lunedì 25 aprile 2016

La famiglia felice della pubblicità delle merendine: se esiste i figli sono obesi.


Correva l’anno 1969 e l’America assisteva ad uno dei peggiori disastri petroliferi della sua storia, quello di Santa Barbara. Fu così che un senatore del Wisconsin pensò che era il momento giusto per dedicare una giornata al pianeta che ci ospita, con l’intento di rafforzare valori come il rispetto per il suo ecosistema. Nacque l’Earth Day che si celebra, da allora, il 22 aprile di ogni anno.

Purtroppo, negli anni che ci separano da quel giorno, abbiamo dovuto assistere ad altri disastri petroliferi, ma non è l’unica minaccia che la natura di questo pianeta ha dovuto subire a causa della disperata voglia di profitto del suo abitante più intelligente (almeno sulla carta).

Mi fanno sorridere i comunicati stampa di alcuni colossi del settore alimentare che annunciano, alla stregua di un buon samaritano, che rinunciano all’utilizzo dell’olio di palma come ingrediente dei loro prodotti. Verrebbe da pensare che è davvero un eccezionale esempio di promulgazione di buoni principi di rispetto per l’ambiente e la salute della collettività. 

Peccato però che questi colossi fino a poco tempo prima, questi principi li hanno pesantemente calpestati, utilizzando l’olio da piantagioni che hanno preso il posto di floride foreste e inserendo questo grasso a basso costo in ogni possibile prodotto, anche quello destinato all’infanzia. Ecco così che, magicamente, nomi famosi svestono i panni dei cattivi e diventano virtuosi promotori di un’alimentazione palm oil - free, trasformandola paradossalmente in una fruttuosa campagna di marketing.

Come mai questo cambio di rotta? Forse perché più di qualche mente, tra i loro consumatori abituali, ha cominciato a farsi delle domande, spronata dalle campagne contro l’uso smodato di questo grasso. In parte motivati dalla causa ambientale, ma ancor di più per i possibili danni alla salute, hanno deciso di orientarsi verso i, pochi, prodotti che contengono oli di maggior qualità, tipo quello di girasole. Si sa, il denaro smuove anche i cuori più duri e un probabile trend negativo nelle vendite ha reso necessaria una buona azione, per non smentire il detto “necessità fa virtù”.

L’Indonesia è il paese che accoglie la maggior parte di piantagioni di olio di palma, posto in precedenza occupato da ricchissime foreste pluviali, habitat di numerose specie animali. Notizie recenti, descriverebbero retroscena criminosi, dietro alla concessione di queste terre, con il pagamento di tangenti e l’immancabile corruzione di figure pubbliche. Già questo basterebbe per definire un quadro piuttosto squallido, il fatto che rende tutto ancor meno limpido riguarda la qualità di quest’olio particolarmente ricco di grassi saturi (quasi il 50%). 

Non che pure il burro non lo sia, ma la sua diffusione in quasi la totalità dei prodotti presenti sui banchi dei supermercati fa sì che l’introduzione media giornaliera supera di gran lunga quella consigliata per un buon funzionamento dell’apparato cardiovascolare a lungo termine. Dato ancor più grave se pensiamo che i bambini possono facilmente superare la quota massima di grassi saturi già con il consumo di pochi prodotti.

A questo punto auspicherei che questi marchi famosi convincessero i loro consumatori che il dietro front sull’uso dell’olio di palma viene davvero dal cuore e si impegnassero economicamente per la riqualificazione delle zone della Terra depredate delle loro bellezze, in primo luogo Indonesia e Malesia. 

Un albero rimesso al suo posto ci farebbe credere che l’immagine di quelle famiglie felici nei loro spot pubblicitari non rappresenta solo un’immagine utopica a cui tutti o quasi vorrebbero tendere. 

Al momento invece è più facile pensare che quest’idillio di buoni sentimenti sia difficilmente riscontrabile nella realtà e considerando il fatto che i bambini della famiglia mangiano principalmente prodotti della casa che li sponsorizza, sarei orientata a pensare che consumano fin troppi grassi saturi e sono fondamentalmente infelici. 

Al pensiero di una Terra privata delle sue floride foreste, in cambio di gustose merendine necessarie a soddisfare i loro artefatti bisogni.





sabato 16 aprile 2016

Aspetto che il sole estivo baci i tuoi capelli


Durante una pausa dalla routine giornaliera, un incontro ha distolto i miei pensieri, intristendomi. Poi però ho cominciato a costruire nella mente il suo futuro ed allora mi è parso che il sole fosse più caldo e luminoso.

Stavo camminando nel parco,
la musica guidava il mio passo,
i pensieri fluttuavano leggeri,
e proprio mentre non pensavo a nulla,
sei apparsa tu.
Ti attribuisco un genere femminile,
ma mi potrei sbagliare.
Potrebbe ingannarmi la mascherina che ti copriva il viso,
o quella stoffa che nascondeva la capigliatura che non c’è più,
sei giovane, molto giovane, di questo ne sono sicura.
Accanto a te una donna che poteva essere tua madre,
ti guardava con premura,
chissà quali tormenti nei suoi pensieri, 
quali sofferenze per la tua giovane età.
Molta gente ti passava accanto,
correndo, passeggiando, immersa nel proprio mondo.
Ti regalerà un sorriso per la sua immensa fortuna?
Ad ogni giro che facevo pensavo che la vita è crudele,
me ne devo ricordare la prossima volta che sbuffo per una sciocchezza.
Ero felice di sfidare il vento andandogli incontro,
lo ero ancor di più perché avevi deciso di regalarci la tua compagnia,
aiutandoci a riconoscere la felicità intorno a noi.
Desidero vedere i tuoi capelli accarezzati dalla luce di un caldo sole d’estate,
mi piacerebbe porgere il mio sguardo delicato sul tuo viso scoperto,
vorrei prendere la tua mano per invitarti a passeggiare insieme.
E mi riempiresti il cuore di gioia se quel sorriso me lo facessi tu,
felice, raggiante per essere di nuovo in salute,
guardarci divertita mentre ci affatichiamo per star bene,
con l’immenso orgoglio di chi ha sconfitto un nemico potente,
con l’incredibile forza che rimane dopo una sofferenza quasi letale,
noi non potremmo mai capire, mai.




domenica 10 aprile 2016

XX SMALL


Chissà quali canoni ci saranno dietro le scelte della case di moda che impongono taglie impossibili alle modelle, bellissime vittime di un crudele ingranaggio. Forse i vestiti vengono pensati, disegnati e poi creati su determinate misure che finiscono per far dimenticare la donna che c’è sotto e la fanno assomigliare ad una stampella con le gambe e mi chiedo se lo scopo finale non fosse proprio questo. 

Quando poi, qualche anno fa, il mondo si è accorto che si stavano tollerando canoni al limite della compatibilità con la vita, allora sono iniziate campagne di sensibilizzazione che hanno portato le stesse modelle a denunciare un mondo spietato fatto di regole assurde ed invalicabili. Ed allora ecco che spuntano ragazze che con quei canoni non c’entrano nulla, ed anzi quei canoni li superano abbondantemente aggiudicandosi il titolo un po’ contraddittorio di modella “curvy”. 

Alla fine mi sembra che se non si arriva ad un eccesso non si fa notizia e di qualsiasi campo si tratti si deve tenere sempre alta l’attenzione, dei media in primo luogo. Ed una modella tutte curve che si contrappone al corpo tutto ossa imperante sulle passerelle fa decisamente notizia, anche se il buon senso avrebbe optato per un fisico con misure proporzionate, magro ma non scheletrico, in poche parole sano. 

Perché se proporre un modello di donna eccessivamente magra è un buon incentivo ad un patologico, conflittuale rapporto con il cibo, contrapporne uno in sovrappeso più o meno leggero, non è più salutare. Anche se l’anoressia può avere effetti drammatici sulla vita della persona, a differenza dei chili in più che rappresentano un fattore di rischio. E se la normalità non è sinonimo di successo, bisogna eccedere ignorando quanta influenza possa avere tutto ciò che giunge all’attenzione dell’opinione pubblica, nel bene e nel male.

Il cervello è sensibile agli stimoli esterni e anche molto influenzabile, soprattutto in particolari momenti della vita, come può essere l’adolescenza. Chiunque ha la fortuna di lavorare in un ambito che sforna prodotti che possono avere un impatto sul pubblico, dovrebbe tenere a mente le conseguenze del proprio lavoro. Perché quel pubblico è fatto di persone, prima ancora che di consumatori paganti. 

L’immagine di sé che lo specchio ci rimanda, quella reale, la dice lunga sullo stato di salute mentale. Ingrassiamo o dimagriamo non a caso, il rapporto con il cibo può deteriorarsi quando viviamo uno stato di sofferenza o insoddisfazione. E per le donne dei tempi moderni, l’eterna lotta con la bilancia determina una natura complicata, fragile e sempre in bilico tra sentimenti contrapposti. All’eterna ricerca di uno stato di felicità inarrivabile.

Dal momento che il mio scrivere è pubblico, allora devo tener fede a quanto detto sopra e propongo uno stile di vita sano che porti a mangiare in maniera equilibrata, rispettosa dell’ambiente e delle nostre aspettative. 

La dieta “ecologica” di cui parlerò in un prossimo post.


domenica 3 aprile 2016

Non nel mio giardino


È molto importante esprimere la propria volontà quando ci viene chiesto o offerta la possibilità. Il prossimo 17 aprile, quindi, sarà il caso che ognuno di noi si rechi alle urne per dire sì o no. Per una che si proclama ambientalista come me era importante sapere che effetti il mio voto potesse avere sull’ecosistema. Se dovesse vincere il Sì le piattaforme già esistenti, piazzate a meno di 12 miglia dalla costa smetteranno di estrarre il petrolio e soprattutto il metano rimasti, mentre per quelle situate oltre questa distanza non cambia nulla, continueranno a fare il loro lavoro. 

Una volta scaduta la concessione, quelle più vicine alla terraferma smetteranno di funzionare ed in ogni caso non ne possono essere posizionate altre ex novo perché è già vietato per legge. Mi sono detta che poteva essere una buona notizia, ma c’è sempre un ma, purtroppo… Lo so non riesco mai a gioire pienamente di quelle che sembrano all’apparenza belle notizie, forse perché non mi fido della natura ambigua dell’uomo. 

Frugando tra notizie e post vari sull’argomento sono riuscita a scovare qualcuno che forse si è posta la mia stessa domanda: “Se l’Italia non potrà più contare sugli idrocarburi estratti da quelle piattaforme, ci potrebbe essere la possibilità che quella stessa quantità venga importata da altri paesi?”. La risposta è sì, ma bisogna anche dire che questa quantità non è poi così rilevante e, probabilmente, alla fine dei giochi il risultato del referendum non farà una rivoluzione come sempre mi auspicherei. 

Quel qualcuno di cui parlavo prima, sul suo blog pubblicato da Le Scienze esplora, secondo me, un concetto molto interessante. Il fatto che, come sembra, l’Italia abbia preso accordi per trivellare il canale del Mozambico, magari per estrarre ben oltre quell’esigua quantità che oggi si vorrebbe impedire, è un fatto importante. 

Non solo in merito a questo referendum,  ma al fondamentale concetto che se un’azione che si vorrebbe impedire nel luogo in cui si vive, si accetta come “normale” se compiuta in altro luogo, magari in via di sviluppo, si pone un importante problema etico. Insomma concedo tutto, l’importante che non accada nei miei dintorni. Di certo lo esprime chi non si sente affatto un cittadino del mondo, di sicuro chi ha una visione della realtà a dir poco miope.

Il referendum del 1987 sul nucleare in Italia mi spiega bene questo pensiero. Si è vietata la costruzione di nuove centrali nucleari e quelle già esistenti hanno smesso di funzionare, ed allora vuol dire che non utilizziamo energia nucleare perché quella era la nostra volontà, giusto? Ed invece ancora una volta la risposta è no. Perché acquistiamo quantità considerevoli di energia nucleare dalla Francia, e l’unica cosa che riusciamo a rispettare è il principio di cui sopra: “non nel mio giardino”.

Mi voglio unire all’appello dell’autore del post, Carlo Cattaneo, che per smuovere un poco di coerenza, invogliava all’utilizzo morigerato di qualsiasi dispositivo che necessiti l’uso di energia o gas, così che da qualsiasi parte del mondo l’energia arrivi, quella parte l’avremo considerata come se fossimo noi a viverci.

In fondo se ci si munisce di striscioni, NO TAV, NO TRIV, NO a prescindere, e poi si va in giro con il Suv, si pone prepotentemente un altro concetto importante, quello del predicatore-free, come lo chiamo io, ossia di colui che sbandiera concetti importanti, sentendosi poi libero di agire anche in senso opposto. Chi può vantarsi di essere un predicatore irreprensibile? 

Forse è il caso di pulirlo bene quel giardino, dove quieta ed immobile risiede la nostra coscienza.