domenica 4 novembre 2018

Anche il più forte se ne va



Scorrendo le pagine di un giornale poco prima di girare la successiva, la mia attenzione è stata rapita dall’immagine sublime e maestosa del re della foresta. L’animale che più di tutti è in grado di carpire i pensieri dei bambini e non solo, il protagonista per eccellenza, senza il quale la storia non si può scrivere o se manca è quella la storia. 

Il sovrano di una foresta sempre più in pericolo è ad un passo dal lasciare lo scettro, dall’abbandonare la scena di un mondo al quale non appartiene più. La sua sparizione lenta e costante rappresenta la cronaca di un pianeta che deve rallentare, necessariamente. E riflettere profondamente. 

Perché se non decidiamo di farlo volontariamente, non avverrà in maniera naturale. Ciò che siamo in grado di fare è procedere in maniera veloce, frenetica, senza voltarsi a guardare. Ma lui questo non lo merita. Lui è il leone, il fedele compagno di un’infanzia, temuto e adorato. Le notizie che lo riguardano sono allarmanti. 

Ormai scomparso dal Nord Africa, nelle altre porzioni di territorio africano dove sopravvive è in estremo pericolo  e la notizia più triste è la quantità di esemplari persi in poche decine di anni. La tendenza continua ad essere in negativo e se non si agisce in qualche modo, tra qualche decennio i bambini di future generazioni dovranno accontentarsi di vederne raccontate le gloriose gesta da una casa di produzione americana. 

In fondo nulla di diverso da quello che potrebbe accadere con altre specie, più o meno imponenti, più o meno famose. Ma questa volta è diverso proprio perché lui è notoriamente il più forte. Che succede quando quelli che hanno una resistenza più elevata, coloro che tendono ad avere la meglio nelle situazioni, temuti ma apprezzati, soccombono? Vuol dire che le cose non stanno più seguendo il loro andamento fisiologico, significa che è l’uomo stesso a decidere sulla selezione naturale e non più la natura. 

L’uomo sta definendo i confini di un mondo che ha scelto in base alle sue regole, di sviluppo basato sul profitto, sull’egemonia di uno stato su un altro più debole, di una specie rispetto ad un’altra. E quando è il leone ad avere la peggio, qualcosa mi dice che la situazione sta realmente cambiando. Per tornare ai tempi dell’infanzia, quelli scolastici in cui cominci a farti le ossa per prepararti a quello che sarà il duro teatro della vita, se sei fragile, sei anche una facile preda del più spietato che non è il più forte, ma solo quello più popolare. 

Il più forte è quello che mette in campo la sua superiorità fisica e morale per sovrastare il sopruso, per difendere chi non ce la fa da solo, per un nobile scopo. Anche la sopravvivenza della specie lo è, e risponde ad altre leggi che per quanto implacabili possano sembrare hanno un fine ultimo, ben preciso. Che succede se questi valorosi esempi di audacia cominciano ad essere sempre meno presenti? 

Non certo perché non c’è più bisogno di loro, la situazione attuale dimostra il contrario. Piuttosto hanno preso il sopravvento sentimenti quali l’individualismo, il prevalere a scapito di qualcosa o qualcuno, l’apparenza come identificativo di sè. 

Ed ecco che il forte che si mette davanti al bullo per difendere un principio, non ha abbastanza followers e il leone viene cacciato dalla foresta per far posto ad una piantagione, ad una moda, ad un insaziabile appetito. 

Qualcosa è pericolosamente cambiato, qualcuno più forte di tutto dovrà necessariamente ribaltare la situazione. A chi spetterà questo oneroso compito? 


domenica 12 agosto 2018

Se ami il tonno, odi la tartaruga



Pare proprio che il mondo abbia preso consapevolezza di un problema che nel tempo è diventato sempre più emergente, ma prima era solo nei pensieri dei ricercatori o di chi ha a cuore le sorti della natura. Non è lo smog, non è la deforestazione, non è lo scioglimento dei ghiacci artici, per quelli c’è ancora tempo o almeno così ci si augura. 

Lo scottante argomento di attualità è la plastica e la sua invadenza, la sua eterna durata che sfida il passare dei secoli, la sua pericolosa commistione con le creature marine, il suo albergare nei meandri più nascosti degli oceani. Ne avevo già parlato in un precedente post, preferendola ad una pietra preziosa semmai avessi deciso di mettermi al dito qualcosa che dura per sempre. 

Quella sì che sarebbe sopravvissuta non solo alla mia dipartita, ma avrebbe degnamente rappresentato la nostra epoca ad uno scienziato del futuro che, osservando l’anello, avrebbe sorriso pensando a quanto eravamo arretrati. Non solo perché non siamo in grado di riciclarla, se non in piccola parte, ma soprattuto perché siamo stati capaci di farla sbarcare dove non avrebbe dovuto, inquinando senza remore, pescando con metodi efficaci ma distruttivi. 

Persino il campione di Formula 1, Lewis Hamilton, ha allertato i suoi numerosi sostenitori su Instagram, con un video girato mentre è in vacanza in Grecia. Ho pensato che se un personaggio tanto famoso arriva a parlarne, allora è il momento di svolta. Quello in cui da una semplice chiacchiera, il problema passa ad una presa di coscienza e fa smuovere ossia cambiare i comportamenti. 

Questo è il passaggio cruciale, che si può solo sperare, ma sempre con una retrogusto di disillusione perché è noto quanto sia immensamente difficile far cambiare un modo di agire, soprattutto se non si è particolarmente motivati. Non basta dire che solo il 13% dei mari del mondo è incontaminato e solo perché sono troppo freddi, forse con il surriscaldamento ce la facciamo a raggiungere anche quelli. 

Può non essere sufficiente lanciare allarmi sulla microplastica, quella talmente piccola che può essere ingerita dai pesci e quindi entrare nella catena alimentare con effetti che gli scienziati stanno ancora studiando. Sono questioni che si considerando virtuali, non problemi reali, fino a quando non vanno ad incidere sul vivere quotidiano. Però se se entra in campo un personaggio famoso, allora la partita può ancora essere giocata, le chances di salvare l’ecosistema dalla distruzione aumentano. 

Hamilton si trovava in vacanza nella splendida Mykonos e la vista estasiata di tali bellezze naturali è stata rovinata dalla presenza invadente e fuori luogo della signora plastica. Il derivato che è diventato anche più famoso del suo progenitore, il petrolio, era lì a rovinare le vacanze di chi conta, ad occupare parte di una spiaggia che non ci si aspetterebbe interessata dalla questione. Non solo il luogo è stato pulito dall’illustre ospite, ma sono state date alcune raccomandazioni che magari raggiungeranno il cuore dei suoi milioni di followers. 

Dire di non comprare la plastica è certamente il consiglio migliore, ma anche quello meno applicabile o perlomeno non nel senso più letterale. Ci sono aziende che hanno fondato la loro attività sulla produzione di contenitori, involucri, buste, quando la legge è cambiata quest’ultime sono diventate biodegradabili. Dobbiamo aspettare che un legislatore si preoccupi di salvare l’ambiente? La risposta è no, il consumatore ha il potere di farlo. 

Ciò che viene prodotto è semplicemente quello che viene richiesto, anche se le aziende cercano costantemente di influenzare l’acquisto in modo da essere sempre le ultime a decidere. Se compriamo in grande quantità, più del bisogno reale, la produzione si allinea. Se non facciamo durare le cose, produciamo grandi quantità di rifiuti. 

Se mangiamo troppo, il cuore lentamente muore e con esso anche le risorse naturali. Se esageriamo con il consumo di tonno, mettendo in tavola ogni giorno scatolette, facciamo in modo che le grandi reti nella loro caccia selvaggia cattureranno anche la povera tartaruga e giorno dopo giorno la piccola, grande creatura resterà solo un bel personaggio da cartone animato. 

Come lei altre specie, che nel turbinio di una lotta spietata per la sopravvivenza, verranno trascinate via non per essere divorate. Sfortunati ospiti di un mare che non ce la fa più a saziare, triste teatro di innumerevoli intrecci di plastica abbandonati che continueranno a tessere la loro trama di sangue. 

Però io posso decidere di non rendermi colpevole di questa mattanza, se mangio il giusto, senza sprecare, se compro in minor quantità. Quando decido di non acquistare il tonno, sto dando una possibilità in più alla tartaruga. Non qualcun altro, ma proprio io. 
Sì, voglio decidere io in quale pianeta vivere.







martedì 26 giugno 2018

Le false notizie che confondono



Se addirittura la Commissione Europea si è mossa per porre rimedio urgente e significativo vuol dire proprio che la questione oltre che seria è anche grave. Per dirla tutta e quindi renderla ancora più preoccupante è stata definita “una vera minaccia per la coesione e la stabilità delle nostre società e per le istituzioni democratiche”. 

Insomma da starci seriamente attenti o come si dice familiarmente stare sul chi va là senza mai abbassare la guardia. Le false notizie, le bufale o per essere internazionali le fake news si annidano come vespe nei meandri più insoliti e senza preavviso irrompono spargendo veleno, inquinando il vivere sereno.

Tocca farci i conti giornalmente e quando meno te l’aspetti a proporti le bufale sono persone che conosci molto bene, che stimi e che non immagineresti mai come vittime di un qualsiasi raggiro. Invece circa una settimana fa tramite whatsapp mi arriva una notifica che riguardava un eventuale avvistamento di cane abbandonato da segnalare ad un numero verde o ad un cellulare. 

Inizialmente non lo avevo letto con attenzione, l’ho fatto solo in un secondo momento quando la stessa persona mi ha detto che si trattava di una bufala e si scusava per l’imperdonabile svista. Tra persone amiche ci si perdona tutto, ma chi sta dietro a questa redditizia finzione gioca anche sul fatto che i messaggi hanno oggi una diffusione rapida e massiva, che non si ha il tempo di verificarne l’autenticità e soprattutto non se ne ravvede la necessità quando la notizia viene inviata da un contatto conosciuto, una persona di cui ci si fida. 

E senza neanche rendercene conto diventiamo il vettore ideale attraverso il quale spargere il virus più letale e anche più pericoloso perché è infido, insidioso, silenzioso, veste i panni rassicuranti di una nonnina che dà consigli, che prepara succulente merende e che vuole solo il tuo bene. 

In realtà chi muove i fili di questo gioco planetario si frega le mani, pensando quanto sia stato facile fare profitti non solo economici, e di quanto sia facilmente influenzabile la popolazione mondiale. La quale non spende neanche un attimo del suo tempo per verificare che ciò che sta inviando al familiare, amico o conoscente sia una notizia che potrebbe effettivamente cambiargli in positivo la vita o, e qui viene il bello, rivelarsi pericolosamente dannosa. 

I motivi di tale inquietante gioco di società in cui i vincenti sono quelli che mettono in piedi l’informazione, la confezionano e la diffondono a regola d’arte sono certo legati al guadagno, ma non solo. Se telefono ad un numero fasullo creo profitto a qualche malintenzionato, se vado su internet attraverso un collegamento e magari inserisco i dati della carta di credito rischio che altri la esauriscano a mie spese. Purtroppo questa è solo una piccola parte dell’enorme rete delle informazioni false e tendenziose.

Basti pensare alle dicerie o pettegolezzi che riguardano la reputazione di una persona, storie inventate e alimentate da un sentimento negativo che passano di bocca in bocca e lentamente screditano, fanno terreno bruciato attorno ad un nome senza che gli untori si siano neanche mossi dalla loro poltrona. 

E anche quelli che dicono di non essere influenzati da quanto arriva alle loro orecchie, in realtà hanno una mente più laboriosa delle intenzioni, che, nei meandri più profondi della coscienza, ha costruito un poco democratico pregiudizio dal quale l’ignaro destinatario dovrà continuamente difendersi.

Il meccanismo della diffusione mediatica delle bufale è il medesimo e riguarda tutti gli ambiti anche quelli piuttosto insidiosi dell’alimentazione e della salute. Qui i danni sono pesanti e non è stato ancora esaurito l’effetto domino di informazioni prive di evidenza scientifica che hanno creato il pregiudizio su alimenti o ancor peggio farmaci salvavita. 

Bisogna ammetterlo, è stato un gioco al massacro, una vera e propria demonizzazione di questo o quell’alimento, che ha portato in massa ad un’eliminazione totale dalla dieta senza che tutte queste teorie fossero supportate da uno straccio di evidenza scientifica. Pare che il glutine, la farina bianca e il latte siano stati quelli più massacrati e su quest’ultimo si è scritto addirittura che provocasse il cancro. 

Ho voluto vedere io stessa quanto fosse facile smentire la notizia che creava attorno a questo alimento un’infamante reputazione. Esiste un elenco di sostanze dimostratisi realmente cancerogene stilato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro e non solo il latte non è contemplato, ma chi ne esce male è la carne, soprattutto quella lavorata, che se consumata tutti i giorni si rivela piuttosto pericolosa. 

Ricordiamocelo quando ci troviamo davanti al banco dei salumi o in procinto di comprare l’ennesima bistecca. Astenendoci compiremo un atto di clemenza verso noi stessi e il pianeta.

Credo che dovremmo cominciare a fare esattamente questo, prima di buttarci senza regole nella rete della diffusione compulsiva, prendiamoci del tempo per pensare e verificare, il tempo che i burattinai sperano di avere dalla loro parte, che crea scompiglio e fa cadere le certezze. 
Quello necessario a creare falsi miti, il tempo che serve per raggiungere il proprio scopo.



domenica 3 giugno 2018

Un caffè con il Maestro



La storia scrive nel suo lento ma anche veloce trascorrere, brutte pagine di violenza e sopraffazione che dovrebbero indicarci una diversa strada per il futuro progredire della specie. Ci troviamo nell’anno 2018 ed è ancora lontano un punto di svolta, quello che ci porterà ad una concezione del vivere insieme sullo stesso pianeta del tutto differente da quella odierna. 

Nell’altra faccia della stessa medaglia, quelle pagine ci mostrano la parte luminosa dell’essere umano, incredibilmente ingegnosa, che sfida le leggi del tempo. Ed eccoci che noi stessi rimaniamo estasiati ad ammirare i frutti di un così grande intelletto, nella speranza che prenda il sopravvento sulla parte oscura, quella che non vorremmo ci appartenesse. 

Impossibile non cedere alla tentazione di una beata contemplazione di quanto è stato prodotto in campo artistico soprattutto per chi vive in un paese quale è l’Italia che ha dato i natali a uomini di ingegno e talento superiori, ineguagliabili. 

Decido che è giunta l’ora che torni in quel di Firenze, culla d’arte e sapere, luogo privilegiato dove speri di perderti in solitudine circondata da tanta bellezza, per la quale non sono ancora stati coniati i giusti termini per descriverla. Ma rimango delusa, perché quella solitudine è una chimera. 

Come biasimare migliaia e migliaia di persone che come me desiderano bearsi di tale magnificenza, interrogandosi sul come sia possibile che l’essere umano sia in grado di creare così tanta bellezza e macchiarsi di orrendi crimini. Quando decido di concentrarmi su ciò che vedo distogliendo il pensiero dal lato oscuro, ha inizio un’esperienza totalizzante. 

Immersa in un luogo reso eccelso dai suoi artisti, il cui talento fu alimentato fino a raggiungere livelli impensabili da grandi estimatori delle arti e della cultura quali erano i Medici. Fino all’ultimo atto di generosità verso le generazioni future, Il Patto di Famiglia firmato dall’ultima rimasta della casata, Anna Maria Luisa de’ Medici che di certo la fa ricordare per la sua saggia lungimiranza. Grazie a lei, chi è venuto dopo, il casato asburgico dei Lorena non ha potuto portare via nulla, tutte le opere d’arte dovevano rimanere per ornamento dello Stato, utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri

Ed è così che entrando a Palazzo Pitti, ogni stanza pullula di tale meraviglia firmata da nomi quali Tiziano, Tintoretto, Botticelli, che non si sa dove posare lo sguardo che inquieto continua il suo vagare fino a quando si ferma perché non riesce a staccarsi dalla celeberrima creazione del David alla Galleria dell’Accademia. Giorgio Vasari artista e storico contemporaneo di Michelangelo scrisse “…E certo chi vede questa non dee curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o negli altri da qual si voglia artefice…”

Parla delle opere altrui ma il Vasari è coautore di un Giudizio Universale dipinto all’interno della cupola della Cattedrale che mi tiene con il collo piegato in totale e devota ammirazione, la stessa che mi fa dimenticare del rumore delle voci e del susseguirsi delle braccia che si sovrappongono a fermare l’immagine della sublime, incantata Venere del Botticelli agli Uffizi. 

Dopo un’altra giornata che mi rimette in pace con il mondo e mi fa ancora avere fiducia nel genere umano, mi fermo ad un caffè per riposare il fisico provato da tanto girovagare.
Il luogo è particolare, caldo e sofisticato, sento che potrei passarci interi pomeriggi a scrivere.

Nel lento calare della sera, non riesco ancora ad elaborare tanta bellezza assorbita tutta d’un fiato e mentre aspetto che la cioccolata si freddi, mi giro verso lo specchio che riflette l’immagine di un uomo che non ho visto entrare, vestito in abiti di altra epoca, nella qual barba lunga e non curata ho creduto di riconoscere il maestro Michelangelo Buonarroti.

Si siede davanti a me, sistema le sue vesti come se non fosse la prima volta in quel luogo. 
“Quando lascerà la città?” 
Non so se faccio parte di una fortunata casualità o se sono l’ennesima turista con cui decide di scambiare qualche parola, potrebbe anche essere la terribile stanchezza a giocarmi un brutto tiro.
Lui non si fa scoraggiare dal mio silenzio.
“Capisco quanto possa essere difficile, io quando ho dovuto partire per Roma, lasciando alcune opere non ancora compiute, non ho dormito le notti seguenti.”
E se fosse tutto vero per quanto terribilmente assurdo? Non posso perdere quest’opportunità. Mi faccio forza e comincio a pensare a tutto quello che vorrei domandargli.
“Maestro è un onore per me, stare qui con lei. Le sue opere la rendono eterno.”
Scoppia in una risata benevola. “Sono qui a dimostrarlo! In verità sono solo un’artista che ha saputo fare bene il suo lavoro.”
“Come può essere così modesto? Lei ha creato dei capolavori!”
“Così son stati giudicati e ne sono felice, ma ricordi… la bellezza è negli occhi di chi guarda e ammirare un’opera d’arte è un viaggio del tutto personale.”
“Ciò che oggettivamente è bello non può essere giudicato altrimenti, chiunque non può affermare il contrario” dissi con decisione.
“L’uomo è capace di distruggere il bello, e le macerie sono tutte uguali.”
“Ma è stato anche capace di salvare molte opere dai danni dell’Arno o del tempo che passa.”
“La crudeltà o la beatitudine son delle scelte. Quando tutti decideranno di cercare solo la bellezza, quella spirituale, allora cesseranno le meschinità.”
A quel punto non potei fare a meno di chiedergli: “Maestro, esiste Dio?”
Lui sorrise toccandosi la lunga barba: “La fede è nel cuore di chi crede…”

Rimasi qualche secondo attonita. Sono sicura che non mi avrebbe fatto la scortesia di non rispondere alle altre domande che avevo in serbo, ma commisi l’ingenuità di abbassare lo sguardo verso la tazza di cioccolata fumante che man mano disperdeva il suo calore.

Quando lo rialzai lui non c’era più. Svanito come il vapore che lentamente si disperdeva davanti ai miei occhi. 

Con un po’ di dispiacere mi voltai verso la cupola del Brunelleschi, immersa nell’oscurità del cielo, in sospeso tra pioggia e tramonto. Non avevo parole per descrivere la bellezza di ciò che stavo osservando. Anzi sì. Sublime.




domenica 13 maggio 2018

Peace and Love non ha funzionato


Per i più ostinati sognatori e i peggior nostalgici nati in un’epoca in cui si sperava di costruire un mondo libero dalle guerre, in pace con i propri pregiudizi e finalmente capace di un doveroso rispetto verso la natura sono giorni di lunga riflessione.

Sono recentemente stati divulgati i dati delle spese militari che ogni paese al mondo ha affrontato nel precedente anno e ad effettuare queste ricerche è un istituto che ha sede a Stoccolma, per la precisione l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace. I primi delusi saranno stati proprio loro visto che i dati parlano di un incremento della percentuale di spesa nel settore militare in una buona fetta della parte asiatica e medio orientale del mondo con un progressivo scalare posizioni di Cina, India e Arabia Saudita. 

L’Italia negli anni ha progressivamente diminuito la spesa militare così come Regno Unito e Stati Uniti che comunque continuano a mantenere ben salda la prima posizione. Gli stessi vertici dell’istituto hanno commentato queste vertiginose cifre sottolineando come la persistenza elevata delle spese militari impedisca la ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti nel mondo. 

Si è parlato sempre e tanto di pace, tanto che negli anni sono nati movimenti che hanno lottato affinché il pianeta fosse un luogo sempre meno conflittuale sino all’abbandono totale dell’uso degli armamenti. In realtà non è così che sono andate le cose. Il motivo per cui alcuni paesi hanno scalato questa inquietante classifica è dovuto al fatto che sono cresciuti economicamente. 

Quindi esattamente come accade tra privati cittadini, quando si diventa persone affermate professionalmente, si cominciano a mettere in atto strategie di difesa dall’invadenza altrui, si diventa più diffidenti e la genuinità dei sentimenti, in mezzo ad una montagna di dollari, viene irrimediabilmente compromessa. 

Forse il punto è proprio questo, il denaro la fa da padrone, governa le nostre vite e conseguentemente le nostre scelte e noi non facciamo nulla per far andare il mondo in una diversa direzione. Qualcuno ci aveva sperato, ma l’amore non ha preso il sopravvento. 

Non solo, una lobby americana delle armi, ha addirittura progettato un modello di pistola pieghevole che si può mettere comodamente in tasca esattamente come si fa con un cellulare e immediatamente disponibile per fronteggiare qualsiasi situazione. Tranquillamente utilizzabile da mamme e professionisti, appunto. 

A questo punto mi chiedo a quale valore di mercato sia invece arrivata la vita umana, se si può serenamente barattare con uno smartphone-proiettile. Se, come sembra, vale meno, molto meno di un’arma, neanche troppo distruttiva, allora quelli del ’68, stanno facendo i loro conti per cercare di capire se fossero loro ad essere troppo sognatori o se, come direbbe un fatalista doc, doveva andare così e non ci si poteva fare proprio nulla. 

Chissà invece che non sia il caso di rivedere il tutto e farlo analizzare dai migliori economisti mondiali. Fa pensare il fatto che siano i paesi fornitori di petrolio ad armarsi fino ai denti, invece di investire questi soldi in fonti di energia che gli possano garantire solidità quando la fonte sarà esaurita e quella data non è poi lontanissima. 

Oppure perché la Cina che è uno dei paesi dove l’inquinamento aria-acqua-suolo è uno dei più alti sul pianeta non utilizza tutti quei miliardi di dollari per invertire la rotta e rendere le sue città dei luoghi sicuri. Perché se puoi difenderti militarmente, ma poi lo smog ti uccide lentamente, non hai dimostrato di tenere comunque alla tua incolumità. Un boomerang piuttosto prevedibile.

A questo punto vorrei mettermi al tavolo con quei sognatori sessantottini, che oggi saranno degli stimabili signori, delusi e forse convertiti ad una filosofia più pragmatica. Io vorrei dire loro che bisogna ripensarla un po’ meno a suon di teoremi o concetti utopistici, e basarci sul fatto che questa è una società denaro-centrica. 

Allora perché non far capire che l’ambiente e la sua tutela è il vero business? Solo i paesi che ci investiranno il loro denaro, saranno in grado di diventare potenti a lungo termine. Gli altri si indeboliranno sempre più, malvisti perché considerati fautori di uno sfacelo che incide su tutto il globo. 

Invece che Peace and Love, Salute e Ricchezza, quella vera. Spiegato bene potrebbe funzionare e non sarebbero teorie irrealizzabili. Basta solo far capire che questa nuova politica porterebbe molta ricchezza, a cominciare da quella economica. 
Concetto universalmente riconosciuto e compreso.


mercoledì 25 aprile 2018

Nella Giornata della Terra meglio non parlare della Terra



Il 22 aprile è stata celebrata in tutto il mondo come giornata dedicata alla Terra, niente di più facile che unirsi al coro unendo qualche riga alle tante scritte a favore di un globo maltrattato. Mi sembra così lontano quell’anno, il 1992, durante il quale ebbe luogo a Rio de Janeiro la prima conferenza mondiale dei capi dei governi di tutto il mondo che si riunivano per parlare di ambiente. 

Ci si stava rendendo conto che qualcosa nello sviluppo dell’umanità è andato storto e forse era il caso di mettersi attorno ad un tavolo, come fanno le brave famiglie, per parlare di un problema e porre rimedio in tempo utile prima di un grosso guaio. 

Il prendere atto che l’azione dell’uomo stava influenzando un cambiamento climatico già in corso o che lo smog era una pericolosa arma di uccisione di massa era un primo, grande passo verso un cambiamento. Lo è se mosso da una reale e preponderante voglia di modificare le regole di un sistema, se si è onesti nel voler mettere da parte i vantaggi personali che derivano da uno stato di cose in virtù di una ragione superiore. 

Siamo al vero, grande intoppo in cui l’essere umano il più delle volte inciampa, il rinunciare ad un personale tornaconto a favore di un interesse collettivo, di una condivisione globale di benessere e serenità di cui alla fine beneficiano anche quelli che se ne vorrebbero tirare fuori. 

Da allora, anno dopo anno, il problema dell’ambiente ha preso sempre più forma diventando una questione della quale il galateo avrebbe suggerito di non disinteressarsi, la forma nella moderna società dell’apparenza va sempre preservata. 

Ecco allora che hanno cominciato a spuntare le giornate della bontà, dedicate a qualche questione umanitaria o ad un aspetto importante che non bisogna dimenticare. L’acqua, l’aria, la Terra o la gentilezza. Fiumi di parole e decaloghi vari in cui esperti o meno, dicono la loro su come salvare un pianeta dalla distruzione, un mare dall’avvelenamento cronico o un cuore dall’incurabile indurimento. 

Ci sarebbe da farsi i complimenti, perché da quel lontano 1992, di strada verso la consapevolezza ne abbiamo fatta, ma in termini di conseguenze pratiche la situazione è peggiorata quindi stiamo al punto in cui sappiamo che c’è un problema ma non siamo in grado di uscirne o più semplicemente non vogliamo. In entrambi i casi abbiamo bisogno di un aiuto serio che ci insegni a mettere in piedi un sistema di vita completamente diversa. 

Perché la Terra non è il paziente da curare, è solo uno specchio in cui poter osservare il declino dell’umanità, il fallimento di una società basata su principi che non conducono al benessere, quello vero, che non è rappresentato da quello economico, anche se nel nostro caso purtroppo coincidono. 

Una moltiplicazione di prodotti e sentimenti che spinge verso il soffocamento, una totale concentrazione su sé stessi che fa dimenticare il resto, e durante l’affannosa corsa verso questo famigerato appagamento distruggiamo alberi e cuori. 

I politici che nel tempo hanno disatteso le promesse di Rio sono andati di pari passo con i poteri economici che sostenevano una produzione di massa alimentata dai consumatori che siamo noi, quindi tutti ma proprio tutti sono i responsabili di questo sfacelo planetario. Incentrato sulle necessità individuali basate su bisogni non essenziali che la società ha fatto diventare irrinunciabili, ragion per la quale è inutile parlare di alberi da non abbattere a chi fa del consumismo ingiustificato una ragione di vita. 

Sarebbe più efficace se i governi di tutto il mondo mettessero in piedi politiche di diffusione di valori quali la condivisione, il rispetto della collettività da considerare come entità superiore all’individuo stesso. Ci è stato detto più volte che noi siamo importanti, ci è stato spiegato quanto sia necessario valorizzarci come individui, come trovare la strada verso la felicità. 

Qualcuno ci avrebbe dovuto dire che questo sentiero va tracciato nel bel mezzo di una moltitudine di altre creature, di carne, ossa e clorofilla e se decidiamo di non fare attenzione, calpestando e schiacciando, ne paghiamo le conseguenze. 

L’uomo ha bisogno sia dell’aiuto che della compagnia dei suoi simili, nonché di quanto per sopravvivere trae da piante ed animali, potremo quindi continuare ad esaltare la nostra individualità fino a renderla un odioso egocentrismo?

Siamo importanti in quanto parte di un insieme, senza il quale siamo niente. Il sentirsi al centro dell’Universo non ha ragion d’essere su un pianeta che probabilmente all’interno di una vastità spaziale è a sua volta un puntino molto piccolo. 
Ma cosa sarebbe quella vastità senza quel puntino?



domenica 8 aprile 2018

Gli eccessi che posso evitare


Durante i giorni in cui si celebra una festività si tende a mangiare molto più del normale o comunque cibi che abitualmente non vengono considerati nella propria dieta. Non è certo il momento migliore per mettere in atto delle restrizioni o dare seguito ad un buon proposito. 

È però una bella occasione per riflettere sulle quantità di tutto ciò che mettiamo in tavola e sul fatto che il più delle volte esse sono superiori a quanto veramente sia necessario per vivere in salute. Perché spesso la partita o meglio le tante partite delle quali siamo protagonisti più o meno consapevoli e il cui esito ci porta alla felicità o al suo contrario, si giocano sugli eccessi. 

La capacità di misurarsi, di capire quando si sta arrivando al confine che divide l’area della giusta quantità da quella dove ogni limite viene superato, può fare la grande differenza. Spesso nei luoghi dell’abbondanza dove pensiamo di trovare la felicità ci troviamo invece a fare i conti con le conseguenze degli eccessi perpetuati per anni e si deve passare il resto dell’esistenza a rimediare e magari non si ha una vita intera per farlo. 

Una di quelle partite riguarda il come ci alimentiamo, il più delle volte superando quel limite in eccesso, rendendo concrete conseguenze negative per la nostra salute e per quella di tutte le bellezze naturali che ci circondano. Il mangiare più di quanto necessario è inquinante per l’organismo e per la Terra perché per generare e trasportare ogni alimento che trangugiamo si è prodotta una certa quantità di anidride carbonica. 

La quale sta causando i cambiamenti climatici che già sono in atto. Ci sono cibi che sono molto inquinanti ossia per produrre i quali si genera molta anidride carbonica e ad altri gas nocivi, la carne bovina è in cima a questa lista. L’aria inquinata ha necessità di molto ossigeno per essere “purificata” quindi se fossimo così saggi dal salvaguardare gli alberi che popolano il nostro pianeta potremmo salvarci da un clima che cambia irrazionalmente. 

Invece continuiamo a disboscare, a far cadere giù grandi arbusti e con essi la più vivida speranza di riportare la lancetta entro quel confine di giusta misura. Ci sono persone che cercano con tutte le loro forze di combattere questo ripetuto eccedere di atti brutali contro il patrimonio naturale, in particolare in Amazzonia, e stanno pagando con la loro stessa vita. 

In realtà coloro che distruggono la natura che ci circonda lo fanno per rispondere alle necessità di una popolazione mondiale che spinge sul pedale dell’eccesso che a lungo termine è causa di infelicità, anche se al momento dà appagamento. Si mangia troppo, si consuma a dismisura, si usa esageratamente l’automobile. 

Se si parte dalla consapevolezza che ogni bene alimentare e non che viene prodotto corrisponde ad una certa dose di inquinanti dispersi in aria, terra o acqua possiamo anche solo immaginare quanto il nostro stile di vita incida sulla qualità di vita. Gli alberi che ingombrano vanno buttati giù per fare spazio agli allevamenti intensivi che devono rispondere alla domanda globale di carne e questo è solo un esempio. 

Anche il tonno di cui abusiamo in cucina trasforma i mari in terreni di caccia all’interno dei quali intrappolare il maggior numero di pesci che dovranno soddisfare i miliardi di palati che senza quell’ingrediente onnipresente non riescono a vivere. 

Gli adolescenti statunitensi, e in molti paesi europei continuano ad ingrassare e loro sono certo la brutta faccia di una medaglia il cui lato buono, rappresentato dal buonsenso, comincia a dare segni di offuscamento. 

Quello di cibo tra tutti gli eccessi è uno dei più dannosi perché agisce su vari fronti con un effetto a cascata difficile da prevedere. Intanto rifletto sugli altri eccessi che governano la quotidianità. Quando avrei potuto evitare di dire più del necessario o quando ho sbagliato in difetto non pronunciando una parola di conforto. 

Nella nostra costante imperfezione possiamo cercare di aggiustare il tiro e provare a migliorarci, sempre che si abbia la consapevolezza che c’è qualcosa da cambiare. Per il momento posso pensare a quanto le mie esagerazioni, in eccesso o in difetto, incidano su chi o cosa mi circonda.

Dorian Gray direbbe che una vita troppo misurata potrebbe risultare noiosa. Sono certa che se avesse potuto tornare indietro e rinunciare al piacere per salvare l’anima, lo avrebbe fatto. Neanche lui ha avuto la fortuna di vivere due volte.






domenica 18 marzo 2018

Quelli che... non muoiono mai



Ci sono delle persone, il cui nome riesce a sfidare le leggi del tempo riuscendo a rimanere scolpito attraverso i secoli. Nobili rappresentanti di una disciplina, autori di un’ardua impresa, ma ancor di più esseri umani con qualità al di fuori del comune. 

Alcuni di questi talmente al di là di ogni possibile statistica sulle caratteristiche della nostra razza, che non è ben chiaro se per loro il termine morte terrena abbia realmente il senso che ha per tutti noi. Probabilmente no visto che continuano ad esistere, influenzare, incidere, nonostante i secoli, i tanti differenti contesti storici, nonostante il loro fisico sia estinto da lungo tempo. 

Nel suo caso potrebbe essere ancora diverso, visto che lui è realmente anche un fisico, una condizione che non si può estinguere. Lui questa battuta di spirito sulla sua dipartita l’avrebbe fatta, perché oltre ad essere grande scienziato era anche un uomo di spirito e osservazioni acute. L’essere in questione porta il nome di Stephen Hawking, il fisico il cui fisico ci ha lasciato qualche giorno fa, ma questa è una questione di secondaria importanza. 

Anche se potremmo considerarla una perdita enorme per la comunità intera pensando al contributo che avrebbe continuato a dare in ambito scientifico, in realtà dobbiamo riflettere su quanto la sua forza di vivere l’abbia portato ad un età impensabile per la degenerazione neuronale che lo costringeva all’immobilità fin dalla giovane età. Solo corporea perché ha girato il mondo su una carrozzina ultra tecnologica che gli consentiva di parlare attraverso un computer e poter diffondere le sue teorie, dando un esempio di quanto le barriere siano spesso solo nella nostra mente. 

Nel suo caso nessuno avrebbe avuto da ridire se nelle sue condizioni avesse deciso di ricorrere al suicidio assistito, mettendo fine ad un’esistenza di sofferenza. Invece, oltre ad enunciare modelli e teorie in grado di rivoluzionare l’astrofisica, con la sua caparbietà ci sbatte davanti agli occhi la verità. Quella secondo cui solo il cervello può fare la differenza, se vuoi cambiare le cose, puoi, anche costretto su una sedia. 

La quale diventa un palco dal quale puoi annunciare al mondo tante scoperte, ricordando quanto la mente umana sia potente, in grado di superare ostacoli invalicabili sulla carta, rendendo ingiustificabile tanto, diffuso immobilismo da parte di chi si reputa “normale”. Molti di noi potrebbero fare moltissimo per la società, contribuire ad un miglioramento globale, invece di rimanere circoscritto alla sola considerazione di sé e del proprio ambito familiare. 

Hawking ci ricorda quanto sia importante guardare le stelle e qui dovrebbe essere racchiuso il senso di una vita improntata al futuro, di tutti e per tutti.
“ Anche se non posso muovermi e devo parlare attraverso un computer, nella mia mente sono libero.”

La sua concezione del cosmo poteva prescindere dall’esistenza di un’entità divina. Sarebbe quindi possibile spiegare la nascita dell’Universo senza un Dio e non è un concetto di serena accettazione per tutti. In realtà dovremmo considerare che un mondo abitato da cervelli di un tale calibro sarebbe un luogo che ogni Dio desidererebbe per i suoi devoti. 

Pacifico, equilibrato, desideroso di conoscenza, con un occhio sempre puntato al futuro, mosso da una spinta evolutiva rispettosa della natura e di ogni rappresentante del genere umano. 

Lui stesso afferma che nell’Universo nulla è perfetto e nel nostro caso non ci potrebbe essere nulla di più imperfetto, con la prevalenza di sentimenti di prevaricazione, competizione come espressione di uno sfrenato individualismo, perseverante distruzione dell’ecosistema nel quale siamo immersi. 

E questo accade perché i cervelli che possono fare la differenza in senso positivo per il genere umano sono troppo pochi, quelli che ne guidano le sorti ancor meno. Perché coloro che non muoiono mai sono delle preziosissime rarità. Purtroppo.

Per i miei colleghi sono semplicemente un fisico come un altro, ma per il pubblico più vasto sono forse diventato lo scienziato più famoso del mondo. Ciò è dovuto in parte al fatto che io corrispondo allo stereotipo del genio disabile. Non posso camuffarmi con una parrucca e degli occhiali scuri: la sedia a rotelle mi tradisce”. (da Breve storia della mia vita, Autobiografia di Stephen Hawking.)



domenica 25 febbraio 2018

Vi prometto aria pulita e verde ovunque



Pare che dalle nostre parti parlare di ambiente non rappresenti uno slogan in grado di attirare elettori, i quali forse non sentono la mancanza di politici che dimostrano interesse alla questione. 

In netta contrapposizione rispetto ad altri paesi dove persino i leader di partiti storici, abituati ad essere focalizzati sulla propria realtà e piuttosto chiusi alle influenze esterne, comprendono che si rende necessario salvaguardare la salute di chi vorrebbero continuare a governare. 

Che si tratti di reale intenzione o mossa strategica necessaria, la realtà è che il leader comunista cinese al congresso del partito ha parlato di ambiente più che di economia, dando luogo ad una svolta senza precedenti che si è resa anche doverosa per le condizioni in cui versa il paese, stremato da anni di politica disinteressata a salvaguardare l’ecosistema. 

Città inquinate al punto da non riuscire a vedere l’orizzonte, fiumi intossicati dai veleni e una delle più potenti realtà economiche al mondo che necessariamente deve fare i conti con una crescita economica evidentemente poco attenta a non attentare alla salute dei cittadini. 

In verità anche altri leader politici mondiali dovrebbero preoccuparsi di quanto lo sviluppo del loro paese incida sulle possibilità di sopravvivenza del pianeta negli anni, soprattutto se questo paese, come potrebbe essere gli Stati Uniti, rappresenta uno dei maggior divora risorse. Se comincia a preoccuparsene la Cina, seppur costretta dagli eventi, forse dovremmo cominciare a pensare che la questione è davvero urgente.

E l’Italia, in piena campagna elettorale, come si pone di fronte a questo grave problema?

Il punto è che non se ne preoccupa, tanto che gli slogan parlano di ben altro, intrisi di promesse e propositi che più che l’armonia con il mondo circostante inneggiano a sentimenti di contrapposizione, rivalità, esaltazione personale degli stessi leader che li promuovono.

Tanto egocentrismo deconcentra da quanto realmente rappresenta un problema nella realtà e lo smog che uccide ogni giorno o il cemento che annichilisce le bellezze naturalistiche, sono declassati a questioni minori, pronti ad essere condonati per somma gioia degli stessi cittadini che non vedranno modificate le loro abitudini. 

Eppure pare che gli italiani si dicano preoccupati dell’inquinamento da plastica in particolare, non è chiaro se ci sia consapevolezza delle conseguenze dello smog sulla salute, e di quanto sia importante ampliare le zone di verde nelle città al fine di salvaguardare la salute psicofisica dei suoi abitanti. 

Se i leader non ne hanno fatto cenno nei loro slogan, evidentemente i temi non sono poi così sentiti, o comunque nessuno è disposto a sacrificare nulla della sua sfera privata pur di far affluire ai polmoni e al cuore aria più pura, abbassando di parecchio il rischio di ictus o infarto.

In realtà il nostro è un paese che dovrebbe avere molto a cuore il tema della salvaguardia ambientale, sia per il patrimonio naturalistico che ospitiamo, sia per la fragilità di grandi parti del territorio, interessate da rischio idrogeologico e sismico. 

Dovremmo fare molto per proteggere il verde che ci salva dall’acqua e batterci contro il cemento che deturpa quanto di bello rimane, ma siamo disposti a privarci di qualche comodità o opportunità per garantire a noi e alle generazioni future una ben più elevata qualità di vita?

Se nessun politico ha messo in mezzo l’ambiente nei suoi slogan pieni di speranza e ostentato ottimismo, allora la risposta è no. Il tema ambientale era e rimane una questione minoritaria, da trattare nelle ultime pagine del programma di un movimento o da non trattare affatto per tutti gli altri. 

Anche se in realtà investire nell’ambiente ha ricadute economiche e occupazionali non di poco conto, quindi non rappresenta solo una questione di salute o di principio per amanti del verde.

Ammetto che mi sarei fatta influenzare da un leader che avesse fatto proprio lo slogan “Vi prometto aria pulita e verde ovunque”, e non sarebbe stata ingenuità o banale credulità. 

So bene che sarebbe stato difficile assolvere un tale compito il tempo di un mandato elettorale, considerato l’innato ostruzionismo di chi in questo paese deve essere contro sempre e comunque. Lo avrei votato perché anche il solo parlare di ambiente, sollevare il problema con toni così solenni, sarebbe stata una svolta epocale. 

Pulizia dell’aria piuttosto che etnica, verde in ogni luogo invece che ennesimo condono; forse alla fine non se ne sarebbe fatto nulla o quasi, ma le parole hanno il loro valore e sono pur sempre testimonianza di cambiamento anche solo culturale. 
Ed è quello di cui abbiamo davvero bisogno.


domenica 11 febbraio 2018

Da Netflix a Landflix, lo spettatore che diventa protagonista

Quante volte guardando una serie televisiva non abbiamo desiderato essere dentro al contenitore insieme ai protagonisti, vivere con loro quella realtà. Estraniarci dalla quotidianità per essere catapultati in un mondo divertente, poliziesco, thriller, fantascientifico, o bizzarro, a seconda dei gusti e delle inclinazioni di ognuno di noi. 

Per quanto mi riguarda i mondi dei quali avrei voluto far parte, li devo selezionare tra le tante serie che hanno accompagnato la mia infanzia e adolescenza. Tutte amate, ma alcune mi sono rimaste nel cuore. 

Sarebbe stato a dir poco emozionante incontrare l’extraterrestre più simpatico di tutti i tempi televisivi, un giovanissimo Robin Williams proveniente dal lontano pianeta Ork. Mork e Mindy mi ha fatto considerare la possibilità che non fossimo unici in questo Universo.

Quanto avrei voluto per una volta viaggiare attraverso i secoli in compagnia del fascinoso scienziato e del suo strampalato amico Al? Un viaggio nel tempo è riuscito a rafforzare il mio amore per la fantascienza. 

Fame o meglio conosciuto in Italia come Saranno famosi ha abilmente raccontato le vicende di alcuni giovani che cercano conferma del loro talento in una famosa accademia newyorchese. Chi non avrebbe voluto tentare un passo di danza con il talentuoso Leroy?

E quanto avrei desiderato voltarmi verso il piccolo Arnold, durante una spassosa partita a Monopoli e con espressione un po’ minacciosa rivolgergli la famosa frase “Cosa stai dicendo Willis?” che sarebbe diventata: “Cosa stai dicendo Arnold?” riuscendo forse ad accattivarmi la sua contagiosa simpatia. 

La serie è Different Strokes, qui l’umorismo riusciva sapientemente a legarsi alla riflessione su temi importanti quali il razzismo o l’abuso di droghe. Per quanto alcuni attori della serie hanno avuto gravi problemi in questo senso qualche tempo dopo.

Passano gli anni, la tecnologia avanza e può accadere che i sogni di una bambina possano magicamente realizzarsi. La serie cambia il suo contenitore che non è solo più il televisore, ma ad un costo molto basso può essere visualizzata su qualsiasi dispositivo, un computer, un tablet e persino un cellulare.

La rete televisiva americana Netflix lo rende possibile. Una rivoluzione nel mondo cine-tv, ma il mio sogno di tanti anni fa rimane tale e senza possibilità di realizzarsi. 

Fino ad oggi, al momento in cui entra in scena Landflix. Il computer che Netflix ha reso possibile come contenitore delle serie preferite diventa anche il luogo in cui Landflix mi concede il privilegio di accedere a quel mondo proibito per i non addetti. Un gioco che diventa il lasciapassare dello spettatore verso la realtà delle serie tv, e non solo. 

È lui, a questo punto, il protagonista in un nuovo universo che è un connubio, testimone dei tempi che evolvono. Il mondo dei giochi entra magicamente in quello della televisione, stravolgendone i ruoli, mantenendone però l’originalità dei contesti e l’intenzione di chi li ha ideati. Anche i protagonisti conservano i loro connotati, va solo registrata una nuova entrata, una scrittura imprevista, la nostra.

Se vogliamo che questo sogno possa realizzarsi questo è il momento giusto per esprimere la nostra volontà. Siamo nel momento clou della campagna Kickstarter che deciderà le sorti di questo progetto tutto italiano. Fantastico Studio è la società che lo ha creato. 

Il Kickstarter ci dice quanti soldi sono necessari affinché un prodotto si possa realizzare, ed ognuno di noi può partecipare alla sua realizzazione attraverso un contributo, piccolo o grande, che viene addebitato solo se il tutto va a buon fine. Si può decidere di dare anche solo un euro o di offrire la quota necessaria per una copia del gioco più una maglietta o un poster. Più è alto il numero dei sostenitori, più ci sono possibilità che l’idea si concretizzi. 

Sostengo con molto piacere questo progetto, conosco bene le persone che lo hanno creato e quanto duro, durissimo lavoro ci sia dietro. Anni di preparazione, di studio, di ore sottratte al divertimento, nella speranza di emergere nel difficile e competitivo mondo dei videogiochi. 

L’Italia poi non è certo il paese delle opportunità, e se non si hanno le giuste conoscenze che indirizzano verso i grandi finanziamenti si rischia di restare sempre al punto di partenza. Fantastico Studio è nato grazie ad un piccolo contributo da parte di una società già affermata che ha creduto in loro, ora tocca a noi confermare quella fiducia. 

Sarebbe bello creare un precedente nel nostro paese, nel quale i giovani devono crearsi le loro opportunità e dove spesso anche il migliore entusiasmo non è garanzia di successo e la delusione allontana le persone verso altri luoghi. 

Potremmo invertire la tendenza e magari grazie ad un esito positivo avvicinare la gente a questa nuova possibilità, il Kickstarter, ancora poco conosciuto da noi, così che possa essere utilizzato anche per altre idee originali da giovani desiderosi di concretizzarle. Una raccolta fondi basata sull’entusiasmo e sulla fiducia delle persone. Per una volta senza altre condizioni esterne ad inquinare l’onestà delle intenzioni.

In questo caso, c’è anche uno scopo egoistico per me. Un sogno dell’infanzia che si realizza è quanto di più incredibile possa accadere. Se poi i sogni che diventano realtà sono due, il tutto assume l’aspetto di un miracolo. Non accade tutti i giorni che dei ragazzi vengano premiati per il loro merito. Non in Italia.

Andate a questo collegamento per offrire il vostro contributo al progetto Landflix: http://kck.st/2E68a2w





domenica 4 febbraio 2018

Un uomo meno uguale degli altri


Quando ho terminato la visione di questo film, mi sono resa conto che se non l’avessi visto non avrei conosciuto la storia di un uomo che ha fatto la differenza, enormemente. Il film è The Imitation Game e prende corpo dalla biografia di Alan Turing, un geniale matematico che mette le proprie conoscenze a disposizione del governo britannico durante il secondo conflitto mondiale. 

E non solo il suo sapere, in questo caso infatti possiamo parlare di un vero e proprio genio creativo che sviluppa idee così nuove da precorrere i tempi e per questo piuttosto difficili da concretizzare. Ma la situazione durante quegli anni è talmente drammatica da riuscire a scalfire anche i dubbi dei più scettici. Fu così che nacque una macchina in grado di decriptare i codici utilizzati dalle forze armate tedesche, creati da un marchingegno in loro dotazione denominato Enigma. 

Non era un’operazione di poco conto rendere comprensibili quei codici, ma Alan Turing ci riuscì grazie all’uso dell’algoritmo e quindi del calcolo che preannunciava di parecchi anni quello del processore di un moderno pc. Ed è per questo che è considerato, senza il minimo dubbio, il padre della moderna informatica, l’antesignano dello sviluppo dell’intelligenza artificiale che ha permesso agli alleati di superare quella umana. La quale seppure per scopi di distruzione della stessa specie aveva utilizzato una macchina complessa e innovativa, ma fortunatamente non infallibile. 

Turing aveva capito l’importanza dell’uso del calcolo non solo in questioni vitali come può essere l’evitare la devastazione di un conflitto mondiale, ma nella pratica quotidiana. Non era difficile per lui credere che in futuro sarebbe stato possibile replicare la mente umana e proprio seguendo gli schemi del cervello fu possibile creare l’intelligenza artificiale. 

Erano però concetti fin troppo lungimiranti per l’epoca e anche se decifrare i messaggi dei nemici aveva salvato milioni di vite e contribuito all’esito finale, costruire la macchina che lo aveva permesso era stato tutt’altro che facile. Come non lo era mai stato nulla nella sua breve vita. Incompreso sin dai tempi del liceo, in cui pur brillando negli studi matematici era mal visto dai professori che prediligevano le materie classiche. 

Si laureò comunque con il massimo dei voti, dando inizio ad un percorso di studi e sperimentazione in diversi campi, arrivando ad analizzare il rapporto tra computer e natura, fino ad approcciarsi alla cibernetica e all’embriologia.

A quali traguardi sarebbe potuto giungere uno studioso con tali capacità e lungimiranza? Cose inimmaginabili. Grazie all’applicazione della scienza o della cibernetica in medicina e in fase embrionale, si sarebbe potuti arrivare a risolvere situazione di grave incapacità o addirittura curare malattie diagnosticate ancor prima di venire alla luce.

Peccato che queste incredibili chance le abbiamo sprecate perseguitando l’uomo che era in grado di offrircele, così come aveva già fatto con la decifrazione dei codici tedeschi cambiando le sorti della guerra. Impresa per la quale non ricevette mai un riconoscimento in quanto l’attività era segretissima, sia lui che i suoi collaboratori hanno dovuto tacere fino alla morte. 

In riconoscenza a quanto compiuto il governo britannico ha pensato bene di perseguitarlo per la sua omosessualità che era un reato negli anni ’50 persino nella civile Inghilterra e non stiamo parlando di secoli fa. Arrestato, barattò la sua condanna alla detenzione con quella a morte della castrazione chimica ossia l’assunzione forzata di estrogeni che oltre a diversi effetti sul fisico lo portarono lentamente in un baratro di depressione senza via di uscita. Si uccise assumendo del cianuro molto probabilmente messo all’interno di una mela, frutto che era solito consumare. 

Si è dovuto attendere fino al 2013 affinché il valoroso scienziato ricevesse la grazia postuma con tanto di scuse da parte del governo, il quale nella persona del Primo Ministro riconosce che Alan Turing avrebbe meritato di meglio.

Dal momento che non si può porre rimedio ad una tale perdita, si può solo riflettere sulla nostra incapacità di ragionare su larga scala, prendendo come riferimento la società umana nella sua interezza e non il nostro piccolo mondo costruito spesso su giudizi insensati e intolleranza rispetto a ciò che è diverso. Perché il prezzo da pagare per il pregiudizio e la meschinità è alto ed è a carico di tutti indistintamente.

La triste verità è che un uomo non ha lo stesso valore di un altro e uno come Alan Turing vale un salto evolutivo di parecchi anni e la possibilità di arrivare a scoperte eccezionali che in sua assenza potrebbero giungere troppo tardi o non realizzarsi affatto. Quando un genio della sua portata arriva a togliersi la vita, vuol dire che la società umana ha fallito gravemente e deve riconsiderare il modo di porsi nei confronti dei suoi simili.

Più di quanto io abbia tentato di fare attraverso questo post, riporto una frase ripetuta più volte nel film, che ci spiega questi concetti in poche parole:

“Penso che a volte le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose, sono quelle che fanno cose che nessuno può immaginare.”