martedì 22 dicembre 2015

Il senzatetto più famoso del web


Ieri ho visto un’intervista di Fabio Fazio a Richard Gere, andata in onda domenica scorsa. Parliamo di un attore famosissimo che quasi alla soglia dei settant’anni ha fascino da vendere a molti altri. Ma non è di questo che voglio parlare. Mi interessava sentire ciò che aveva da dire un uomo che pratica buddismo da molti anni, particolarmente vicino al Dali Lama e, cosa che non sapevo, sostiene da molti anni Survival International. Si tratta di un’organizzazione che difende i diritti umani dei popoli indigeni e tribali nonché il loro habitat da qualsiasi forma di persecuzione o razzismo. Mi sembrano ottimi motivi per rimanere ad ascoltare quanto ha da rispondere alle domande di Fazio.

Rispetto agli attentati di Parigi dice che i cattivi sono pur sempre persone e che si possono redimere, e che noi, ipoteticamente buoni, dovremmo saperli perdonare. A questo punto cita concetti di un certo peso quali la compassione e l'empatia. La prima è un sentimento di sofferta partecipazione ai mali altrui, mentre la seconda è il processo psicologico per cui ci si identifica con un'altra persona riuscendo a condividerne le emozioni. Qui metto in pausa il video e mi fermo a riflettere. 

Penso che se ogni essere umano possedesse queste che hanno tutta l'aria di essere delle virtù degne di santificazione, beh allora vivremmo su un pianeta che non è l'attuale. Se parliamo di perdono allora diventa ancor più difficile quando si devono fare i conti con un amico o un familiare perso a causa di una furia omicida all'apparenza senza spiegazione. Però penso che se un buddista praticante come lui, parla in questi termini probabilmente si tratta solo di esercizio, meditazione, concentrazione e alla fine si può arrivare ad essere, se non all'apice della perfezione, almeno degno di continuare ad occupare un posto su questa terra. 

A questo punto avrei voglia di togliermi tanti dubbi ed invece mi tocca subire l'accostamento di due fotografie, il Dalai Lama e il Papa, e la necessaria domanda di Fazio su cosa possano avere in comune i due.  

Richard, costretto a rispondere, dice che senz'altro vogliono entrambi la felicità degli altri prima che la propria, anzi in realtà non parlano per loro stessi perché non sono degli egocentrici. Alla voce egocentrismo il dizionario mi risponde: "Tendenza a porre se stessi al centro di tutto, subordinando ogni cosa al proprio interesse personale, alla propria volontà e ambizione" praticamente i cardini su cui è fondata l'esistenza di gran parte dell'umanità. 

Forse qualcuno penserà che esagero, però subito dopo Fazio diffonde la foto di Richard acconciato da barbone per un film e lui ammette che in 45 minuti in cui era circondato da tantissime persone, nessuno lo ha riconosciuto, neanche degnato di uno sguardo più approfondito. Insomma ce n'è da fare tra meditazione, riflessione, lavoro su noi stessi per migliorarci e rendere questo un posto migliore dove vivere. 

Però su web l'abbiamo degnato ben più che di qualche occhiata visto che la foto ha ottenuto 85 milioni di visualizzazioni. Forse su in rete la bontà per esprimersi non ha bisogno di laboriosi processi mentali, scorre veloce e senza intoppi. Qualche click e siamo tutti assolti, almeno secondo la nostra personale coscienza, perché il buon Dio potrebbe non essere del tutto d'accordo. 

Ma Gere, l'affascinante Richard, dice che lui i social non li frequenta ed io mi chiedo perché un uomo di tali vedute si debba tenere tutto questo sapere per sé. Forse ancora non sa che i click sono più miracolosi di qualsiasi insegnamento parlato. 

Alla fine di tutto penso che è una bella persona, in tutti i sensi e con un click stoppo il video.


giovedì 17 dicembre 2015

TransAmerica



                                                          Il testo contiene spoiler

Un altro film on the road. Un altro viaggio verso la scoperta di un nuovo sé stesso, verso una nuova identità sessuale e non solo. Deve anche immedesimarsi, suo malgrado, nel suo nuovo ruolo di genitore che non sapeva di essere. Bree, la protagonista, guarda al futuro con la speranza di chi vede avvicinare la concreta possibilità di esprimere veramente sé stessi, di amarsi, di amare realmente, essere felici insomma. 

Ma deve fare i conti con un passato che torna, portando i nodi di un amore sbagliato, l’unico amore etero della sua vita. Se nodi possiamo definirli, visto che parliamo di un figlio di cui non conosce nemmeno l’esistenza e che almeno apparentemente rappresenta un ostacolo per il suo nuovo futuro come donna. 

Toby, il figlio in crisi di astinenza da droghe e da affetto, avrebbe davvero bisogno di suo padre, anche se questo si rivelasse una donna mancata. La cosa che più stupisce Bree è scoprire di sentire un enorme vuoto nella sua vita, proprio nel momento in cui diventa una lei. Ha conquistato finalmente la sua giusta identità, ma ha perso suo figlio, sconvolto da una pesante verità. 

E se due persone che hanno bisogno l’una dell’altra, prima se ne rendono conto e poi si trovano, è davvero festa grande. Perlomeno è così che dovrebbero terminare tutte le storie.

Toby, il figlio inconsapevole rivolto a Bree: “Perché mi hai fatto uscire di galera? Eri venuta a chiedere chi aveva bisogno di aiuto?”  Beh, vaff… non ho mai sentito di una Chiesa di trans!”

“Così pensi che io non abbia il diritto di appartenere a una Chiesa?” gli risponde Bree con fermezza. “Il mio corpo forse è in corso d’opera, però la mia anima non lo è di sicuro. Gesù mi ha fatto così per una ragione, perché io soffrissi e rinascessi come ha fatto lui.”

I genitori di Stanley quando lo rivedono dopo la sua trasformazione fisica in Bree: “…senti ci serve solo un po’ di tempo, noi ti amiamo, ma…” Interviene la madre: ”… non ti rispettiamo. Non capirò mai perché mi stai facendo questo!”   

Bree esasperato: “Non ti sto facendo niente, ho una disforia di genere. È un disturbo genetico.”  

“Non dare la colpa a tuo padre e a me di questo!”

Amareggiato per il comportamento dei genitori, Bree si confida con Toby: “Vorrei soltanto che una volta mi guardassero e vedessero me, tutto qui. Che mi vedessero veramente…”

“Ti trovo sexy Bree, cioè… io credo di vederti” le rivela il ragazzo, lasciandola senza parole.


domenica 13 dicembre 2015

Ora tocca a noi preoccuparcene


È terminata la Conferenza sul clima ed io ho appena finito di leggere un articolo su Le Scienze, edizione italiana dell’autorevole Scientific American, riguardo al clima. Non ci sono dubbi: gli scettici, coloro che temporeggiano, i cauti fino all’eccesso, dovranno ricredersi, perché i dati dai quali emerge che il riscaldamento globale è causato dalle attività dell’uomo sono basati da diverse induzioni che convergono una sull’altra. 

Partendo dalla meteorologia passando per l’oceanografia tutte le prove confluiscono su un unico colpevole: l’uomo e le sue attività. Sono stati presi in considerazione diversi elementi tra i quali lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento dei livelli del mare e tutti i dati estrapolati danno origine ad un’unica teoria. 

Ma ci sono studiosi che dicono che l’aumento della temperatura non è colpa dell’uomo? il 3 per cento del totale degli studi sul cambiamento climatico dicono che non è così, ma hanno presentato diversi errori e non sono riusciti a convergere su nulla.
Una volta dimostrato che la colpa di questo sfacelo climatico è nostra, c’è da chiedersi cosa possiamo anzi dobbiamo fare. 

Perché il punto è anche questo, non dobbiamo sentirci impegnati a farlo come se fosse un compito di scuola. Non stiamo facendo un favore a nessuno in particolare, se non a noi stessi e alle generazioni future, delle quali, almeno a parole, dimostriamo di tenere più di ogni altra cosa. Ci sono un bel po’ di stili di vita da modificare e rendere compatibili con la sopravvivenza della specie umana sulla Terra. 

L’uso dell’automobile su tutto. Non ci possiamo permettere di abusarne, per fare piccoli spostamenti, per accompagnare il figlio alla scuola che dista qualche centinaio di passi dall’abitazione, per sostituire sempre e comunque il pullman o il treno. Purtroppo la rete dei trasporti pubblici in Italia non è efficiente, lo sappiamo. Ma quello che ci troviamo a fronteggiare è un problema serio e tutti i problemi di una certa portata comportano soluzioni impegnative. E comunque non basterebbe. 

Dovremmo ottimizzare i consumi di energia anche nelle nostre case, evitare gli sprechi e convertire il consumismo eccessivo in acquisto ponderato, per esempio non cambiando gli oggetti anche quando sono perfettamente funzionanti. Produrre un cellulare ha un costo ecologico altissimo, quindi inquina e molto. Ricordiamocelo ogni volta che per capriccio decideremo di acquistarne uno nuovo. 

A meno che qualche alieno impietosito non deciderà di venire a salvarla, la Terra e quindi il nostro futuro è solo nelle nostre mani. 

Link alla notizia su Le Scienze


giovedì 10 dicembre 2015

Signora, se non cederà il suo posto, sarò costretto a chiamare la polizia...

Il bus continua la sua corsa, lenta ma regolare, verso le abitazioni dei suoi passeggeri. Una di loro, Rosa Parks, torna dal suo lavoro di sarta; i piedi stanchi e doloranti le ricordano impietosi la pesantezza della giornata. Le sembra di trovare un certo conforto nell’abbandonare senza remore il suo corpo su quel sedile. Il paesaggio continua a scorrere al di fuori del finestrino, mentre la stanchezza si attenua lentamente.  Sembra una serata come tutte le altre, ma quello che accadde di lì a breve, deviò grandemente l’andamento degli eventi futuri. 

L’autista ferma il pullman, si alza e si avvicina alla signora Rosa Parks: “Signora, non può occupare questo posto. Deve alzarsi, sono posti riservati…” indicando un signore che attendeva per prendere il suo posto. Siamo nell’anno 1955 e in Alabama vige la segregazione razziale. Rosa Parks, cittadina di colore deve cedere il proprio posto, ad un cittadino bianco, nel settore comune, quando sono terminati in quello a loro riservato. 

L’autista sta aspettando che lei si attenga alla legge, ma Rosa con un cenno del capo, breve ma deciso, si rifiuta, per poi voltarsi nuovamente verso il finestrino.
“Signora, non glielo chiederò una seconda volta, deve alzarsi subito. Se non lo farà, sono costretto a chiamare la polizia!”. Potrebbero essere stati proprio questi i dialoghi di quel 1° dicembre 1955, a Montgomery, perlomeno dalle fotografie scattate io li ho immaginati così. 

Come era prevedibile, Rosa da quel sedile non si alzerà, fino a quando i poliziotti non la preleveranno dall’autobus per portarla in carcere. La storia era già cambiata. Le proteste dei giorni successivi furono così pesanti ed estese che nel 1956 la Corte Suprema dichiarerà incostituzionale la segregazione sui pullman pubblici dell’Alabama. 

Il pastore Martin Luther King impegnato a decidere con la comunità afroamericana le azioni da intraprendere dopo il suo arresto, disse di lei: “l'espressione individuale di una bramosia infinita di dignità umana e libertà”.

Sono passati 60 anni da quel giorno e 10 da quando Rosa Parks ha lasciato questa Terra, e tutti noi continueremo a parlarne e a ricordare. Perché lei fa parte della categoria delle persone senza tempo, di coloro che mettono in gioco sé stessi quando la posta in gioco è altissima, di quelli che l’unica arma che imbracciano è il loro infinito, dignitoso, disarmante coraggio. 

Grazie Rosa Parks a nome di tutti quelli che come te credono nell’uguaglianza dei diritti, perché come disse Martin Luther King tu hai agito in nome di una “sconfinata aspirazione delle generazioni future.” 


domenica 6 dicembre 2015

Un serio problema che avanza nel disinteresse generale. Eppure...


Eppure, prima o poi, potremmo arrivare ad un punto di non ritorno. E non sarà meno pericoloso dell’autodistruzione che abbiamo deciso di avviare tramite le decapitazioni, i bombardamenti, le mitragliate ammazza folla e quanto di più altamente distruttivo ci verrà in mente di volta in volta. In questi casi la fantasia non ci manca e abbiamo anche sempre pronto più di qualche aguzzino che sfodera una soluzione in grado di mostrare la forza, a scapito di tante vite incolpevoli. 

C’è un problema di cui i giornali parlano solo in occasioni di catastrofi che non possono fare a meno di ignorare, e che la maggior parte delle persone tratta come una di quelle questioni fastidiose delle quali si può decidere di disinteressarsi. Questi giorni se ne sta discutendo a Parigi in una conferenza mondiale, di cosa è presto detto. 

La comunità scientifica si è espressa chiaramente nell’indicare che sarebbe il caso di non superare la soglia dei 2°C di riscaldamento rispetto all’epoca preindustriale.” A noi 2° in più o meno di temperatura sembra un niente, ma la natura è fatta di equilibri e le attività dell’uomo sulla Terra li sta rompendo forse per sempre. Gli impatti potrebbero essere molto pesanti e creerebbero una situazione da cui difficilmente potremmo tornare indietro, appunto.

Allora decido di farmi un giretto in rete alla difficile ricerca di notizie che possano darmi un’idea di quanto è grave la situazione. 
Cominciando proprio dall’Italia un articolo su Repubblica dice che “L’Italia è il Paese dell'Unione europea che segna il record del numero di morti prematuri rispetto alla normale aspettativa di vita per l'inquinamento dell'aria.” 

Passo poi al disastro ambientale avvenuto in questi giorni in Brasile “Più di 60 milioni di metri cubi di fanghi tossici provenienti da una miniera di ferro hanno raggiunto l’Oceano Atlantico nello stato di Espirito Santo. Migliaia di pesci sono già morti…

Piuttosto intimorita continuo la ricerca di informazioni che mi aiutino a delineare un quadro della situazione ed arrivo ad un articolo di Wired.it dove trovano conferma le mie impressioni sul disinteresse generale a questi fatti, mentre appunto viene data notizia di pesanti incendi in Indonesia “L’aria è talmente inquinata che bastano dieci giorni per ammalarsi, anche indossando una maschera anti-gas. Dite che ignoriamo tutto questo perché l’Indonesia è lontana? Eppure, pare siamo stati noi a provocare tutto questo, per far spazio alle merendine negli scaffali dei nostri supermercati, cioè per produrre olio di palma, e come denuncia Greenpeace sarebbero una ventina le multinazionali indagate.” 

Stremata arrivo all’articolo in cui si parla della Conferenza sul clima nella speranza che i Paesi del globo siano talmente allarmati da tale situazione che si attiveranno in maniera frenetica per cominciare a fare qualcosa, subito. Ed invece ognuno è preoccupato del proprio sviluppo economico e “…rischiamo di avere un accordo che comunque non consentirà di raggiungere l’obiettivo voluto e che, tra l’altro potrebbe risultare anche meno efficace se poi i singoli Stati, lasciati senza obblighi legalmente vincolanti, non faranno ciò che hanno promesso.

L’articolo di Antonello Passini conclude dicendo che l’unica vera soluzione verrà dalla consapevolezza ambientale dei singoli cittadini, gli unici in grado di adottare scelte virtuose dal punto di vista economico e fare pressione sui politici affinché prendano decisioni efficaci. 

L’unico fattore che sembra determinante in tutta questa mala faccenda e che scorre inesorabile, nonostante la costante inerzia, l’imperdonabile negligenza, l’inspiegabile indifferenza è… il tempo. 

Lui no, non ci perdonerà. 











mercoledì 2 dicembre 2015

Un tacchino in segno di ringraziamento

Venerdì scorso si è svolta la più famosa maratona di sconti che dall’America si è poi diffusa in tutto il mondo: il Black Friday. Il Venerdì Nero è successivo ad un giovedì di Novembre, il quarto per la precisione, festeggiato ufficialmente negli Stati Uniti dal 1789. Da quando il primo presidente, George Washington, proclamò una giornata nazionale di ringraziamento. 
Ma ringraziamento per cosa? 

Per saperne qualcosa di più bisogna andare parecchio indietro nel tempo, quando, nel 1621, un gruppo di Padri Pellegrini perseguitati in patria per le idee religiose troppo integraliste, decise di abbandonare l’Inghilterra, per raggiungere le coste del Nord America. Decimati dal viaggio e con l’inverno alle porte, organizzarono la semina di quanto portato dalla madrepatria sulle nuove terre che li ospitavano. Il raccolto, però, non andò come sperato e la metà del gruppo morì di stenti, gettando un’ombra sinistra sul loro nuovo futuro. Un gesto di fratellanza cambiò ogni cosa perché gli abitanti di quei luoghi indicarono agli stranieri le piante da coltivare e gli animali da allevare. 

E fu un tripudio di granturco e tacchini che i Pellegrini non poterono ignorare; anzi l’abbondanza di frutti e pennuti fu tale che non poterono fare a meno di festeggiarla, insieme ovviamente ai loro amici indigeni. 
Bella conclusione, mi son detta, per una storia cominciata con un bel po’ di morti sul campo ed invece grazie alla solidarietà umana, finisce in un ringraziamento a Dio per quanto ricevuto, che si trasmette nei secoli fino ai giorni nostri.

Ed invece no, qualcuno doveva guastare la festa, proprio quando la festa da privata diventò pubblica. Nel 1676 il governatore di una contea del Massachusetts, aveva deciso di indire un giorno di ringraziamento per la buona sorte della comunità e fin qui tutto bene, ma lo stesso giorno servì per celebrare la vittoria contro gli "indigeni pagani", cioè gli stessi nativi americani, senza l’aiuto dei quali i Pellegrini probabilmente sarebbero morti di privazioni. 

Erano passati solo cinquant’anni da quel gesto tanto nobile, eppure qualcuno è riuscito a farne motivo di rivalsa contro coloro che l’avevano compiuto.  
Noi, i posteri che continuano a festeggiare con menu ricchi di tacchini, granturco ed altri frutti della terra che il buon Dio donò ai Padri Pellegrini secoli prima, non possiamo dimenticare ciò che venne compiuto in quei luoghi.

Un segno di umana solidarietà verso degli stranieri che fuggono da persecuzioni in atto nella loro madrepatria. La storia si ripete, sempre. Anche la solidarietà dovrebbe.

Io, ogni volta che vedrò il tripudio in onore dei tacchini, il quarto giovedì di Novembre, mi fermerò a riflettere su quel gesto. Voglio farlo diventare uno dei buoni esempi da seguire. 

Quale simbolo migliore, se non un grande, ingombrante tacchino. 

Non passa inosservato, proprio come dovrebbe essere per i gesti nobili.