domenica 26 giugno 2016

Negli abissi il blu più profondo, bizzarre creature marine e un pò di ... spazzatura


Qualche giorno fa avevo visto un documentario sugli abissi marini e le incredibili creature che li popolano. Un bellissimo filmato all’interno di una serie riguardante il Pianeta Terra sul canale digitale Netflix. 

Sono rimasta affascinata dalle meraviglie che caratterizzano queste oscure profondità e ancor di più dal monito lanciato dal narratore alla fine della proiezione. Dobbiamo rifletterci tutti, ne va della nostra stessa sopravvivenza. Ma andiamo per gradi, è necessario infatti che faccia qualche accenno a cosa, di incredibilmente prezioso, rischiamo di perdere.

Tra queste profondità cariche di un blu scuro come la notte, si aggirano esseri viventi di tutte le dimensioni, con sfumature di colori difficilmente riproducibili, con l’unico scopo di nutrirsi per continuare a navigare in queste acque cristalline. Devono dare seguito alla loro specie e questa è la costante che in natura lega tutte le creature, ed ogni mezzo è buono per riuscire nell’intento. Si può assistere anche a lotte crudeli alla ricerca di nutrimento, ma non vi sono altre finalità all’infuori della sopravvivenza. 

Anche in questi abissi a chilometri di distanza dalla superficie, la vita brulica, anche nei posti più inospitali. Basti pensare che gli oceani rappresentano il 90% delle aree del pianeta in cui la vita può prosperare, per arrivare a credere che questa è possibile anche in condizioni a dir poco inospitali. Sotto i fondali dell’Oceano Atlantico, una catena vulcanica lo percorre per 72000 chilometri, dividendolo in due. 

Da alcune fessure al suo interno fuoriesce acqua surriscaldata carica di minerali disciolti, un cocktail di sostanze chimiche a 400 gradi centigradi, tossico e letale per tutti, ma non per una specie di batteri che qui prosperano, diventando fonte di nutrimento per altre specie.

Dalla forma di vita più semplice si passa a quella più grande di tutto il pianeta: la balenottera azzurra che può arrivare a 200 tonnellate di peso, il doppio del dinosauro più grande. Si nutre di krill, crostacei simili a gamberetti, arrivando a consumarne 4 milioni al giorno. 

La sua vita è legata alla costante fertilità degli oceani e purtroppo questa è ormai seriamente minacciata dai cambiamenti climatici. Il plancton non fiorisce e a queste enormi creature manca il necessario nutrimento, tanto che oggi ne rimangono meno del 3% di esemplari.

Ma se il plancton scarseggia, l’uomo ha pensato di far fiorire tra i fondali, un’altra specie, tutta nuova e di sua particolare produzione: l’immondizia. 
Una spedizione scientifica giunta nella fossa delle Marianne, ha fotografato splendide creature colorate, e con somma sorpresa, nel mio caso mista a sdegno: un contenitore di plastica, una lattina di birra ed un sacchetto di plastica. 

Chissà quanti chilometri avranno percorso, lontano da chi avrebbe dovuto gettarli nei luoghi opportuni.
Stiamo in tutti i modi attentando la vita animale e vegetale in ogni dove di questo pianeta, ma non potremmo farlo a lungo, a nostro piacimento. 

Ci sarà un momento in cui la resa dei conti sarà drammatica, ma sarà troppo tardi. Possiamo ancora invertire la rotta.
Concludo con le parole del narratore del documentario, non devo aggiungere nulla.

“Il nostro pianeta è ancora ricco di meraviglie. Nelle nostre mani abbiamo la sopravvivenza dell’intero regno naturale del nostro pianeta, possiamo distruggerlo o conservarlo: sta a noi scegliere.”


domenica 12 giugno 2016

Lettera aperta al maschio contemporaneo


Lo ammetto, la fonte dalla quale parto per scrivere questo post utilizza un linguaggio molto colorito e non fa parte del mio stile. Ma come potevo ignorare un messaggio talmente ironico da essere dissacrante, così diretto da risultare veritiero, all’apparenza tanto superficiale per svelarsi poi paradossalmente profondo?

E soprattutto non potevo ignorare il fatto che fosse una donna a scrivere apertamente ad un uomo, mettendo onestamente in discussione sé stessa, il contesto e certo anche lui, spettatore confuso di importanti cambiamenti.
Ci troviamo di fronte ad un contesto profondamente cambiato, dove l’innovazione tecnologica ha invaso la sfera delle relazioni sociali. 

Le immagini contano più delle parole e spesso quest’ultime si preferisce digitarle piuttosto che esprimerle a voce. Con la concreta possibilità di ritrovarsi a fare sesso virtuale piuttosto che nella sacra intimità di un’alcova. E alla fine si rischia pure di accontentarsi di ciò che si può avere a buon mercato, rinunciando a raggiungere la versione in carne ed ossa.

Un vecchio proverbio dice che il troppo storpia, e sta ad indicare che ogni eccesso è controproducente, quindi penso che se i mezzi invadono le nostre menti di immagini erotiche, si rischia di ottenere l’effetto opposto. Maggior numero di merce esposta, minor desiderio di acquistarla. Ci si mettono pure i cambiamenti culturali che hanno reso la donna di certo più indipendente, i generi incerti e i costumi più facili. 

Abbondanza di riferimenti alla sacra virtù della donna che si somma alla facilità con cui, rispetto al passato, ci si può arrivare, che portano il vecchio cacciatore a ritrarsi, impaurito e confuso. Senza neanche imbattersi nel tradizionale, laborioso corteggiamento, lungo certo, ma per questo affascinante. Si diventa veloci ed immediati come vuole la realtà 2.0, se non ottengo subito ciò che cerco, passo ad altro.

La parte che più ho apprezzato è quella in cui la donna fa autocritica, un esercizio sempre di grande difficoltà. Insomma, perché mai l’uomo dovrebbe affaticarsi tanto a raggiungere la sacra virtù se questa appartiene ad una donna in eterna contraddizione, che vuole una cosa e il suo esatto opposto, emancipata ma se si tratta di pagare il conto al ristorante… no grazie, in perenne ricerca di un equilibrio, in apparenza desiderato ma nei fatti regna il caos?

Tutto questo accade nella società dove conta ciò che appare, dove un pelo fuori posto ci fa sentire a disagio, dove le umane fragilità si cerca di cacciarle in fondo in fondo, nel pozzo delle cose da nascondere. L’importante è che sembri una cosa diversa, priva di difetti e sbavature. 

La verità è che non siamo affatto così, paradossalmente questa società ci fa crescere molto meno perfetti di quello che vorrebbe mostrare. E noi siamo lì, con molte insicurezze e poche certezze, pensando di essere tra i pochi sfortunati.

Basterebbe guardarsi, noi tutti che ne facciamo parte, con meno sospetto  e maggior benevolenza, e ricercare un contatto fisico autentico, privo di artefici.

Perché, come dice la donna della lettera: “…serve a riscoprirci umani. Fatti di carne e istinti e sapori e odori, così come siamo. Non come appariamo.”