domenica 18 dicembre 2016

La città non ha ancora perso


Proprio in questi giorni il sindaco di Roma Virginia Raggi ha assunto le deleghe all’Ambiente per via di un avviso di garanzia giunto all’assessore. Nulla di nuovo, storie di ordinaria amministrazione nella nostra politica, vecchia o nuova che sia. Il momento però assume notevole importanza perché si può davvero dimostrare di essere diversi, di voler cambiare le cose, di rivoluzionare.

È quello che ci si aspetta da chi dichiara di essere trasparente, nuovo, di rappresentare una soluzione di discontinuità rispetto alla vecchia politica, mangereccia e intrallazzatrice. Questo è il suo momento caro sindaco, non può più aspettare, deve darci un segnale, che ci faccia ancora credere che questa città si può salvare.

Roma merita un trattamento di favore da parte di chi la governa e, non da meno, dai suoi cittadini. È un luogo immerso nella storia, secolare come alcuni alberi che la abitano, intrisa di una magica, indescrivibile atmosfera. Queste in realtà erano le premesse, perché sia i politici che i suoi abitanti hanno pensato bene di oltraggiarla, sporcarla, vituperarla, disonorarla. Riempiendola di immondizia, inutili rumori, scritte sui muri più pregiati, servendo su un piatto d’oro possibili aree verdi in cambio di freddi casermoni di cemento. 

Non serve una ricetta miracolosa, ingredienti segreti che qualche maestro spirituale non rivela per non perdere la sua guida. Tutto ciò che si può fare è alla luce del sole e alla portata del movimento che la sostiene. In primo luogo bisogna dimostrare nei fatti di dare un taglio netto con il passato, la scelta delle persone a cui affidare la propria fiducia è fondamentale. Prendere le distanze da chi negli anni non ha voluto il bene della città, ma solo delle sue personali ricchezze, sarebbe un ottimo inizio.

Persone che si occupano di politica, che cercano di amministrare una città mettendo al centro di tutto la città stessa, il suo benessere, la qualità di vita che può offrire a chi la abita. Invece di politici che fanno ruotare ogni questione attorno al denaro, e a quanto se ne riesce a moltiplicare grazie ai molteplici affari che una metropoli del genere può produrre.

Non è una sfida impossibile se i cittadini decideranno anche loro che è il momento giusto per un nuovo futuro. In un modo altrettanto facile, nulla di complicato ma pregno di civiltà. Dimostrando di tenere davvero a questa città, tenendola pulita, rispettando le regole della strada, non rovinando i beni comuni, intrattenendo rapporti trasparenti con chi la governa.
È un traguardo raggiungibile, se si inizia ora esattamente dal settore che si trova a governare per necessità: l’ambiente. 

È ampiamente dimostrato che in una città ricca di aree verdi e di parchi urbani, la qualità di vita è nettamente più alta. L’attività fisica praticata in uno spazio ricco di vegetazione, favorisce il rilassamento e aiuta il tono dell’umore. In verità molti luoghi che potevano trasformarsi in piccole o grandi oasi, sono diventati la base di orripilanti colate di cemento, per la somma gioia di chi ci ha fatto fortuna.  

Esistono comunque spazi da riqualificare, zone degradate o abbandonate di cui riappropriarsi per donare una nuova immagine, città oltre i confini nazionali da cui prendere esempio. 

Parigi come New York hanno recuperato linee ferroviarie in disuso per farne parchi, percorsi verdi disegnati sui vecchi tracciati ormai abbandonati, frequentati da turisti e cittadini invogliati così a muoversi. E nascono la Promenade Plantée e l’High line elevated park. Berlino non ha rimandato indietro i soldi europei, ma li ha utilizzati con il progetto “Neighbourhood management Berlin”, per recuperare quartieri difficili con alti livelli di disoccupazione e una difficile convivenza tra etnie diverse.

Si può dare vita ad una città ricca di rapporti umani, lì dove si creano aree di aggregazione, in cui la gente si può incontrare, per fare attività fisica o anche solo per scambiare qualche parola. 

Un altro intervento al passo con i tempi sarebbe quello di realizzare piste ciclabili, rendendo al tempo stesso più efficiente la rete di trasporto pubblico. 
Spero che la città non abbia ancora perso come canta Niccolò Fabi, spero che chi ne esca vittorioso non siano i palazzinari con i loro loschi affari o le polveri sottili, spero davvero che non abbiano perso i rapporti umani o il sogno di vivere in un luogo da cui non si ha frequentemente il desiderio di scappare.

Se l’amore si dimostra nei momenti difficili, allora bisogna muoversi ora. Tutti, nessuno escluso. Altrimenti si fa avanti qualcuno che fa ripartire il circolo vizioso della vecchia politica. 

Altro giro, altra corsa e si ripiomba nel tunnel.







domenica 11 dicembre 2016

68 anni non sono bastati


68 anni sono quelli passati da quando fu adottata la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e ogni anno, il 10 di dicembre, viene dedicata una giornata a ricordarci quest’importante traguardo. Se pensiamo che ciò avvenne immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, viene quasi automatico riflettere sul fatto che successivamente ad una tragedia di proporzioni così vaste, l’uomo ha sentito la necessità di mettere nero su bianco un’intenzione, quella di non ripeterla una terza volta. 

Una guerra mondiale non era riuscita a far prevalere l’autocontrollo sull’umano istinto di prevaricazione, sopraffazione, crudele annientamento dell’altrui dignità al solo scopo di affermazione personale e dei propri principi. Ne è giunta una seconda che, in termini di crudeltà e abominio, ha superato di gran lunga ogni più atroce previsione. 

Credo che in quegli anni l’uomo ha potuto realizzare di cosa è capace, nel senso più negativo del termine. Del male che può produrre su esseri appartenenti alla stessa specie, di quanto il diavolo non sia una pura invenzione religiosa, ma un commensale che spesso invitiamo al banchetto per nutrirsi della nostra stessa carne. Le immagini che rimangono scolpite nella mia mente sono quelle di individui privati del tutto della loro dignità, ridotti a carcasse, involucri la cui anima spera di trovare al più presto un po’ di pace, fuori da un immeritato inferno.

Forse neanche l’essere umano aveva consapevolezza di essere in grado di arrivare a tanto e, quando si rende conto di aver sfiorato una tragedia ancora più grande, riflette lucidamente e butta giù inchiostro. Sembra quasi che sia la paura a far liberare parole incancellabili, una precauzione fin troppo ragionata in vista della prossima, temuta follia. 

Non si è fortunatamente verificata una terza volta, anche se il rischio si è corso ripetutamente. L’orrore era stato evidentemente tanto e tale, che ci si è fermati ad una, seppur ferma e dura, contrapposizione ideologica.

Un mondo che scampa un conflitto senza confini, sembrerebbe capace di arrivare ad un grado di civiltà e di evoluzione dove al centro di tutto è posta la persona e i suoi imprescindibili diritti. Un contesto dove la Dichiarazione stilata con tanta cura e dovizia, sembra esserne il giusto testamento.

In questo nobile atto di fede verso la natura umana, abbiamo deciso che gli esseri appartenenti alla nostra specie non possono fare a meno di diritti, di cui i più importanti sono quelli di libertà ed uguaglianza. 

Non a caso sono sanciti nei primi due articoli e scaturiscono dopo una Rivoluzione, la più famosa di tutte, quella francese, dopo la quale fu chiaro che l’uomo non aveva nessuna intenzione di essere uguale ad un altro. Infatti voleva essere più ricco, più potente, più fortunato e se possibile assomigliare ad un dio.

Ma se dopo una Rivoluzione e due guerre, immischiamo le emozioni e dichiariamo che l’essere umano non può non essere rispettato, anche se la pensa diversamente, prega in orari diversi, o non si scotta al sole, perché stiamo ancora a questo punto? 

Al punto in cui un bambino è costretto a vivere in un contesto di guerra o a lavorare perché troppo povero e per questi motivi non può ricevere un’istruzione.  

Se una generazione in erba non evolve, tutti gli altri diritti perdono di senso. Pare che non ce ne rendiamo conto, fino a quando arriva qualcuno che con le parole giuste grida la soluzione a tutti i problemi e prende il sopravvento. 

Vorrei non essere ancora in vita per raccontarlo.


domenica 4 dicembre 2016

La rivincita dell'uomo comune


La notizia dalla quale vorrei partire è quella del finto sequestro ideato da Lapo Elkann, più noto come giovane rampollo della famiglia Agnelli. Dopo un festino a base di droga che si sarebbe tenuto nella casa di una prostituta transessuale, finisce tutti i soldi a disposizione e decide di inscenare un finto sequestro per ottenere denaro dalla famiglia. 

Già la notizia in sé potrebbe far venir voglia di scrivere qualche riga a proposito degli eccessi di una vita denarocentrica e tutti i beni e i piaceri che ci si possono comprare e l’assoluta mancanza di valori e bla bla bla. Ne potrebbe uscire fuori un articolo del quale non sarei orgogliosa, perché frutto di una retorica fin troppo a buon mercato, ottenuta sfruttando un fatto che rimane comunque privato, anche se coinvolge un personaggio pubblico. Allora vi chiederete perché ne sto parlando, smentendo la premessa e i suoi buoni propositi.

Ho pensato di dedicare queste righe alle reazioni che sui social network, la stampa e l’opinione pubblica in generale un fatto del genere può generare. Come al solito la realtà supera la fantasia e quello che esce dalla bocca delle persone, fa concorrenza agli acidi più corrosivi di cui la chimica è capace. E alla fine si perde di vista il vero paziente, colui che ha bisogno di una cura di valori forti, quelli che non li compri neanche barattando il bene più costoso. Le parole più gentili che si possono leggere in giro sono “drogato” o “viziato”, per non parlare dei commenti che un simile scenario erotico può scatenare.

Una mia amica scrive su Facebook la sua amarezza per aver letto tante parole ironiche, vignette che sbeffeggiano e battute quasi scontate e nessuno che sa leggere tra le righe, e neanche troppo, di un estrema fragilità dell’essere umano. Ed è lei che ha suscitato in me il desiderio di mettere nero su bianco queste riflessioni. 

Una persona che si spinge ad un abuso di droghe fino a toccare l’eccesso di un’autodistruzione mi fa solo venire voglia di aiutarla a non sprofondare ancora più giù, fino al punto in cui capisci che la felicità che puoi comprare non è di lunga durata, il prezzo da pagare è troppo alto e non si misura in dollari.

Arrivati a questo punto dovrebbe scattare un dignitoso silenzio ad alleggerire, se possibile, una situazione adeguatamente degenerata ed invece, dal momento che non stiamo parlando di una persona comune ma di un ricco imprenditore allora è giusto affondare la lama fin dove l’osso lo permette. 

Ed è qui che per me scatta un’associazione quasi automatica con un altro articolo in cui lessi di aspre critiche mosse alla figlia di una famosa cantante o di una top model. Offese duramente, va sottolineato che gli insulti provenivano quasi esclusivamente da donne, senza troppa riverenza per la giovane età. La loro sfortuna non era tanto quella di essere nate non proprio bellissime, ma piuttosto quella di vantare un conto corrente a sei zeri mentre ancora dormivano sonni beati nell’utero.

Siccome loro come Lapo incarnano il sogno infranto di tutti coloro che vorrebbero vivere in tanto agio, allora se capita qualche fatto che li riporta ad un piano più terreno come può essere la capacità di creare bruttezza o quella di annientarsi definitivamente, tutti si sentono più tranquilli ed anche in vena di scherzarci pesantemente su. 

Giustizia è fatta, tanto loro, in caso, i soldi per farsi aggiustare da un esoso psichiatra ce l’hanno e aver infierito non fa sentire colpevoli. Per buona pace di tutti. Tranne di quelli che hanno capito che ognuno di noi, con o senza soldi, è vittima di una società malata, tristemente incentrata sull’apparenza e la ricerca di affermazione personale. E la persona non è al centro. 
Altro che sonni tranquilli.