domenica 26 marzo 2017

L'unione fa la forza, bruta


Un vecchio detto recitava: “In compagnia prese moglie un frate…” stando a significare che anche le cose più inconcepibili per il singolo individuo, possono accadere se trascinati dal volere di un insieme di persone. La storia prima e la cronaca quotidiana poi, ci insegnano che dal più temibile dittatore al più sprezzante dei bulli si è rivelato fondamentale il supporto di altri individui. 

Non sarebbe infatti rimasta traccia delle loro nefandezze, se non ci fosse stato un più o meno nutrito gruppo di sostenitori che rafforzavano parole e comportamenti privi di ogni logica ed in piena violazione dei diritti umani. Chi è a capo di una qualsiasi organizzazione avrebbe ben poco da organizzare senza la risorsa che in primis ne costituisce la ricchezza e la prosperità. 

Non parlo di denaro o qualsiasi altro bene materiale, seppur di incommensurabile valore, mi riferisco ad un capitale che non può essere sostituito, non acquistabile sul mercato delle cose. 

Quello umano è un patrimonio di cui sia i peggiori criminali che i più incalliti filantropi non possono fare a meno, perché attribuisce un potere fuori misura e senza tempo, tanto che tutt’oggi ricordiamo con disgusto o nostalgia azioni e gesta di un cattivo o di un buono con milioni di proseliti. 

Sarebbe interessante poter verificare come gli individui presi singolarmente, non avrebbero il coraggio di affermare con vigore e sfrontatezza quanto pronunciato dalla massa nel suo intero. La quale conferisce la forza necessaria per veicolare un messaggio, renderlo credibile agli occhi di chi non si è ancora “convertito”. E gli scettici finiscono pure per trovare qualche ragione valida per non demonizzarlo completamente. 

Perché i veri cattivi sono anche grandi manipolatori, e fanno a gara tra di loro per far credere che l’inferno non esiste. Così che i deboli di pensiero di cui hanno un disperato bisogno, possono unirsi a loro senza troppi sensi di colpa.

All’interno di piccoli, grandi gruppi di singoli che pensano, dicono e fanno le stesse cose, si creano realtà parallele dove il bene e il male hanno altri contorni e chi è fuori diventa sacrificabile. 

Al primo posto c’è un obiettivo da raggiungere e una logica, seppur distorta, da seguire. Che se ne infischia dei diritti degli altri esseri umani e rimane ancorata nelle maglie di una forte personalità, quella del leader. Perché anche nel branco c’è sempre un capo, qualcuno che sa usare le parole meglio degli altri, in grado di mostrare un’invincibilità da supereroe, capace di infondere sicurezza e autostima. 

Magari qualcuno potrebbe obiettare che anche Gandhi o Martin Luther King potrebbero rientrare in questa descrizione, ma alla fine il male esercita maggior fascino e con la sola forza delle parole non si riesce a prendere il controllo di buona parte di mondo come ha fatto Hitler.  

Nel qual caso oggi avremmo un pianeta completamente diverso. Invece ci tocca fare i conti con un’attualità pesante dove si ascoltano notizie di stupri collettivi in cui le vittime, deboli ed indifese subiscono violenza ed umiliazione. Portandosi dietro traumi che li segneranno per sempre, una visione della realtà cruda e crudele, difficile da cancellare. 

Oppure attentatori che vanno in giro ad eliminare più persone possibili, in cambio di una salvezza eterna, Perché così enuncia la religione alla quale appartengono? L’ombra di uno o pochi altri manipolatori prende corpo, qualcuno il cui potere si accresce sempre più, man mano che il suo disegno si realizza. 

Che ne sarebbe di loro, se le pedine che credono di poter plasmare a loro piacimento cominciassero a ragionare autonomamente? Se prendessero coscienza di essere utilizzati per scopi diversi da quelli rifilati nel messaggio dell’organizzazione? 

Dove la società mostra debolezza, non diffonde cultura, qualità di vita, non è salda su alcuni valori quali il rispetto, non potrà mai rappresentare una valida alternativa ai messaggi sicuri e verosimili di provetti dittatori, abili imbonitori o chi ha un disperato bisogno di esercitare il potere. 

A costo della vita, possibilmente degli altri. 


domenica 19 marzo 2017

Tu con leggerezza decidi, io pesantemente subisco


Qualche giorno fa un mio amico di cui non avevo notizie da un po’ mi scrive che ha avuto il morbillo. È stato molto male, addirittura nell’impossibilità di scrivere al cellulare in quanto non vedeva bene. Fin qui nulla di strano se non fosse che la persona di cui sto parlando non si trova più in età scolare e non dovrebbe essere esposto a rischi di questo genere. 

Per il semplice fatto che da anni esiste un vaccino che ci protegge da questa malattia, dalle complicazioni sempre imprevedibili. In realtà dovrei usare il tempo condizionale, perché ciò che in teoria fila piuttosto liscio, nella pratica non sta andando affatto come dovrebbe. 

Stiamo perdendo l’immunità di gregge che salva dalle complicanze di un virus o un batterio anche chi, per problemi di salute, non può vaccinarsi e questo grazie al fatto che la maggior parte della popolazione lo è. Se però la percentuale delle persone immuni scende sotto la soglia del 95% allora comincia ad affacciarsi più di qualche possibilità che i germi possano sopravvivere e ricominciare a banchettare con le nostre povere membra. 

A quanto pare il morbillo è proprio una delle malattie per le quali si stanno registrando aumenti esponenziali dei casi tra la popolazione e questo perché, dati alla mano, già solo nel non lontano 2015 la copertura vaccinale era scesa all’85%, troppo distante dal 95 che ci terrebbe al sicuro. 

Ed anche se il virus del morbillo non è tra quelli per cui è obbligatoria la vaccinazione, ma solo consigliata, bisogna tener presente che ci sono categorie di persone il cui organismo non è in grado di difendersi, per i più svariati motivi. Quindi, anche una malattia in teoria non letale, per alcune persone può diventarlo, per via delle loro difese immunitarie compromesse. 

Se poi parliamo delle vaccinazioni obbligatorie, la gravita delle conseguenze in caso della perdita dell’immunità di gregge, si fa ancora più pesante. In quel caso si avrebbe di nuovo a che fare con nomi più inquietanti e tra questi spicca la devastante poliomielite. 

Non posso dimenticare i racconti di mia madre a proposito delle terribili conseguenze di questo virus. Viene anche chiamata paralisi infantile, perché se riesce ad entrare nel sistema nervoso centrale ne colpisce i neuroni con esiti devastanti. E queste conseguenze sono state sotto i suoi occhi per svariati mesi, dal momento che accompagnava una sua giovane nipote a fare fisioterapia in un ambulatorio che accoglieva molti altri piccoli pazienti. 

Le scene alle quali ha dovuto assistere erano veramente strazianti, con menomazioni che deturpavano il corpo e facevano veramente sperare in un miracolo. Il quale arrivò nel 1950 con la realizzazione del vaccino che diminuì drasticamente i casi, fino alla sua scomparsa nelle zone in cui veniva regolarmente somministrato. Mia madre ne fu felice e nessuno avrebbe mai pensato che molti anni dopo se ne sarebbe parlato come qualcosa di potenzialmente dannoso. 

Il “potenzialmente” ci sta tutto perché un articolo pubblicato sulla rivista Lancet e poi ritirato, privo di qualsiasi riscontro scientifico, ha fatto i suoi bei danni, diffondendo la notizia che i vaccini avrebbero provocato l’autismo. Non si sa per quale motivo, ma accade troppo spesso che i venditori di fumo abbiano più successo dei venditori di cose serie e alla fine la gente o buona parte di essa ci ha creduto. Non solo, nei social network si è riunita in gruppi o comunità dove hanno eretto un muro più duro di quello di Berlino, per non permettere l’ingresso a notizie che sfatassero tale radicata convinzione. 

Ovviamente le uniche informazioni che girano in questi circoli chiusi sono quelle che confermano ciò in cui si crede. Questo fenomeno si chiama esposizione selettiva alle news per usare un termine ancor più moderno, anche se qui di evoluto non c’è proprio nulla. Ancor meno se consideriamo che tale disinformazione la diffonde anche chi dovrebbe essere il paladino della correttezza, e dovrebbe farsi carico della crescita della comunità. Il cosiddetto personaggio pubblico, in alcuni casi anche amministratori della cosa pubblica e lì la curva dell’avvilimento raggiunge il suo punto più basso.

Bisogna invece ribadire che i vaccini prima di essere utilizzati vengono sperimentati per lungo tempo e anche dopo la commercializzazione sono sottoposti a continui controlli da parte delle aziende che li producono.

I ricercatori ormai da anni perdono il sonno alla ricerca di vaccini contro l’Hiv o l’epatite C, virus temibili e pericolosi che una volta penetrati nell’organismo decretano tutto un altro destino, con un finale non certo da film romantico. Perché tante persone perdono il loro tempo a ricercare, visto che il giorno che finalmente riusciranno a realizzarlo, per molte altre non sarà affatto da festeggiare? 

La notizia che circolerà in quei gruppi, riguarderà l’ancor più grave pericolosità di un vaccino che concepito in era moderna sarà intriso di sostanze ancor più elaborate, e quindi ancor più dannose.

Nuovo circolo vizioso e punto accapo. Sarà l’epoca del risveglio dei morti, magari Freddy Mercury che ci ha perso la vita per quel virus, tornerà sotto forma di ispirazione improvvisa per un cantante altrettanto famoso e il titolo del pezzo potrebbe essere: “Per favore, non mi far morire una seconda volta.”





domenica 5 marzo 2017

Le etichette solo al supermercato, please!

Ben lontani dal padroneggiare un pensiero libero, abitanti di una piccola o grande comunità che sia. La società stessa influenza il nostro giudizio, senza che neanche ce ne accorgiamo. Quando iniziamo una conversazione con una persona che non conosciamo, non dovremmo in teoria avere alcun tipo di opinione, né bianco né nero. 

Semplicemente un’ idea dovremmo farcela man mano che la conoscenza si fa più approfondita. E parlo di un tempo abbastanza lungo, in quanto una frequentazione superficiale non ci dovrebbe delineare un identikit perfetto. Forse fornirci un orientamento che, man mano che navighiamo nel complicato mondo di un altro essere umano, ci spinge in una direzione. 

Modificabile da venti contrari o meno, ma solo un marinaio esperto può dire la sua e questa consapevolezza ci arriva dalla conoscenza profonda della persona. Oggetto del nostro inevitabile giudizio, come noi saremo del suo. Dopo aver narrato di come la valutazione di quello che è un individuo ai nostri occhi dovrebbe arrivare dopo svariati accadimenti, belli e brutti, giungiamo a raccontare ciò che invece succede nella realtà. 

Quando vediamo per la prima volta una persona, non sappiamo nulla né del suo passato né delle cose che ama fare. Il suo carattere e la sua indole sono per noi un universo tutto da scoprire e per questo sarebbe piuttosto avventato esprimerci in merito. 

Per formulare un giudizio indicativo anche se non ancora completamente appropriato, ci aspettano diverse occasioni da condividere, per ora siamo ancora in alto mare. Invece, nonostante non siamo dei navigatori esperti e non sappiamo granché delle acque nelle quali stiamo nuotando, tracciamo una rotta, ci fingiamo grandi conoscitori e filiamo sicuri verso una direzione. 

Ciò che ci dà tanta sicurezza, quello su cui ci basiamo per le nostre valutazioni è un pacchetto già pronto, fornito dalla stessa società. Pensieri e valutazioni già impacchettate e distribuite liberamente sotto la sigla “stereotipi”. Lasciando il marinaio alla sua navigazione e tornando con i piedi per terra, ci ritroviamo con un lui o una lei appena conosciuti e il famoso pacchetto che ci evita un dispendio di energie e tempo, dal momento che elargisce giudizi senza il minimo sforzo. 

Lo stereotipo è esattamente questo, un modello convenzionale, un luogo comune, una frase fatta, che poco ha a che vedere con la valutazione caso per caso, basata sul soggetto che ci troviamo di fronte. 

Sembrerebbe che giudichiamo senza conoscere, affibbiamo etichette come fossimo al supermercato, cataloghiamo e prezziamo senza troppe remore. Tutto partendo dalla innocua visione della persona, la sua razza, etnia, abbigliamento o quant’altro ci permetta di delineare un quadro che dovrebbe essere solo indiziario, invece diventa accusatorio e in molti casi inappellabile. 

Il nostro giudizio è quanto di più efficiente si possa immaginare, rapido, produttivo e con il minimo dispendio di risorse, visto che usa modelli già pronti. Anche la scienza pare essere di questo avviso e dopo un attento studio si trova a dover affermare che si ragiona per stereotipi. 

Attraverso particolari tecniche, anche con l’uso della risonanza magnetica funzionale, si è dimostrato che appena si visualizza un viso scattano categorizzazioni da parte del cervello, senza che ci sia un reale riscontro oggettivo. 

Come potrebbe se la persona non ha neanche proferito parola? Per esempio ad un uomo di colore generalmente si attribuisce uno stato d’animo rabbioso, una donna asiatica si presume che sia felice. Non oso pensare che altre attribuzioni possano mettersi in moto quando prendiamo in considerazione anche l’abbigliamento. 

Purtroppo questi giudizi sommari ed il più delle volte sbagliati, guideranno le nostre azioni, condizionando inevitabilmente il rapporto che si costruirà con quell’individuo. 
Influenzati e plasmati da una società che molte volte dimostra di non essere evoluta. 

Ci piace definirci esseri liberi, ma la verità è che siamo incredibilmente suggestionabili, spesso incapaci di mettere in atto un ragionamento svincolato da modelli e pregiudizi che inquinano il pensiero, annebbiano la logica e ci fanno assomigliare a tanti soldatini. 

Tutti uguali, obbedienti e con gli stessi gusti. La bambagia per chi deve vendere i suoi prodotti o le sue idee su larga scala, all’opposto di una società dove tante diversità convivono pacificamente e l’unica cosa prodotta in grande quantità è il benessere. 

Siamo fermi al punto in cui Star Trek è solo un telefilm e non un ideale a cui tendere. 

Chissà se lo sarà mai.