domenica 31 gennaio 2016

Per la famiglia o contro gli altrui diritti?

Che sia stata organizzata addirittura una manifestazione è al di fuori della mia comprensione. Ma per dimostrare pubblicamente cosa in particolare? Per onorare il concetto di famiglia tradizionale? O per dire pubblicamente che tutti quelli che non rientrano in questo standard non possono e non devono definirsi una famiglia? 
Allora a me viene spontanea una domanda: “Chi può arrogarsi il diritto alla felicità esclusiva, decidendo chi ne debba essere escluso, a suo insindacabile giudizio?” 

Stiamo sempre lì, sembra proprio che la storia non ci insegni nulla. Si comincia nel dividere la popolazione in categorie, e una volta fatte le necessarie suddivisioni, si decide arbitrariamente la sorte di questi individui. Anche se possono continuare ad esistere. In preda alla più sfrenata follia di onnipotenza si è deciso il destino dell’umanità e di milioni di persone. Già perché se qualcuno lo avesse dimenticato è di questo che stiamo parlando, di persone. Che prima di essere ebrei, palestinesi, cristiani, omosessuali, sono prima di tutto delle persone. Esattamente come chi le sta etichettando, con i medesimi diritti. In primo luogo quello ad essere felici. 

Se ad un bambino non troppo piccolo, dopo qualche anno passato in un orfanotrofio, venisse detto: “Da domani hai la possibilità di cambiare completamente vita. Puoi ricevere un’istruzione regolare, frequentare una scuola, appassionarti ad uno sport, farti degli amici con cui condividere momenti indimenticabili. Puoi riuscire a diventare ciò che ti piace. Ci sono due persone qui fuori disposte non solo a darti tutto questo, ma soprattutto un’enormità di amore.” 

Secondo voi quel bambino cosa risponderebbe? Chiederebbe forse se quelle due persone sono un uomo ed una donna? Io penso di no. Andrebbe semplicemente verso il suo nuovo futuro. Radioso e pieno di possibilità insperate fino ad un momento prima. Magari avrebbe le potenzialità per diventare una persona importante per tutto il mondo, un nuovo brillante scienziato. Colui che traina la sua équipe verso una sensazionale scoperta, necessaria per sconfiggere una grave malattia. Magari senza di lui ci si sarebbe arrivati dopo svariati anni e moltissimi morti, tanti nostri cari.

Ed un giorno intervistato da una famosa rivista risponderebbe: “Sono stato portato via dall’orfanotrofio dove ho passato i primi anni della mia vita, ed ho avuto la possibilità di diventare ciò che volevo essere, ma non potevo. Ringrazio i miei genitori per questo.” Si girerà verso due uomini o due donne, un po’ attempati ma raggianti. E l’umanità dovrà solo ringraziarli per quel prezioso dono.

Questa si chiama evoluzione. Piaccia o meno è quello a cui bisogna tendere. 

Tristi macchinazioni che tentino di impedirlo sono, fortunatamente, destinate al fallimento.



domenica 24 gennaio 2016

La fortuna di essere sfigati


Qualche giorno fa sul pullman che mi avrebbe riportato a casa sfidando il traffico ed il lento calare del giorno, ho sentito un’espressione che mi ha fatto pensare. Due adolescenti riferendosi ad un altro ragazzo appena sceso  hanno detto: “Questo è uno sfigato..” 

“Ma perché lo hanno etichettato in quel modo?” mi sono chiesta. Lo avevo notato quando era salito, ed avevo avuto una sensazione particolare, come se si fosse materializzata un’irregolarità rispetto alla norma. La quale prevede vestiario di un certo tipo, linguaggio piuttosto licenzioso, atteggiamento di chi è in grado di affrontare qualsiasi pericolo, disprezzo verso chi non si allinea a questi canoni. In genere le ultime tre caratteristiche si rafforzano quando si è con altri del gruppo di appartenenza.

Lui non dava esattamente l’idea di essere uno “allineato”: abiti personalizzati, aria introversa, pensiero indipendente ed espressione che tradisce un’eccessiva timidezza. Mi ha intenerito, forse perché in lui  ho rivisto una giovane me che con estrema difficoltà si affacciava sul davanzale della vita, bellissima e spietata, e ne era particolarmente impaurita. All’epoca non ci chiamavano sfigati, ma il risultato era sempre lo stesso: venivamo riconosciuti a colpo d’occhio, senza scampo. 

Il bullismo, invece, era un fenomeno ancora non emerso, le cronache non ne parlavano o quasi e anche la scuola, di conseguenza, non era così sensibilizzata in proposito. Le disavventure che quotidianamente si dovevano affrontare, erano una sfida aperta al nostro animo acerbo e  senza difese, ma le paure erano le stesse di coloro che si mostravano forti, l’ho capito dopo. 

Ma si sa essere vincenti o dare l’idea di esserlo è una buona chance verso il successo nella società delle apparenze, passata e presente. Non c’è spazio per debolezze o cedimenti, bisogna mostrarsi adeguati, sicuri di sé e delle proprie capacità di fronte alle avversità della vita. Gli sfigati sono imbranati nei fatti d’amore e non solo, vivono in disparte, lasciando la scena ai conquistatori. 

In linea teorica è così, ma queste persone hanno in realtà doti e qualità che surclassano gli altri, sia in termini di intelligenza che di sensibilità. I sensori con i quali percepiscono la realtà circostante sono settati su modalità fuori dal normale range e la sensibilità che ne deriva può rivelarsi un dono preziosissimo o una spada di Damocle che incombe nei rapporti e di fronte ai fatti della vita. 

Se lo sfigato si rende conto di avere qualità superiori potrebbe davvero eccellere nel suo ambito di lavoro o diventare un punto di riferimento importante per gli altri, anche al di fuori dei propri confini, ma se non avrà la fortuna di essere sicuro delle sue capacità allora subirà, senza difese, i colpi del vivere quotidiano, tra tormenti e sofferenze inimmaginabili.

Se le altre persone invece di considerarli come diversità quindi un elemento estraneo da allontanare,  li accettassero semplicemente per ciò che sono, gli sfigati riuscirebbero a sorridere al prossimo senza considerarlo un nemico dal quale doversi sempre difendere. E magari avrebbero la possibilità di vivere una brillante vita sociale, con conseguenze eccezionali per l’intera comunità. 

Incredibili possibilità di evoluzione e crescita di tutti gli individui, perse per sempre. 

Che peccato davvero…


domenica 17 gennaio 2016

L'ignoranza è un male invincibile


- Cercate di usare tutti i nuovi termini imparati insieme quest'anno: più cose potete dire, più cose potete pensare; e più cose potete pensare, più siete liberi
- Leggete, quanto più potete. Ma non perché dovete. Leggete perché l'estate vi ispira avventure e sogni, e leggendo vi sentite simili a rondini in volo. Leggete perché è la migliore forma di rivolta che avete.

Queste erano alcune delle cose consigliate dal Prof. Catà nel famoso elenco di esortazioni rivolte ai suoi studenti alle soglie dell’estate scorsa. 
Prima di lui Sofocle nel lontano 400 A.C. diceva che “l’ignoranza è un male invincibile” mentre lo scrittore e umanista francese François Rabelais ben 2000 anni dopo dichiarava che “l’ignoranza è madre di tutti i mali”. 

Io nella mia umile posizione di blogger semi-sconosciuta potrei affermare che acquisire informazioni è il miglior modo per sviluppare uno spirito critico rispetto al contesto in cui viviamo. Il passo successivo potrebbe essere quello di materializzare un pensiero indipendente da qualsiasi influenza esterna, e se la collettività è fortunata quel singolo pensiero sarà talmente carismatico da costringere le altre menti alla riflessione. Così da diventare protagonisti della propria realtà e non subirla da mediocre spettatore il cui unico lascito offerto al prossimo è un banale epitaffio, dimenticato il giorno successivo alla cerimonia funebre.

La conoscenza delle cose, quella che il dizionario definirebbe cultura o istruzione, è così vitale per la mente, eleva i pensieri e ci fa vedere la realtà circostante con occhi diversi. Anche lo sguardo verso sé stessi è differente, si svelano aspetti della nostra personalità inesplorati e magari si aprono davanti a noi scenari del tutto nuovi, diverse opportunità. 

Senza dimenticare che sui libri si leggono tante storie d’amore, d’amicizia, di rapporti interpersonali in genere, che ci fanno riflettere sui sentimenti, le emozioni, i comportamenti degli altri, ma anche sui nostri. Essere critici rispetto al proprio agire è quanto di più difficile si possa riuscire a fare, ma di certo rende i rapporti con il prossimo meno conflittuali. La lettura si rivela davvero preziosa in tal senso.

Visto che in questo post ho esagerato con le citazioni, mi piacerebbe concludere con una del drammaturgo Vittorio Alfieri:

“Leggere, come io  l’intendo, vuol dire profondamente pensare.”

Tutte le citazioni sono tratte dal "Dizionario delle citazioni"- Biblioteca Universale Rizzoli



domenica 10 gennaio 2016

L'Epifania le feste ha portato via, speriamo non tutti i sorrisi


Quando arriva il momento di mettere via l’albero di Natale, presepe e addobbi vari, una strana sensazione sembra che abbia il sopravvento sulle abituali emozioni. Un misto di nostalgia e di calma dopo la tempesta, come quando ci si sente molto stremati dopo aver compiuto un’ardua impresa. La quale, in questo caso annovera oltre ad immani fatiche, anche delle vere e proprie gesta eroiche. 

Sì perché non bastano interminabili maratone culinarie a farla da padrone durante lenti movimenti di orologio che scandiscono incontri obbligati. Tutto quello che avviene durante questi incontri fa sì che un gesto da gentile si trasformi in eroico. Un sorriso elargito a chi non si è proprio comportato bene con noi, una stretta di mano a chi ha tradito la nostra fiducia o deluso le nostre aspettative, e se vogliamo osare un atto di ulteriore coraggio: un abbraccio con annesso bacio a chi avevamo depennato dalla ristretta cerchia dei nostri affetti. 

Concedere la nostra presenza il lungo tempo di un cenone suggella l’audacia dell’opera; donare un regalo, frutto dei nostri pensieri e del tempo speso a materializzarli, ci autorizza a ritenerci automaticamente iscritti sulla lista dei buoni di Babbo Natale, sempre che quest’ultimo non decida di cambiare le regole senza preavviso (vedi racconto e post precedente).
Qualcuno potrebbe obiettare che il tutto non è certo condito di sincerità e fa parte del relazionarsi della nostra società, ben carico di apparenze e spesso privo di gesti autentici. E se invece fossimo noi per primi a perdonare eventuali, presunti altrui comportamenti sbagliati, forse anche gli altri lo farebbero con noi. 

Guardare avanti con benevolenza e qualche sorriso in più a chi ci circonda. Saremmo i primi ad avere benefici di questo prendere la vita con filosofia, che esiste anche come definizione nel dizionario: dote di chi considera con obiettiva serenità le cose del mondo.
Potremmo farlo diventare uno dei buoni propositi del nuovo anno: spente le luci delle feste dovremmo accendere le nostre, quelle che siamo in grado di attivare attraverso un sorriso, una parola o un gesto gentile e qualche lamento in meno. Anche il nostro aspetto esteriore ne guadagnerebbe in fascino.

La magia del Natale è quella che ci fa sorridere nonostante i problemi, che ci fa vivere in un’atmosfera carica di luci e buone intenzioni. Credere a Babbo Natale vuol dire anche questo, vedere il buono delle persone, il bello della vita. Non è ingenuità, è solo pura innocenza. 

Dobbiamo crederci ancora, nonostante tutto.