Il 22 aprile è stata celebrata in tutto il mondo come giornata dedicata alla Terra, niente di più facile che unirsi al coro unendo qualche riga alle tante scritte a favore di un globo maltrattato. Mi sembra così lontano quell’anno, il 1992, durante il quale ebbe luogo a Rio de Janeiro la prima conferenza mondiale dei capi dei governi di tutto il mondo che si riunivano per parlare di ambiente.
Ci si stava rendendo conto che qualcosa nello sviluppo dell’umanità è andato storto e forse era il caso di mettersi attorno ad un tavolo, come fanno le brave famiglie, per parlare di un problema e porre rimedio in tempo utile prima di un grosso guaio.
Il prendere atto che l’azione dell’uomo stava influenzando un cambiamento climatico già in corso o che lo smog era una pericolosa arma di uccisione di massa era un primo, grande passo verso un cambiamento. Lo è se mosso da una reale e preponderante voglia di modificare le regole di un sistema, se si è onesti nel voler mettere da parte i vantaggi personali che derivano da uno stato di cose in virtù di una ragione superiore.
Siamo al vero, grande intoppo in cui l’essere umano il più delle volte inciampa, il rinunciare ad un personale tornaconto a favore di un interesse collettivo, di una condivisione globale di benessere e serenità di cui alla fine beneficiano anche quelli che se ne vorrebbero tirare fuori.
Da allora, anno dopo anno, il problema dell’ambiente ha preso sempre più forma diventando una questione della quale il galateo avrebbe suggerito di non disinteressarsi, la forma nella moderna società dell’apparenza va sempre preservata.
Ecco allora che hanno cominciato a spuntare le giornate della bontà, dedicate a qualche questione umanitaria o ad un aspetto importante che non bisogna dimenticare. L’acqua, l’aria, la Terra o la gentilezza. Fiumi di parole e decaloghi vari in cui esperti o meno, dicono la loro su come salvare un pianeta dalla distruzione, un mare dall’avvelenamento cronico o un cuore dall’incurabile indurimento.
Ci sarebbe da farsi i complimenti, perché da quel lontano 1992, di strada verso la consapevolezza ne abbiamo fatta, ma in termini di conseguenze pratiche la situazione è peggiorata quindi stiamo al punto in cui sappiamo che c’è un problema ma non siamo in grado di uscirne o più semplicemente non vogliamo. In entrambi i casi abbiamo bisogno di un aiuto serio che ci insegni a mettere in piedi un sistema di vita completamente diversa.
Perché la Terra non è il paziente da curare, è solo uno specchio in cui poter osservare il declino dell’umanità, il fallimento di una società basata su principi che non conducono al benessere, quello vero, che non è rappresentato da quello economico, anche se nel nostro caso purtroppo coincidono.
Una moltiplicazione di prodotti e sentimenti che spinge verso il soffocamento, una totale concentrazione su sé stessi che fa dimenticare il resto, e durante l’affannosa corsa verso questo famigerato appagamento distruggiamo alberi e cuori.
I politici che nel tempo hanno disatteso le promesse di Rio sono andati di pari passo con i poteri economici che sostenevano una produzione di massa alimentata dai consumatori che siamo noi, quindi tutti ma proprio tutti sono i responsabili di questo sfacelo planetario. Incentrato sulle necessità individuali basate su bisogni non essenziali che la società ha fatto diventare irrinunciabili, ragion per la quale è inutile parlare di alberi da non abbattere a chi fa del consumismo ingiustificato una ragione di vita.
Sarebbe più efficace se i governi di tutto il mondo mettessero in piedi politiche di diffusione di valori quali la condivisione, il rispetto della collettività da considerare come entità superiore all’individuo stesso. Ci è stato detto più volte che noi siamo importanti, ci è stato spiegato quanto sia necessario valorizzarci come individui, come trovare la strada verso la felicità.
Qualcuno ci avrebbe dovuto dire che questo sentiero va tracciato nel bel mezzo di una moltitudine di altre creature, di carne, ossa e clorofilla e se decidiamo di non fare attenzione, calpestando e schiacciando, ne paghiamo le conseguenze.
L’uomo ha bisogno sia dell’aiuto che della compagnia dei suoi simili, nonché di quanto per sopravvivere trae da piante ed animali, potremo quindi continuare ad esaltare la nostra individualità fino a renderla un odioso egocentrismo?
Siamo importanti in quanto parte di un insieme, senza il quale siamo niente. Il sentirsi al centro dell’Universo non ha ragion d’essere su un pianeta che probabilmente all’interno di una vastità spaziale è a sua volta un puntino molto piccolo.
Ma cosa sarebbe quella vastità senza quel puntino?
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