Qualche giorno fa avevo visto un documentario sugli abissi marini e le incredibili creature che li popolano. Un bellissimo filmato all’interno di una serie riguardante il Pianeta Terra sul canale digitale Netflix.
Sono rimasta affascinata dalle meraviglie che caratterizzano queste oscure profondità e ancor di più dal monito lanciato dal narratore alla fine della proiezione. Dobbiamo rifletterci tutti, ne va della nostra stessa sopravvivenza. Ma andiamo per gradi, è necessario infatti che faccia qualche accenno a cosa, di incredibilmente prezioso, rischiamo di perdere.
Tra queste profondità cariche di un blu scuro come la notte, si aggirano esseri viventi di tutte le dimensioni, con sfumature di colori difficilmente riproducibili, con l’unico scopo di nutrirsi per continuare a navigare in queste acque cristalline. Devono dare seguito alla loro specie e questa è la costante che in natura lega tutte le creature, ed ogni mezzo è buono per riuscire nell’intento. Si può assistere anche a lotte crudeli alla ricerca di nutrimento, ma non vi sono altre finalità all’infuori della sopravvivenza.
Anche in questi abissi a chilometri di distanza dalla superficie, la vita brulica, anche nei posti più inospitali. Basti pensare che gli oceani rappresentano il 90% delle aree del pianeta in cui la vita può prosperare, per arrivare a credere che questa è possibile anche in condizioni a dir poco inospitali. Sotto i fondali dell’Oceano Atlantico, una catena vulcanica lo percorre per 72000 chilometri, dividendolo in due.
Da alcune fessure al suo interno fuoriesce acqua surriscaldata carica di minerali disciolti, un cocktail di sostanze chimiche a 400 gradi centigradi, tossico e letale per tutti, ma non per una specie di batteri che qui prosperano, diventando fonte di nutrimento per altre specie.
Dalla forma di vita più semplice si passa a quella più grande di tutto il pianeta: la balenottera azzurra che può arrivare a 200 tonnellate di peso, il doppio del dinosauro più grande. Si nutre di krill, crostacei simili a gamberetti, arrivando a consumarne 4 milioni al giorno.
La sua vita è legata alla costante fertilità degli oceani e purtroppo questa è ormai seriamente minacciata dai cambiamenti climatici. Il plancton non fiorisce e a queste enormi creature manca il necessario nutrimento, tanto che oggi ne rimangono meno del 3% di esemplari.
Ma se il plancton scarseggia, l’uomo ha pensato di far fiorire tra i fondali, un’altra specie, tutta nuova e di sua particolare produzione: l’immondizia.
Una spedizione scientifica giunta nella fossa delle Marianne, ha fotografato splendide creature colorate, e con somma sorpresa, nel mio caso mista a sdegno: un contenitore di plastica, una lattina di birra ed un sacchetto di plastica.
Chissà quanti chilometri avranno percorso, lontano da chi avrebbe dovuto gettarli nei luoghi opportuni.
Stiamo in tutti i modi attentando la vita animale e vegetale in ogni dove di questo pianeta, ma non potremmo farlo a lungo, a nostro piacimento.
Ci sarà un momento in cui la resa dei conti sarà drammatica, ma sarà troppo tardi. Possiamo ancora invertire la rotta.
Concludo con le parole del narratore del documentario, non devo aggiungere nulla.
“Il nostro pianeta è ancora ricco di meraviglie. Nelle nostre mani abbiamo la sopravvivenza dell’intero regno naturale del nostro pianeta, possiamo distruggerlo o conservarlo: sta a noi scegliere.”
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