È molto importante esprimere la propria volontà quando ci viene chiesto o offerta la possibilità. Il prossimo 17 aprile, quindi, sarà il caso che ognuno di noi si rechi alle urne per dire sì o no. Per una che si proclama ambientalista come me era importante sapere che effetti il mio voto potesse avere sull’ecosistema. Se dovesse vincere il Sì le piattaforme già esistenti, piazzate a meno di 12 miglia dalla costa smetteranno di estrarre il petrolio e soprattutto il metano rimasti, mentre per quelle situate oltre questa distanza non cambia nulla, continueranno a fare il loro lavoro.
Una volta scaduta la concessione, quelle più vicine alla terraferma smetteranno di funzionare ed in ogni caso non ne possono essere posizionate altre ex novo perché è già vietato per legge. Mi sono detta che poteva essere una buona notizia, ma c’è sempre un ma, purtroppo… Lo so non riesco mai a gioire pienamente di quelle che sembrano all’apparenza belle notizie, forse perché non mi fido della natura ambigua dell’uomo.
Frugando tra notizie e post vari sull’argomento sono riuscita a scovare qualcuno che forse si è posta la mia stessa domanda: “Se l’Italia non potrà più contare sugli idrocarburi estratti da quelle piattaforme, ci potrebbe essere la possibilità che quella stessa quantità venga importata da altri paesi?”. La risposta è sì, ma bisogna anche dire che questa quantità non è poi così rilevante e, probabilmente, alla fine dei giochi il risultato del referendum non farà una rivoluzione come sempre mi auspicherei.
Quel qualcuno di cui parlavo prima, sul suo blog pubblicato da Le Scienze esplora, secondo me, un concetto molto interessante. Il fatto che, come sembra, l’Italia abbia preso accordi per trivellare il canale del Mozambico, magari per estrarre ben oltre quell’esigua quantità che oggi si vorrebbe impedire, è un fatto importante.
Non solo in merito a questo referendum, ma al fondamentale concetto che se un’azione che si vorrebbe impedire nel luogo in cui si vive, si accetta come “normale” se compiuta in altro luogo, magari in via di sviluppo, si pone un importante problema etico. Insomma concedo tutto, l’importante che non accada nei miei dintorni. Di certo lo esprime chi non si sente affatto un cittadino del mondo, di sicuro chi ha una visione della realtà a dir poco miope.
Il referendum del 1987 sul nucleare in Italia mi spiega bene questo pensiero. Si è vietata la costruzione di nuove centrali nucleari e quelle già esistenti hanno smesso di funzionare, ed allora vuol dire che non utilizziamo energia nucleare perché quella era la nostra volontà, giusto? Ed invece ancora una volta la risposta è no. Perché acquistiamo quantità considerevoli di energia nucleare dalla Francia, e l’unica cosa che riusciamo a rispettare è il principio di cui sopra: “non nel mio giardino”.
Mi voglio unire all’appello dell’autore del post, Carlo Cattaneo, che per smuovere un poco di coerenza, invogliava all’utilizzo morigerato di qualsiasi dispositivo che necessiti l’uso di energia o gas, così che da qualsiasi parte del mondo l’energia arrivi, quella parte l’avremo considerata come se fossimo noi a viverci.
In fondo se ci si munisce di striscioni, NO TAV, NO TRIV, NO a prescindere, e poi si va in giro con il Suv, si pone prepotentemente un altro concetto importante, quello del predicatore-free, come lo chiamo io, ossia di colui che sbandiera concetti importanti, sentendosi poi libero di agire anche in senso opposto. Chi può vantarsi di essere un predicatore irreprensibile?
Forse è il caso di pulirlo bene quel giardino, dove quieta ed immobile risiede la nostra coscienza.
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