domenica 28 maggio 2017

Le parole vanno dosate come il sale


Qualche tempo fa mi ero imbattuta su Facebook in un post che mi aveva molto colpita, tanto che decisi di condividerlo. Parlava di un ragazzo il cui vicino di casa aveva messo in giro la voce che fosse un ladro. 

Un’accusa già grave di per sé ma non così tanto, almeno fino a quando la calunnia, passando di bocca in bocca aveva raggiunto a pieno titolo il livello di un’indelebile infamia. Tanto che il ragazzo fu arrestato, ma vista l’infondatezza delle accuse venne rilasciato qualche giorno dopo. L’anziano vicino fu poi giustamente citato per diffamazione e di fronte al giudice affermò che erano solo dei commenti, privi di intenzione a nuocere.

Il giudice prima della sentenza, ordinò all’accusatore di scrivere tutte le accuse fatte in precedenza su dei pezzi di carta per poi gettarli dal finestrino della macchina in corsa. Il giorno successivo gli disse di raccoglierli tutti. Il vecchio rispose che era impossibile visto che il vento li aveva trascinati via. Il giudice rispose che nello stesso modo, quanto si dice sul conto di una persona ne può distruggere l’onore con effetti irreparabili. 

I pettegolezzi sono i ladri peggiori perché rubano la dignità, l’onore, la reputazione e la credibilità di un’altra persona ed è impossibile tornare indietro. La raccomandazione era quella di guardare alla lingua come uno strumento che può diventare estremamente pericoloso, al pari di un’arma. 

Non so se questa storia sia reale o meno. Ho voluta condividerla comunque perché mi capita spesso di ascoltare parole non necessarie e in alcuni casi decisamente dannose. Lo diventano davvero quando incidono sulla reputazione di una persona. Mi sembra impressionante la facilità con cui si parla di un fatto o di una persona, soprattutto quando non ci si basa su esperienze dirette o una reale conoscenza, ma su un “sentito dire” tutto da verificare. 

Spesso accade che la realtà superi la fantasia creata da un bravo sceneggiatore e ci si ritrova a leggere un fatto di cronaca che lascia senza parole anche i più incalliti logorroici.

Qualche giorno fa, infatti, mi è stato segnalato un articolo che riguardava una vicenda che nasce nel lontano 2014 e arriva fino ai nostri giorni, trascinata da una cronaca giudiziaria a dir poco allucinante.

La vittima è un professore di arte che insegna in una scuola media milanese che viene macchiato con una delle accuse più infamanti, soprattutto per chi lavora accanto a minori e che in teoria dovrebbe essere la loro guida. Violenza sessuale e una reputazione, oltre che una professione, rovinate per sempre. A questo punto non ci sarebbe molto da scrivere, se non qualche riga di sincera vicinanza alle ragazze vittime di tale ignominioso reato.

Ed invece le righe toccherà spenderle per descrivere un clima di condizionamento psicologico tale per cui le presunte vittime erano “legate da relazioni psicologiche complesse”. Si passava dalla capogruppo o capobranco, alla sua migliore amica, psicologicamente succube, alla vittima di bullismo, fedele per necessità. 

Questi legami affettivi patologici avevano attribuito agli atteggiamenti fisici del professore una connotazione sessuale, del tutto inventata. La quale era passata di bocca in bocca, trasformando il professore in un ragazzino abusato, violentatore a sua volta, per di più gay, il che aggiunge sempre una nota di infamia a qualsiasi vicenda.

Verifiche sul campo che si sono avvalse anche dell’uso di telecamere, hanno smentito in maniera inequivocabile tali accuse, portando i giudici a formulare una sentenza che dovrebbe far vergognare gli untori di menzogne. Il professore è stato vittima di una suggestione collettiva, di “voci incontrollate e destituite di ogni fondamento”.

La storia si conclude bene nel senso che l’ingiustamente accusato è stato assolto. Ma ci sono cose che si portano dietro un pesante carico di vergogna ed umiliazione che diventa pressoché impossibile restituire alla persona una normalità come se nulla fosse mai accaduto. 

E diciamo anche che ci sarà sempre qualcuno che rimarrà con il dubbio ed il sospetto, tanto che sarà portato a prendere le distanze da quella persona, da quell’insegnante. Non si sa mai che i giudici si fossero sbagliati. Ha tutti i presupposti per diventare un’onta incancellabile. E ricostruire una reputazione necessita un’altra vita, ma noi umani non disponiamo di questo lusso. 

Ricordiamocelo la prossima volta che stiamo parlando di una persona o di un fatto. Quando facciamo delle affermazioni o muoviamo delle accuse, stiamo dando vita ad un’azione pesante. Non sono solo semplici, banali parole. Le quali sono il sale del nostro vivere in comunità. Dosiamole con estrema attenzione. 

E visto che le linee guida per mangiare sano dicono che il sale è già presente in molti alimenti per cui la sua aggiunta si rivela dannosa, regoliamoci di conseguenza.  Allo stesso modo il silenzio può salvare molte vite.



domenica 14 maggio 2017

Anche il frivolo è indispensabile



Qualche lettore mi ha fatto notare l’importanza dei temi che sono trattati in questo blog, e quanto il tutto fosse estremamente serioso. Ho risposto che alcuni argomenti necessitano di uno stile poco incline all’ironia. E comunque se si vuole strappare un sorriso a chi legge, lo si deve fare in maniera molto oculata. Per non risultare offensivo o superficiale. 

Lo scopo di molti articoli qui postati è quello di provocare una riflessione più che una risata, anche se chi mi parlava si riferiva proprio a quello. O più precisamente al fatto che chi non mi conosce, si può fare un’idea non proprio esatta di me. Di una persona estremamente seriosa, poco incline all’umorismo o a parlare di cose futili. 

Come scrissi in un precedente post, sulla scia di una recente ricerca, decisi di iniziare a staccarmi dal giudizio altrui. Questo non vuol dire che se gli altri mi fanno notare qualcosa, debba ignorarlo. Ho pensato che in effetti sto rimandando la scrittura di alcuni articoli che trattano argomenti leggeri, che rasentano la frivolezza. 

Cose di cui mi capita di parlare con colleghi o amici, che mi incuriosiscono ma che inserisco sempre alla fine di una lista di argomenti che non riesco ad ignorare. Che reputo più importanti e che in effetti lo sono. La vita di tutti i giorni però corre anche su questioni di poco conto, cose che, se nessuno ne parla, non cambia molto nel destino di noi tutti. 

Magari scegliendo qualcosa che stimola la curiosità si può arrivare ad essere profondi anche parlando di moda, se alla fine non si rimane disinteressati rispetto alla necessità di non comprare voracemente. C’è da chiedersi se si può vivere senza pensare a nulla, senza considerare la realtà che ci circonda. Veramente in tutte le nostre scelte dovremmo considerare cosa e chi è intorno a noi, valicando il confine del nostro, esclusivo universo. 

Se pensiamo che questo cambierebbe in primo luogo la nostra qualità di vita, metteremmo in atto un cambiamento più a cuor leggero. Se viviamo in un contesto dove ogni persona prima di agire comincia a pensare di non essere sola, che ciò che farà avrà un effetto su altre persone e sul luogo in cui vive, e più in grande sullo stesso pianeta che la ospita, le cose cambierebbero nel profondo. 

A quel punto potremmo permetterci di essere frivoli, ogni tanto, di non pensare a nulla, nel momento in cui ci sdraiamo su un comodo sofà e sorseggiamo una bevanda in totale relax. 

È decisamente liberatorio ritagliarsi un spazio del tempo che scorre, per dedicarlo solo al nostro benessere. Volersi bene è importante e se lo accompagniamo anche con una sana risata lo è molto di più. 

Una volta appurato che si può essere seri, impegnati, divertenti, frivoli e coscienziosi, valutando opportunamente cosa sia meglio mettere in campo in una determinata occasione, affrontiamo la superficialità con serietà. Ridiamo pure del nulla se non rappresenta una caratteristica fissa della nostra giornata, così come il parlare del futile può essere accettabile se non ci dimentichiamo degli altri nel normale agire. 

Per essere coerente devo, a questo punto, dare risalto ad una notizia riguardante una cosa piuttosto leggera, ossia l’emissione di particolari francobolli da parte dell’amministrazione postale delle Nazioni Unite.

Dodici francobolli che raffigurano una specie di animali o piante, a rischio di estinzione. Lo squalo volpe o il baobab di Grandidier potrebbero essere prossime alla definitiva sparizione da questo pianeta e sembra che l’Onu metta in atto questo mix di utile e dilettevole da oltre 20 anni. 

Lo trovo veramente interessante, sempre che non diventi agli occhi della gente solo un’espressione artistica, priva di ogni riflessione su ciò che stiamo causando all’ecosistema. Qualcuno si chiederà pure cosa c’entra lui personalmente con la scomparsa della rana verde escavatrice. 

In realtà anche lui ne è responsabile dal momento che compra quando non necessario, consuma eccessivamente rispetto alle sue necessità, rilascia nell’aria e nell’acqua sostanze dannose conseguenti a questi consumi.

Nell’ordine mondiale delle cose sembra che non cambi nulla senza la rana verde escavatrice. Ma un pezzo in meno in una scacchiera ben organizzata quel’è l’ecosistema, è l’ennesimo danno da riparare. 

In definitiva un francobollo può portare al cambiamento.



lunedì 1 maggio 2017

Se questo è un bambino


Oggi la giornata è dedicata al lavoro, ed in particolare ai diritti di tutti coloro che un lavoro lo svolgono. Il ricordo ci dovrebbe riportare indietro di più di un secolo, ai primi di maggio del 1886 a Chicago dove una manifestazione operaia finì in un massacro. La protesta era scaturita dall’assenza totale di diritti, si arrivava anche a 16 ore di lavoro al giorno, in pessime condizioni, portando le persone alla morte nelle stesse fabbriche. La rivolta denominata di Haymarket, dal nome della piazza che ospitava il mercato delle macchine agricole, durò tre giorni e finì il 4 maggio in un massacro, con undici morti negli scontri tra polizia e manifestanti.

Se oggi non abbiamo dimenticato cosa successe quei giorni di tanti anni fa, dobbiamo fare altrettanto ricordando che in quel periodo era normale trovare persone in giovanissima età che passavano la loro infanzia nelle fabbriche. Molto spesso i danni fisici che riportavano non consentivano loro di avere una vita normale, sempre che avevano la fortuna di arrivare all’età adulta. 

Dovremmo guardarci indietro inorriditi con la certezza che se andiamo avanti nel tempo, siamo in grado di superare situazioni noncuranti della dignità umana.
Purtroppo la condizione che ne è responsabile ossia la povertà, non è stata eliminata ed in alcuni paesi nel mondo, i bambini continuano ad essere vittime di contesti a dir poco sfortunati. Costretti a diventare grandi, per tentare di far sopravvivere una famiglia intera.

Con l’avvento della rivoluzione industriale venivano impiegati soprattutto nell’industria tessile, le mani molto piccole permettevano, infatti, di infilare agevolmente il filo e lavorarlo. In Inghilterra o in America era possibile trovare situazioni del genere e se la rivoluzione si fosse diffusa a tutto il globo oggi sarebbe diverso. Negli anni a venire però, le cose non andarono per tutti allo stesso modo ed il mondo si è diviso in paesi sviluppati, ricchi, progrediti e paesi che forse un giorno lo diventeranno, sempre che i primi abbiano lasciato ancora qualcosa da poter sfruttare.

Del resto i bambini fortunati devono vestirsi, mangiare merendine, possedere un cellulare e poterlo cambiare quando esce un modello più nuovo. Per creare questi prodotti è necessario che qualcun altro dedichi ore della sua giornata per contribuire a questa produzione. 

Il problema ed anche pesante, sorge quando queste ore sono sottratte al gioco e allo studio, privando la persona dell’istruzione che sarebbe necessaria per cambiare la sua condizione. La quale non si modificherà nel futuro, condannando chi ne è vittima ad una vita miserabile. Le ore di lavoro occupano intere giornate, il salario non è scaturito da una contrattazione e se il piccolo è estremamente fortunato si ritrova a cucire tappeti o scarpe. Che il bambino che le indosserà pagherà molti soldi, nonostante il bambino che le ha cucite verrà pagato molto, molto poco. 

Fin qui molte cose non tornano, ancor meno quando ci spostiamo in luoghi dove si produce non la scarpa famosa, ma l’ingrediente di una merendina o un minerale essenziale per assemblare un cellulare o un tablet. Una miniera non è un bel posto per nessuno, figurarci un essere in via di sviluppo.  Nel Congo si produce molto del cobalto utilizzato per le batterie al litio di diversi dispositivi, e c’è bisogno di qualcuno che lo estragga rovinando per sempre i suoi polmoni, sempre che riesca a sopravvivere. 

In Indonesia viene prodotto gran parte dell’olio di palma che si trova in molti alimenti confezionati. Molte persone devono lavorare nelle piantagioni per mantenere una elevata produzione, in mezzo a pesticidi tossici, trasportando carichi di frutta anche di 25 chili. Trattandosi di luoghi ricchi di povertà, la possibilità che a vivere in queste condizioni sia una persona minore di 18 anni, è molto elevata, senza la benché minima tutela, con un rischio esponenziale di morte o danni fisici gravi. 

Ora però la produzione di olio di palma è etichettata come sostenibile, tanto per sentirsi a posto con la coscienza. Io mi sento a posto solo se consumo poco, mangio con morigeratezza, faccio durare il più a lungo possibile il cellulare o la scarpa di marca famosa. È l’unica arma che ho per rallentare quella produzione, abbassare la soglia di voracità di un consumismo divenuto ormai insostenibile per la Terra e per i suoi abitanti. 

Questo articolo lo dedico ad un bambino pakistano, divenuto il simbolo della lotta al lavoro minorile. Il suo nome è Iqbal Masih, venduto dal padre ad un venditore di tappeti per un debito di soli 12 dollari e costretto a lavorare anche 12 ore, incatenato e denutrito, minato per sempre nel suo fisico. Riuscito a fuggire, partecipò ad una manifestazione per la liberazione dalla schiavitù del lavoro e da allora cominciò a viaggiare per far conoscere al mondo queste orribili situazioni. 

All’età di 12 anni, nel 1995, fu assassinato in circostanze tutt’oggi non chiarite, ma grazie al suo impegno molte condizioni di schiavitù minorile sono venute alla luce portando alla chiusura molte fabbriche di tappeti in Pakistan. Fino a quando la povertà sarà una realtà del pianeta, tutto questo può ancora succedere. Anche in paesi insospettabili, considerati industrializzati, nelle sue realtà più arretrate, dove la ricchezza non è arrivata. 

Quando sono i bambini a pagare personalmente le conseguenze dell’ingiustizia, ho idea che manchi ancora molto, troppo tempo per definirci una razza evoluta.