Lo ammetto, la fonte dalla quale parto per scrivere questo post utilizza un linguaggio molto colorito e non fa parte del mio stile. Ma come potevo ignorare un messaggio talmente ironico da essere dissacrante, così diretto da risultare veritiero, all’apparenza tanto superficiale per svelarsi poi paradossalmente profondo?
E soprattutto non potevo ignorare il fatto che fosse una donna a scrivere apertamente ad un uomo, mettendo onestamente in discussione sé stessa, il contesto e certo anche lui, spettatore confuso di importanti cambiamenti.
Ci troviamo di fronte ad un contesto profondamente cambiato, dove l’innovazione tecnologica ha invaso la sfera delle relazioni sociali.
Le immagini contano più delle parole e spesso quest’ultime si preferisce digitarle piuttosto che esprimerle a voce. Con la concreta possibilità di ritrovarsi a fare sesso virtuale piuttosto che nella sacra intimità di un’alcova. E alla fine si rischia pure di accontentarsi di ciò che si può avere a buon mercato, rinunciando a raggiungere la versione in carne ed ossa.
Un vecchio proverbio dice che il troppo storpia, e sta ad indicare che ogni eccesso è controproducente, quindi penso che se i mezzi invadono le nostre menti di immagini erotiche, si rischia di ottenere l’effetto opposto. Maggior numero di merce esposta, minor desiderio di acquistarla. Ci si mettono pure i cambiamenti culturali che hanno reso la donna di certo più indipendente, i generi incerti e i costumi più facili.
Abbondanza di riferimenti alla sacra virtù della donna che si somma alla facilità con cui, rispetto al passato, ci si può arrivare, che portano il vecchio cacciatore a ritrarsi, impaurito e confuso. Senza neanche imbattersi nel tradizionale, laborioso corteggiamento, lungo certo, ma per questo affascinante. Si diventa veloci ed immediati come vuole la realtà 2.0, se non ottengo subito ciò che cerco, passo ad altro.
La parte che più ho apprezzato è quella in cui la donna fa autocritica, un esercizio sempre di grande difficoltà. Insomma, perché mai l’uomo dovrebbe affaticarsi tanto a raggiungere la sacra virtù se questa appartiene ad una donna in eterna contraddizione, che vuole una cosa e il suo esatto opposto, emancipata ma se si tratta di pagare il conto al ristorante… no grazie, in perenne ricerca di un equilibrio, in apparenza desiderato ma nei fatti regna il caos?
Tutto questo accade nella società dove conta ciò che appare, dove un pelo fuori posto ci fa sentire a disagio, dove le umane fragilità si cerca di cacciarle in fondo in fondo, nel pozzo delle cose da nascondere. L’importante è che sembri una cosa diversa, priva di difetti e sbavature.
La verità è che non siamo affatto così, paradossalmente questa società ci fa crescere molto meno perfetti di quello che vorrebbe mostrare. E noi siamo lì, con molte insicurezze e poche certezze, pensando di essere tra i pochi sfortunati.
Basterebbe guardarsi, noi tutti che ne facciamo parte, con meno sospetto e maggior benevolenza, e ricercare un contatto fisico autentico, privo di artefici.
Perché, come dice la donna della lettera: “…serve a riscoprirci umani. Fatti di carne e istinti e sapori e odori, così come siamo. Non come appariamo.”
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