La storia scrive nel suo lento ma anche veloce trascorrere, brutte pagine di violenza e sopraffazione che dovrebbero indicarci una diversa strada per il futuro progredire della specie. Ci troviamo nell’anno 2018 ed è ancora lontano un punto di svolta, quello che ci porterà ad una concezione del vivere insieme sullo stesso pianeta del tutto differente da quella odierna.
Nell’altra faccia della stessa medaglia, quelle pagine ci mostrano la parte luminosa dell’essere umano, incredibilmente ingegnosa, che sfida le leggi del tempo. Ed eccoci che noi stessi rimaniamo estasiati ad ammirare i frutti di un così grande intelletto, nella speranza che prenda il sopravvento sulla parte oscura, quella che non vorremmo ci appartenesse.
Impossibile non cedere alla tentazione di una beata contemplazione di quanto è stato prodotto in campo artistico soprattutto per chi vive in un paese quale è l’Italia che ha dato i natali a uomini di ingegno e talento superiori, ineguagliabili.
Decido che è giunta l’ora che torni in quel di Firenze, culla d’arte e sapere, luogo privilegiato dove speri di perderti in solitudine circondata da tanta bellezza, per la quale non sono ancora stati coniati i giusti termini per descriverla. Ma rimango delusa, perché quella solitudine è una chimera.
Come biasimare migliaia e migliaia di persone che come me desiderano bearsi di tale magnificenza, interrogandosi sul come sia possibile che l’essere umano sia in grado di creare così tanta bellezza e macchiarsi di orrendi crimini. Quando decido di concentrarmi su ciò che vedo distogliendo il pensiero dal lato oscuro, ha inizio un’esperienza totalizzante.
Immersa in un luogo reso eccelso dai suoi artisti, il cui talento fu alimentato fino a raggiungere livelli impensabili da grandi estimatori delle arti e della cultura quali erano i Medici. Fino all’ultimo atto di generosità verso le generazioni future, Il Patto di Famiglia firmato dall’ultima rimasta della casata, Anna Maria Luisa de’ Medici che di certo la fa ricordare per la sua saggia lungimiranza. Grazie a lei, chi è venuto dopo, il casato asburgico dei Lorena non ha potuto portare via nulla, tutte le opere d’arte dovevano rimanere per ornamento dello Stato, utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri.
Ed è così che entrando a Palazzo Pitti, ogni stanza pullula di tale meraviglia firmata da nomi quali Tiziano, Tintoretto, Botticelli, che non si sa dove posare lo sguardo che inquieto continua il suo vagare fino a quando si ferma perché non riesce a staccarsi dalla celeberrima creazione del David alla Galleria dell’Accademia. Giorgio Vasari artista e storico contemporaneo di Michelangelo scrisse “…E certo chi vede questa non dee curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o negli altri da qual si voglia artefice…”
Parla delle opere altrui ma il Vasari è coautore di un Giudizio Universale dipinto all’interno della cupola della Cattedrale che mi tiene con il collo piegato in totale e devota ammirazione, la stessa che mi fa dimenticare del rumore delle voci e del susseguirsi delle braccia che si sovrappongono a fermare l’immagine della sublime, incantata Venere del Botticelli agli Uffizi.
Dopo un’altra giornata che mi rimette in pace con il mondo e mi fa ancora avere fiducia nel genere umano, mi fermo ad un caffè per riposare il fisico provato da tanto girovagare.
Il luogo è particolare, caldo e sofisticato, sento che potrei passarci interi pomeriggi a scrivere.
Nel lento calare della sera, non riesco ancora ad elaborare tanta bellezza assorbita tutta d’un fiato e mentre aspetto che la cioccolata si freddi, mi giro verso lo specchio che riflette l’immagine di un uomo che non ho visto entrare, vestito in abiti di altra epoca, nella qual barba lunga e non curata ho creduto di riconoscere il maestro Michelangelo Buonarroti.
Si siede davanti a me, sistema le sue vesti come se non fosse la prima volta in quel luogo.
“Quando lascerà la città?”
Non so se faccio parte di una fortunata casualità o se sono l’ennesima turista con cui decide di scambiare qualche parola, potrebbe anche essere la terribile stanchezza a giocarmi un brutto tiro.
Lui non si fa scoraggiare dal mio silenzio.
“Capisco quanto possa essere difficile, io quando ho dovuto partire per Roma, lasciando alcune opere non ancora compiute, non ho dormito le notti seguenti.”
E se fosse tutto vero per quanto terribilmente assurdo? Non posso perdere quest’opportunità. Mi faccio forza e comincio a pensare a tutto quello che vorrei domandargli.
“Maestro è un onore per me, stare qui con lei. Le sue opere la rendono eterno.”
Scoppia in una risata benevola. “Sono qui a dimostrarlo! In verità sono solo un’artista che ha saputo fare bene il suo lavoro.”
“Come può essere così modesto? Lei ha creato dei capolavori!”
“Così son stati giudicati e ne sono felice, ma ricordi… la bellezza è negli occhi di chi guarda e ammirare un’opera d’arte è un viaggio del tutto personale.”
“Ciò che oggettivamente è bello non può essere giudicato altrimenti, chiunque non può affermare il contrario” dissi con decisione.
“L’uomo è capace di distruggere il bello, e le macerie sono tutte uguali.”
“Ma è stato anche capace di salvare molte opere dai danni dell’Arno o del tempo che passa.”
“La crudeltà o la beatitudine son delle scelte. Quando tutti decideranno di cercare solo la bellezza, quella spirituale, allora cesseranno le meschinità.”
A quel punto non potei fare a meno di chiedergli: “Maestro, esiste Dio?”
Lui sorrise toccandosi la lunga barba: “La fede è nel cuore di chi crede…”
Rimasi qualche secondo attonita. Sono sicura che non mi avrebbe fatto la scortesia di non rispondere alle altre domande che avevo in serbo, ma commisi l’ingenuità di abbassare lo sguardo verso la tazza di cioccolata fumante che man mano disperdeva il suo calore.
Quando lo rialzai lui non c’era più. Svanito come il vapore che lentamente si disperdeva davanti ai miei occhi.
Con un po’ di dispiacere mi voltai verso la cupola del Brunelleschi, immersa nell’oscurità del cielo, in sospeso tra pioggia e tramonto. Non avevo parole per descrivere la bellezza di ciò che stavo osservando. Anzi sì. Sublime.
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