tra ritmi frenetici e tour de force del divertimento che mal si accordano con i tempi più blandi richiesti ogni tanto dal nostro cervello. Ma per quanto una vacanza possa essere stancante, in realtà chi sta veramente peggio è chi quella villeggiatura non se la può concedere. 

Secondo la logica della competizione per arrivare sempre più in alto nella scala sociale, il viaggio è valutato ben più di una bella macchina. Quindi se non si ha un luogo interessante da raccontare ad amici e colleghi, è persino lecito inventarselo, creandosi uno sfondo internazionale al computer e mettersi in primo piano, da vero giramondo.

Pare che più di qualche italiano abbia attinto agli strumenti che la tecnologia ci offre, per creare un artefatto che non lo faccia sfigurare nei vari resoconti post-estate. In questa logica perversa che stima il viaggio al pari di un bene materiale, chi più gira, più si arricchisce, ma non certo perché allarga i propri orizzonti mentali. 

In una società consumistica, i cui giudizi sul prossimo si basano prevalentemente sulla quantità di beni materiali posseduti, la vacanza perde il suo reale significato e diventa un vestito alla moda, senza ci si sente emarginati ed è quello che davvero succede.

In realtà il viaggio è sì un vestito, ma che deve essere cucito addosso alla persona, diverso per ognuno di noi. Ascoltare il collega che si perde nei particolari di un racconto dai contorni esotici, può rivelarsi un’esperienza interessante, perlomeno a parole, perché magari, per quanto ci si faccia rodere dall’invidia, quella vacanza non è adatta al nostro modo di essere. 

Il viaggio è un’esperienza del tutto soggettiva e personale e va quindi scelto in base alle proprie inclinazioni, anche se queste eventualmente ci portassero a far visita ad un monastero. 

Non può il viaggio diventare un termine di discriminazione economica, anche se chi ha i mezzi economici per affrontarne di lontani ed interminabili appare ai nostri occhi il più fortunato dei terrestri.  

Vedere da vicino le meraviglie del pianeta è di certo appagante e inebriante, ma arricchisce lo spirito solo se si è realmente predisposti, altrimenti è un gesto di puro egoismo, effimero e volatile.

Se si visitano posti con una natura che mette i brividi, torniamo a casa con la voglia di cambiare il nostro stile di vita per contribuire a non perdere un tale patrimonio? Quando andiamo in un luogo dove tocchiamo con mano la povertà attorno all’albergo di lusso a quattro stelle, siamo in grado poi di apprezzare ciò che abbiamo nella vita di tutti i giorni? Visitando un luogo pregno di storia, sappiamo imparare da essa, evitando l’odio che ha portato alla distruzione di una civiltà?

Il bello è che tutto ciò lo si può apprendere stando seduti in un bel parco, vicino casa, con in mano un libro ed uno spirito da avventuriero, quello che si trova nelle persone che veramente vogliono un mondo diverso, migliore, evoluto e si impegnano concretamente.

Per loro il viaggio non termina mai. Faticoso, unico, il più fantastico che si possa immaginare. 

Peccato che non lo raccontano alla fine di ogni estate.

domenica 18 settembre 2016

Ieri il rogo, oggi il video


Recenti fatti hanno visto protagonisti: due ragazze, un video e il web. Nel primo caso un filmato con contenuto spinto diffuso nella rete da una terza persona, nel secondo fatto una ragazza filmata da ragazze di sua conoscenza, mentre, in stato di incoscienza, subiva uno stupro. 

Anche in questo caso, un click e ciò che dovrebbe essere privato diventa pubblico e un reato che dovrebbe essere denunciato diventa un fenomeno da baraccone, con tanto di platea non pagante, ma di sicuro giudicante ed oltraggiosa.

Queste vicende mi hanno fatto pensare ai secoli or sono quando le persone ritenute colpevoli di atti sessuali riprovevoli quale veniva considerata la sodomia, venivano giustiziati con il fuoco da vivi. 

Insomma quando le oscenità divenivano pubbliche bisognava in qualche modo punire i peccatori e visto che della giustizia divina non si può mai esser certi in maniera definitiva, allora meglio intanto garantire quella terrena.

Questo sempre perché la religione che guida i pensieri e le azioni, decide ciò che è giusto e quello che non lo è, e se qualcosa rientra nel secondo caso allora ogni mezzo è lecito per punire severamente o addirittura eliminare colui o colei che ha deciso di trasgredire la legge divina.

E questo concetto è trasversale per qualsiasi religione, dietro la cui diversa bandiera si commettono da secoli omicidi di massa, barbare torture, atti che di divino sembrerebbero avere ben poco, se non le scritture a cui si ispirano, il testamento che ogni dio lascia al suo popolo.

Quindi tenendo fede a quanto la religione ci insegna e che, nel bene e nel male, influenza il nostro agire quotidiano, se una persona commette un peccato e lo fa pubblicamente, in maniera del tutto automatica, coloro che guardano dall’esterno, sono prima testimoni e poi inevitabilmente giudici. 

Come tali, liberi di decidere la sorte della persona in questione, che però persona non è più, ma si è trasformata in un caso, un mezzo, un’opportunità. 
Lecito il fuoco sotto la carne viva, legittime le offese, le ingiurie, il pubblico ludibrio.

Quindi ripartendo dall’inizio, seguendo però la logica da me descritta, tutto ciò che è accaduto sembra conseguente ed in linea con quanto si verifica da secoli. Ovviamente cambiano i mezzi, la tecnologia velocizza i tempi della giustizia e si arriva molto più in fretta ad una condanna popolare.

Nella catena di questa giustizia virtuale che sembra avere tempi migliori di quella tradizionale, il pubblico non è però il solo soggetto. 

Si parte dal protagonista della scena incriminata, che è una vittima pura solo nel caso in cui è inconsapevole o ingenua, altrimenti sarà lei o lui ad aver dato il via al macabro meccanismo. 

Poi abbiamo colui o colei che registra il video che diventa il diffusore via etere, con un semplice click che non sfiora la sua coscienza, ma la viva attenzione dei milioni di voyeur che devono in qualche modo soddisfare la morbosa curiosità.

Ancora non è finita, perché prima di arrivare al pubblico che attende come belve la propria preda, ci sono tutti quelli che fanno diventare l’oggetto del crimine di pubblico dominio. 

Coloro che realmente rendono celebre quel protagonista, quelli che attraverso le stampe di milioni di copie, fanno conoscere quel fatto. E a questo punto entra, o meglio, dovrebbe entrare in gioco l’essere un professionista. 

Perché un giornalista con la lettera maiuscola, non pubblica di getto, non butta il colore sulla tavolozza prima di uno studio attento su quale sfumatura cromatica sia opportuno utilizzare e quale scartare. 

Questo studio attento si chiama verifica della notizia e distingue un giornalista serio da un giornalaio, e direi che nel panorama italiano di certo chi ne esce a testa alta è quest’ultimo.

Ma la notizia verificata forse fa meno followers di quella gridata, buttata in pasto, e di certo è più costoso in termini di tempo e di energia, in quanto ci vuole un certo lavoro per arrivare alla verità, sempre che a qualcuno interessi davvero sapere cosa sia accaduto al/alla protagonista.

In effetti ci sarebbe meno gusto, perché per quanto possa essere rivoltante, il sensazionalismo paga, eccome che paga.
Alla fine di queste brutte storie, bisogna dire che non pagherà nessuno. 

In Italia chi diffonde un video commette reato solo se il protagonista è minorenne, il pubblico assetato se la può cavare con qualche scusa, e gli apprendisti giornalisti passeranno alla prossima notizia da triturare alla velocità della luce. 

Il meccanismo riprenderà vita, fino alla prossima preda da far cadere nella rete.

Spero solo che sia abbastanza forte da resistere.