domenica 29 gennaio 2017

Chi verrà al mio funerale?


Un giorno di molti anni fa, ai tempi della scuola media, Manuela, una mia compagna di classe mi disse una frase che ricordo nitidamente ancora oggi: “Vorrei essere presente al mio funerale per vedere chi partecipa.”

Non so perché mi sia rimasta impressa tutti questi anni. Forse parlare della morte non è così usuale, a quell’età lo è ancor meno; magari voleva avere la prova di chi, tra suoi compagni di classe, tenesse veramente a lei. 

Fatto sta che io quella scena la pensai, dando il via ad un fervido lavoro di immaginazione che mi ha portato negli anni a vedere oltre il reale, e poi a volerlo fissare sulla carta. 

Il suo, il mio, una bara, dei fiori, il volto dei partecipanti non lo ricordo, però erano tanti. Nella fantasia sono stata benevola. Perché è anche così che si dimostra l’affetto, o no?

Cerchiamo sempre l’approvazione degli altri, ed in parte è anche normale che sia così. Viviamo in una società e nel momento in cui veniamo a mancare, chi ci ha conosciuto dovrebbe farci sapere quanto la nostra assenza si farà sentire. Sempre che consideriamo la maggior parte delle persone che partecipano, sinceramente commosse. 

Molta gente presenzia semplicemente perché si deve fare, per la solita pura questione di apparenza. “Se tu non vai ai funerali degli altri-disse con tono fermo al padre-essi non verrano al tuo.” Clarence Day (1847-1935) ne La vita col padre. 

Altri per accertarsi, prima che la bara venga chiusa, che la persona sia veramente passata a miglior vita. Così da potersi sollazzare con quanto di materiale, il defunto andato ha accumulato durante la sua esistenza. La medesima rassicurazione che cerca chi desiderava quella morte per motivi diversi da quelli essenzialmente materiali, allo stesso modo non lusinghieri. 

A quanto pare Manuela non è la sola ad aver avuto questo bizzarro pensiero, per quanto lei ha battuto tutti sul tempo formulandolo in giovane età.  

La scrittrice anglo-irlandese Maria Edgeworth nata nel 1767 fece un’analoga riflessione nel libro Castle Rackrent: “Come mi piacerebbe vedere il mio funerale prima di morire!” Il fatto che abbia scritto anche per bambini, potrebbe non essere un caso. 

Se si riesce a mantenere un atteggiamento di leggerezza rispetto alla vita, si riesce a parlare serenamente anche di morte e perché no anche a riderne, come ha fatto Cesare Zavattini. “Ho visto un funerale così povero, che non c’era neanche il morto, nella cassa. La gente dietro piangeva. Piangevo anch’io, senza sapere il perché, in mezzo alla nebbia.”

C’è chi riesce ad essere rivoluzionario anche nel momento del suo funerale come il poeta francese André Breton (1896-1966): “Per quanto mi riguarda, chiedo di essere portato al cimitero in un furgone da sgombero.”

Se qualcuno mi chiedesse se ho pensato al mio funerale dovrei dire di sì, perché chi scrive è abituato a fantasticare. Come lo immagino? Più che altro come spero che avvenga. In un giorno di pioggia violenta e molto, molto vento. 

Così da far desistere tutti, tranne quelli che hanno cuore per darmi un saluto prima del mio nuovo viaggio. Ovviamente avrò da scriverci sopra, è una situazione così bizzarra. Anche se chi leggerà non sarà fatto di carne ed ossa. 

A funerale fatto ognuno torna a casa. Chi si avvia a tornare alla sua adorata routine, chi invece deve fare i conti con un vuoto da colmare.
Anche se la persona alla quale abbiamo voluto così tanto bene, vorrebbe proprio che non rovinassimo i giorni futuri, farcendoli di ricordi nostalgici e di rimpianti. 

Il funerale chiude una vita e si spera ne apra altre. Quelle di coloro che hanno deciso di rendere davvero onore agli amati defunti, rendendo radiosa la propria esistenza. 

Dimenticavo che il funerale, almeno nei miei piani, si dovrebbe svolgere su un colle molto ripido che insieme alla ventosa pioggia di cui sopra, lo renderebbe un evento per appassionati. 

Magari anche ci mi ha voluto un bene sincero, desisterebbe per ovvie difficoltà pratiche, e mi ritroverei in cima, sola, insieme ad un temerario becchino. 

Non cambierebbe la realtà delle cose, sarei sempre morta, ma di certo avrei materiale decisamente interessante su cui poter sfogare la mia fantasia. Che spero rimanga sempre viva. Almeno quella.


domenica 22 gennaio 2017

Bello Figo, potente antidoto al terrorismo


“Quando ero ragazzo, passeggiando per Parigi, mia sorella ha urtato per sbaglio un uomo, che ha sputato a terra e l’ha chiamata “sporca araba”. Quel giorno ho capito che cosa sarei diventato», ha dichiarato qualche anno fa un attentatore francese.

La società è come un terreno coltivabile, dove i germogli che potrebbero diventare bellissimi alberi rigogliosi di frutti, se non amorevolmente curati rischiano di trasformarsi in pericolose piante infestanti. 
Le amorevoli cure sono rappresentate dal rispetto, dalla gentilezza, dall’onestà di pensiero che vede tutti gli abitanti di questo globo persone con i medesimi diritti.

In una società con queste caratteristiche non c’è lavaggio del cervello che funzioni, non c’è necessità di entrare a far parte di un gruppo ristretto per sentirsi amato e considerato. Non ci sono buoni motivi per reputare tutti quelli che non vi appartengono nemici la cui vita vale meno di niente. 

In un momento di smarrimento si può arrivare a credere nelle parole di uno o più comandanti che sembrano indicare la giusta via, che fanno veramente pensare che quella è la perfetta occasione per sacrificare anche la propria vita. In nome di un ideale che salva l’anima, i peccati e distrugge l’entità nemica.

E se la persona perseguitata da mille dubbi comincia a pensare filtrando a dovere i messaggi estremi? Se  improvvisamente la società diventa il gruppo dove ognuno si sente più forte e con le stesse opportunità degli altri? A quel punto quegli “altri” non rappresentano più un bersaglio così allettante.

Tutti siamo chiamati a lavorare sodo per rendere una società giusta, un luogo dove ci si sente a casa, senza amici e nemici, sfruttatori e sfruttati. Anche se si è costruita nel corso della storia proprio sui rapporti di forza, la necessità di prevalere, l’assoluto rifiuto della condivisione. 

Se ci ritroviamo in una collettività globale fondata sulla prevaricazione e sul conseguente desiderio di dominare, sia per pura brama di potere che per meri interessi economici, possiamo prendercela solo con noi stessi.

Sì ma in tutto questo Bello Figo cosa c’entra? 

Assistevo per caso alla visione, via YouTube, del dibattito infuocato tra lui, il re dello Swag e alcuni partecipanti, tra cui esponenti politici. Loro inveivano contro, mentre lui pacificamente, rispondeva che le sue sono solo provocazioni ad arte. È stato allora che ho avuto un’illuminazione.

Descrizioni volutamente grottesche della vita di un immigrato nel nostro paese, di ciò che desidera e che magicamente riesce ad ottenere.  Sembrerebbe palese che non si sta prendendo gioco degli immigrati, semplicemente enfatizza per far discutere del problema. Invece diventa a sua insaputa il capro espiatorio di ogni risvolto negativo dell’immigrazione, della povertà di altri, dell’incapacità di chi è deputato a risolverli.

Ma lui se la ride, risponde con uno sguardo benevolo alle invettive, non mostra risentimento, è l’esempio perfetto dell’immigrato che ha fatto successo, che si sente parte di una comunità, che non veste i panni disperati dello straniero suggestionabile.

Su un giornale è stato scritto che grazie a queste canzoni spregiudicate, riesce a guadagnare molti soldi e a permettersi auto, vestiti, gioielli.  In realtà quando si è abbastanza acuti da capirne il senso, ci si rende conto che colui che risponde che l’Italia è il suo paese, che riesce a parlare in maniera ironica di questioni importanti e a carpire l’attenzione di giovani come lui che ne fanno un’icona è l’antiterrorista per eccellenza. 

Quello che nessuna organizzazione estremista andrebbe mai a cercare, ben integrato, scarsamente influenzabile, con tutta l’intenzione di vivere pienamente la sua vita, un bene per nulla sacrificabile. 

Dovremmo solo sperare di averne a migliaia di Bello Figo intorno a noi. L’ineccepibile esempio di immigrato che ogni società evoluta vorrebbe ospitare. 

Un luogo dove sentirsi più sicuri e magari riusciremmo anche a divertirci con la sua ironia.



domenica 15 gennaio 2017

Se la bufala non è una mozzarella


Leggendo la traccia di un tema assegnato da una professoressa ad una classe di seconda superiore, ho pensato che ci sono delle volte in cui chi insegna si rivela brillante. Semplicemente perché cerca di sviluppare in chi si prefigge di educare uno spirito critico, quell’andare oltre l’apparenza delle cose che distingue una materia che assorbe ogni stimolo proveniente dall’esterno, da un’altra che seleziona e filtra secondo un processo interno del tutto indipendente.

Alla fine tutti siamo materia, quando si è particolarmente plasmabili si diventa inconsapevolmente uno strumento in mano a qualcosa di più evoluto, che utilizza quell’intelligenza di troppo con scopi non sempre onorevoli.

Il sistema generale della società di cui ognuno di noi fa parte, sfrutta  la mancanza di senso critico, assorbire senza domandarsi, la totale mancanza di lungimiranza, che si trasformano nel più grande affare che gli estremisti, gli assetati di potere, i più grandi speculatori del pianeta possano desiderare.

Ritornando al tema accennato, il titolo è di quelli che il Professor Keating scriverebbe sulla lavagna, magari ammiccando per alludere che si tratta di qualcosa di veramente importante su cui riflettere: “Come si può verificare la veridicità delle notizie.”

Dal momento che tutti noi siamo fruitori di internet, navighiamo in un mare di informazioni alle quali attingiamo per i più diversi scopi e non è cosa di poco conto capire se quanto leggiamo risponde a verità o meno.

Il problema serio nasce quando nessuno di noi si pone neanche il dubbio e prende per oro colato ciò che legge e, cosa ancor più dannosa, lo condivide con altre persone, dando la possibilità a quella notizia, forse vera forse falsa, di prendere il via della viralità.

Sembra che non sia successo nulla ed invece con un banale click abbiamo veicolato dati, numeri, nomi, immagini verso amici e conoscenti che non si sa che uso ne faranno a loro volta. 

E se si trattasse di una notizia che riguarda la salute, magari la ricetta miracolosa per curare definitivamente il cancro?

L’uso dell’aggettivo miracoloso mi fa grandemente sospettare che dietro ci sia qualcosa di strano. I titoli gridati attirano la nostra curiosità e fanno in modo che noi quella notizia la clicchiamo, si spera senza crederci. Intanto però con quei click, qualcuno dietro il sipario ha raggiunto l’obiettivo di attirare gente e se tutto va secondo i piani, una volta raggiunto il sito, per errore si clicca su una pubblicità.

A noi, ancora una volta, ci sembra non sia accaduto nulla, ma chi sta dietro questo marchingegno se la ride mentre conta le banconote.
Il fenomeno ha assunto proporzioni così vaste che gli stessi big, Google e Facebook, se ne stanno preoccupando, cercando di rimediare mettendo dei filtri alle notizie.

A quanto pare le informazioni false che girano sul web superano quelle vere e anche la quantità di persone che le condivide spaventa, l’Ansa mi dice un americano su quattro, si tratta di una grossa cifra.

Se ci può consolare, anche giornalisti e personaggi famosi sono caduti nella trappola, dando voce a delle emerite bufale. Ancora fanno notizia quelle diffuse da Beppe Grillo riguardanti temi rilevanti in materia di salute. La più eclatante, che attende ancora una smentita ufficiale, è quella in cui dichiarava lui stesso che l’Aids non esiste, bollandola come la bufala del secolo. La bufala nella bufala, un alto lavoro di ingegneria mediatica.

Dopo aver appurato che il problema esiste ed è pure importante, si può pensare alla soluzione. Non facile visto che sono gli stessi lettori che le notizie dai titoloni gridati se le vanno a cercare come un cacciatore famelico la sua preda.

Se decidiamo di non prestarci al gioco dei burattinai e sarebbe il caso di cominciare a pensarci, come possiamo lasciare le notizie fasulle abbandonate a quello che dovrebbe essere il loro destino cioè l’oblio?

A meno che ciò che stiamo leggendo sia scritto su siti autorevoli, verifichiamo la fonte attraverso un motore di ricerca, magari utilizzando appositi siti nati per scovare le bufale (l’elenco si trova sotto il post), è probabile che la stessa notizia la troviamo su siti seri ridimensionata, con immagini diverse e numeri di tutt’altro valore. 

Qualche accortezza in più dovremmo metterla in campo se parliamo di notizie riguardanti la salute, rischiando di mettere in pasto ai maghi stregoni persone alla disperata ricerca di belle notizie. Chiedere al proprio medico non è un consiglio da sottovalutare.

In ogni caso vale il principio nascosto dietro ai più grandi imbrogli.
Dubitare delle apparenze, chi arriva come colui che salva il mondo forse è tutt’altro. 

Chi usa il megafono probabilmente vuol dare risalto a qualcosa che in qualche modo riempirà le sue tasche, di denaro potere o semplice orgoglio.

Chi grida al miracolo, spera forse che il miracolo si compia davvero e tutti accorrano come api al miele?

Se lo scopo è far accorrere un esercito di persone utilizzando parole ad arte, poniamoci sempre la domanda “A cosa serve questa folla immensa?”

La storia ci insegna che gli eserciti possono creare grandi disastri, a vantaggio di pochi, pochissimi abili imbonitori.





domenica 8 gennaio 2017

L'ipocrisia dei buoni sentimenti



Prima di parlare di qualsivoglia argomento mi sembra doveroso capirne a fondo il significato e verificare se si adatta al contesto in cui lo vorrei inserire. 
Se nei giorni successivi all’Epifania che ufficialmente chiude il periodo del Natale, ci si ferma a riflettere sulle festività appena trascorse, è normale pensare ai sentimenti che le hanno governate e alla loro genuinità. 

Ecco che la parola ipocrisia e tutto ciò che di poco sincero ne consegue si adatta magnificamente alle varie occasioni tra palline e tavole vestite a festa.

Letteralmente vuol dire simulazione, sia essa di virtù, di buone qualità, disposizioni e buoni sentimenti ed è soprattutto di quest’ultimi che le giornate di festa sono intrise. Circostanze in cui ci si ritrova a stare obbligatoriamente vicino a persone, parenti o amici, con le quali non ci sono buoni rapporti o che normalmente non frequenteremmo. 

Ed anche se le persone sono di nostro gradimento, ma il nostro stato d’animo non è dei più benevoli ci troviamo nella medesima situazione, quella di ostentare un sorriso andandolo a pescare dal più profondo degli abissi. In un verso o nell’altro dobbiamo dare fondo alle nostre migliori capacità recitative per ritrovarci poi alla fine di queste giornate sfiancati e con il morale a terra.

Quando proprio non possiamo scegliere di stare insieme a persone che apprezziamo e che ricambiano i nostri sentimenti, per rispettare i precetti imposti dalla religione mettiamo in atto delle buone azioni che attribuiscano il vero significato al Natale. 

Fare buon viso a cattivo gioco potrebbe essere una di quelle. In caso di astensione dal credo in una dottrina religiosa ed il nostro unico dio è determinato dai valori in cui abbiamo deciso di fondare la nostra esistenza, allora cogliamo l’occasione per una riconciliazione con il mondo. 

Una disposizione positiva, che ci faccia sentire in pace, visto che i cattivi sentimenti prima che fare male agli altri, danneggiano la salute di chi li prova.

Se nonostante tutte le buone intenzioni, non si riesce a trarre nulla di proficuo da giorni di forzata vicinanza e regali non accompagnati da sincere emozioni, bisogna pensare che forse è il caso di cambiare. Non è mai troppo tardi per fare una cosa diversa, per spezzare il circolo vizioso di un meccanismo nel quale siamo stati inglobati senza che ce ne accorgessimo. 

Tutta la società nella quale viviamo lo è ed i rapporti che ci troviamo ad affrontare giornalmente, sono spesso insinceri e di facciata. A volte è necessario, per la natura del contesto in cui ci troviamo, frequentemente le persone tendono a mascherare le loro vere intenzioni. 

Fare la scelta di eliminare questo tipo di rapporti, può avere come conseguenza quella di avere poche, pochissime persone da frequentare. È un rischio che la maggior parte della gente non vuole correre. La solitudine spaventa, ancor di più nelle giornate che raccolgono tante persone attorno ad un tavolo e quando non si fa parte di una cerchia ci si sente inevitabilmente emarginati. 

Quest’anno in qualche modo è andata, c’è tempo un anno intero per una scelta coraggiosa. L’unica cosa che al momento si può fare è un bilancio. 

Per quanto mi riguarda voglio partire dai regali, anche se suona strano da una che vorrebbe seguire gli insegnamenti di Gandhi. Distaccarsi dai beni materiali non è facile in una società come la nostra, ma riceverne uno che non sia tangibile è un aiuto in quella direzione. 

Mi è stata infatti regalata un’adozione a distanza, tramite il Wwf, di una specie in via di estinzione e non solo mi è sembrato adatto alle mie aspirazioni, ma del tutto in linea con quanto il pianeta ha bisogno. 

Alla fine ho trovato la mia riconciliazione con il mondo e nonostante tutto è andata bene. Sul dissimulare ho ancora molte difficoltà, non mi adatto molto bene a queste occasioni di festa. 

Ho un anno per riflettere sulla scelta coraggiosa da mettere in atto, potrei decidere di comprare a tutti una specie in pericolo. 

Per chi ama molto i beni materiali non sarebbe una bella sorpresa, ci sarebbe da divertirsi. 

domenica 1 gennaio 2017

Ricomincio da Gandhi


Tanti fatti sono accaduti in questo 2016 ormai alle spalle. Il mese di Febbraio contava 29 giorni anziché 28 e questo, in base alla credenza popolare, sembrerebbe essere foriero di grandi disavventure. 

Le quali si potrebbero tradurre in diversi attacchi terroristici, una strage ferroviaria, sismi più o meno potenti, voluti dalla natura o creati dall’uomo come quello scaturito dall’esperimento nucleare della Corea del Nord avvenuto a gennaio, l’uscita dall’Unione Europea decisa dagli stessi cittadini del Regno Unito.

Se si aggiunge anche la grave crisi umanitaria in Siria, oltre ad una situazione economica disastrosa in Venezuela, si potrebbe pensare che la leggenda popolare ha sempre una base realistica e non ci rimarrebbe altro che piangere e lamentarci di quanta sfortuna si abbatta su questo nostro pianeta.

Ma in ogni analisi oggettiva che si rispetti, bisogna osservare tutti gli aspetti di una questione ed ecco che spuntano notizie che migliorano la prospettiva dalla quale si osserva il futuro del pianeta e della nostra specie.

L’Iran ha smantellato il suo arsenale nucleare tanto da meritarsi la rimozione delle sanzioni delle Nazioni Unite; Radovan Karadzic viene condannato a 40 anni di reclusione per i crimini commessi nel conflitto in Bosnia ed Erzegovina; Barack Obama visita Cuba dopo che l’ultimo Presidente americano a farlo fu nel lontano 1928; all’incirca nello stesso periodo veniva completato il primo tratto dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, definitivamente terminata proprio in questo anno funesto, ci sono voluti circa 88 anni. C’è di che rallegrarsi. 

Un altro importante evento potrebbe ancora far pendere la bilancia in un senso o nell’altro: si tratta dell’elezione di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti. La sua recente nomina di un petroliere a capo dell’agenzia che protegge l’ambiente, mi fa seriamente propendere per una collocazione tra gli eventi infelici.

Non ho ancora nominato il lancio su smartphone del gioco Pokémon Go, in seguito al quale si è scatenata una caccia ai vari personaggi nei luoghi pubblici, che ha visto giovani e non armarsi di cellulari usati alla stregua di retini per farfalle. Lo colloco per ultimo in quanto potremmo considerarlo un evento effimero, ma è pur sempre indicativo di un contesto che cambia, velocemente e in maniera significativa.

Qual’è il mutamento di cui avrebbe davvero bisogno il contesto planetario dove avvengono fatti di tale inaudita violenza che non possono in alcun modo essere compensati da qualsiasi altro fatto lieto?

Abbiamo un esempio terribilmente significativo da cui imparare: Gandhi, un uomo la cui nobiltà d’animo, il coraggio, la tenacia, hanno già fatto una parte di storia e sono lì, pronti a farci riflettere su un nuovo epocale inizio.

Il 2017 è l’anno ideale per ricominciare dai suoi insegnamenti, ma qui non parliamo di teoria, perlomeno non solo, la sua stessa vita è scuola.
Nella sua lotta non violenta per l’indipendenza dell’India dal governo inglese prima e nel conflitto con il Pakistan poi, ci dà una chiara dimostrazione che si può essere incisivi non utilizzando una sola arma. 

Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce n’è nessuna per cui sarei disposto ad uccidere.

Non professa la pace solo a parole, digiuna severamente e marcia con il suo popolo, prega, veste poveri panni, accetta con coraggio le scelte della disobbedienza civile. 

Nel mondo attuale ancora si ragiona in termini di violenza che chiama altra violenza; nel suo pensiero pacifista mai la guerra viene contemplata come risoluzione di conflitti. 

“Bisogna combattere la violenza. Il bene che pare derivarne è solo apparente; il male che ne deriva rimane per sempre….L'esperienza infatti mi insegna che dalla falsità e dalla violenza non possono scaturire risultati positivi duraturi.”

Costruire una società evoluta, in cui gli individui si confrontano, utilizzando solo le parole è possibile se si comincia ora. 

Non c'è strada che porti alla pace che non sia la pace, l'intelligenza e la verità.”

Una società giusta, evoluta, progredita, passa prima per uno stile di vita individuale improntato sulla semplicità, il distacco dai beni materiali, il disinteresse per il superfluo, un’alimentazione senza eccessi, in modo da esercitare la minore violenza possibile verso la natura, il rispetto verso gli animali, l’autodisciplina.

“Chi non controlla i propri sensi è come chi naviga su un vascello senza timone e che quindi è destinato a infrangersi in mille pezzi non appena incontrerà il primo scoglio.”

In un mondo dove tutto è gridato, anche quelle che non sono verità, ma vengono fatte passare come tali, il silenzio assume un significato altissimo, un bene di rara importanza.

Gandhi riservava un giorno della settimana ad esso, lo considerava fondamentale per purificare la sua anima, per trovare la pace. Dovremmo noi tutti scoprirne i meravigliosi effetti sullo stato mentale, e non di meno si eviterebbero grandi quantità di informazioni inutili dannosamente disperse nell’etere.

Gandhi rappresenta l’icona di un mondo che riflette sui propri terribili errori, fa marcia indietro, decide di voler finalmente essere in armonia con la natura e tutti gli esseri che la abitano, bandire gli eccessi, incentrare la propria esistenza non su sé stessi, ma con uno sguardo verso il futuro per donare alle generazioni successive un mondo sempre più evoluto, progredito in modo equo, senza ingiustizie.

Ogni icona ha un messaggio che la rappresenta, io scelgo questo:

Il mio obiettivo è l'amicizia con il mondo intero, e io posso conciliare il massimo amore con la più severa opposizione all'ingiustizia.”