68 anni sono quelli passati da quando fu adottata la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e ogni anno, il 10 di dicembre, viene dedicata una giornata a ricordarci quest’importante traguardo. Se pensiamo che ciò avvenne immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, viene quasi automatico riflettere sul fatto che successivamente ad una tragedia di proporzioni così vaste, l’uomo ha sentito la necessità di mettere nero su bianco un’intenzione, quella di non ripeterla una terza volta.
Una guerra mondiale non era riuscita a far prevalere l’autocontrollo sull’umano istinto di prevaricazione, sopraffazione, crudele annientamento dell’altrui dignità al solo scopo di affermazione personale e dei propri principi. Ne è giunta una seconda che, in termini di crudeltà e abominio, ha superato di gran lunga ogni più atroce previsione.
Credo che in quegli anni l’uomo ha potuto realizzare di cosa è capace, nel senso più negativo del termine. Del male che può produrre su esseri appartenenti alla stessa specie, di quanto il diavolo non sia una pura invenzione religiosa, ma un commensale che spesso invitiamo al banchetto per nutrirsi della nostra stessa carne. Le immagini che rimangono scolpite nella mia mente sono quelle di individui privati del tutto della loro dignità, ridotti a carcasse, involucri la cui anima spera di trovare al più presto un po’ di pace, fuori da un immeritato inferno.
Forse neanche l’essere umano aveva consapevolezza di essere in grado di arrivare a tanto e, quando si rende conto di aver sfiorato una tragedia ancora più grande, riflette lucidamente e butta giù inchiostro. Sembra quasi che sia la paura a far liberare parole incancellabili, una precauzione fin troppo ragionata in vista della prossima, temuta follia.
Non si è fortunatamente verificata una terza volta, anche se il rischio si è corso ripetutamente. L’orrore era stato evidentemente tanto e tale, che ci si è fermati ad una, seppur ferma e dura, contrapposizione ideologica.
Un mondo che scampa un conflitto senza confini, sembrerebbe capace di arrivare ad un grado di civiltà e di evoluzione dove al centro di tutto è posta la persona e i suoi imprescindibili diritti. Un contesto dove la Dichiarazione stilata con tanta cura e dovizia, sembra esserne il giusto testamento.
In questo nobile atto di fede verso la natura umana, abbiamo deciso che gli esseri appartenenti alla nostra specie non possono fare a meno di diritti, di cui i più importanti sono quelli di libertà ed uguaglianza.
Non a caso sono sanciti nei primi due articoli e scaturiscono dopo una Rivoluzione, la più famosa di tutte, quella francese, dopo la quale fu chiaro che l’uomo non aveva nessuna intenzione di essere uguale ad un altro. Infatti voleva essere più ricco, più potente, più fortunato e se possibile assomigliare ad un dio.
Ma se dopo una Rivoluzione e due guerre, immischiamo le emozioni e dichiariamo che l’essere umano non può non essere rispettato, anche se la pensa diversamente, prega in orari diversi, o non si scotta al sole, perché stiamo ancora a questo punto?
Al punto in cui un bambino è costretto a vivere in un contesto di guerra o a lavorare perché troppo povero e per questi motivi non può ricevere un’istruzione.
Se una generazione in erba non evolve, tutti gli altri diritti perdono di senso. Pare che non ce ne rendiamo conto, fino a quando arriva qualcuno che con le parole giuste grida la soluzione a tutti i problemi e prende il sopravvento.
Vorrei non essere ancora in vita per raccontarlo.
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