Se pensassi che il diamante può suggellare l’amore che dura fino alla fine dei giorni, allora sarei davvero combattuta. Per il fatidico anello credo che alla fine opterei per un materiale inusuale per l’occasione, poco elegante, ma perfetto rispetto al messaggio che deve ribadirmi giorno dopo giorno: la plastica, perché no, un innovativo quanto originale anello in plastica.
Sarei certa che starebbe lì, eterna, immutabile, a ricordarmi l’amore che non si consuma mai. O come la definiscono gli scienziati: pervasiva, perché si infiltra ovunque, anche nei meandri più nascosti e lì ci rimane, per sempre. Appunto come l’amore tra persone, almeno nelle comuni aspirazioni.
Anche quando non rimarrà abbastanza petrolio da utilizzare, ne avremo sparsa a sufficienza per il mondo da non farci dimenticare che specie inquinante siamo. E l’amore eterno diventerebbe l’orrore eterno.
Anche se la maggior parte finita sul fondo dell’oceano rimarrà lì per molti, molti anni ad intossicare gli animali; quelli che sopravvivono la ingeriscono, rimandandola al mittente, attraverso la catena alimentare.
Non è tanto la plastica di grosse dimensioni a preoccupare, quanto le microplastiche, piccoli rifiuti che finiscono negli angoli più nascosti del globo, nelle fosse oceaniche ancora tutte da scoprire.
Si stima che questo materiale costituisca il 50-80% dei rifiuti che inquinano l’oceano, ma sono dati approssimativi in quanto in fase di studio e lo sono anche i metodi analizzati per rimediare ai danni.
È importante investire nella ricerca che soltanto negli ultimi anni ha subito un’accelerazione in quest’ambito, fondamentale anche solo per stabilire quanto questo derivato abbia inquinato, la mappatura globale di un consumo sfrenato.
Ma da dove viene tutta questa spazzatura? Dai rifiuti lasciati in spiaggia, degradati dal sole e dall’acqua di mare diventeranno particelle piccolissime, il resto è noto.
L’articolo di Nature mi ha poi illuminato su altre insospettabili fonti. I frammenti di pneumatici che dall’asfalto finiscono nelle fognature e poi nell’oceano, medesima via percorsa dalle microsfere aggiunte ai prodotti cosmetici e, dulcis in fundo, i rifiuti che volano via dalle discariche mal gestite, trasportati dal vento verso altri lidi.
Di certo noi possiamo fare molto per contenere questo sfacelo. Prima che, come al solito, la scienza salvi noi e i poveri animali marini dal soffocare in questo mare di petrolio in forma solida, possiamo e dobbiamo agire. Ridurre la quantità di rifiuti generati, smaltirli adeguatamente e farli rinascere sotto forma di altri prodotti.
Diminuire i consumi alimentari, preferendo il pesce allevato a quello pescato, ed in generale di tutto ciò che si trova all’interno di recipienti. In questo modo diminuisce il numero di contenitori e per quelli che gettiamo via, il vivere civilmente vorrebbe che venissero smaltiti adeguatamente, la spiaggia non rientra tra i luoghi ideali.
Il presidente Obama ha dato vita all’oasi marina protetta più grande al mondo, quadruplicando la superficie del parco marino già creato nel 2006. Si trova alle Hawaii ed è un paradiso in Terra, ma neanche quel luogo incantevole si è salvato dalla mano devastatrice dell’uomo.
Nel 2014 è stata rimossa dall’area protetta una rete da pesca dal peso di quasi 12 tonnellate, e l’articolo ci ricorda come le reti e l’attrezzatura da pesca sia una pesante fonte di inquinamento marino.
Si dice che gli spiriti degli antenati indigeni aleggino ancora su quelle acque cristalline.
Chissà che, prima o poi, non riusciremo a far scappare anche loro.
La battaglia per controllare la plastica
L'oasi marina più grande del mondo
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