venerdì 27 maggio 2016

Buon compleanno blog!


È passato giusto un anno da quando ho cominciato quest’incredibile avventura. Un esperimento di cui ovviamente non potevo conoscere l’esito e quindi ancor più intrigante. Stavo per terminare la terza stesura del mio primo libro e mi sono detta che potevo tentare un’altra avventura: scrivere un blog. Certo i dubbi erano tanti, in primo luogo che contenuti offrire e soprattutto a che scopo. 

La prima cosa da capire riguardava proprio il blog, un mondo che non conoscevo. È così che funziona quando si dà vita ad un’impresa, di qualsivoglia entità: conoscere bene il campo nel quale si vuole agire, per non andare incontro a inevitabili delusioni. Ho trovato molto materiale a proposito, gente che dava consigli agli aspiranti blogger e molti blog di successo da studiare. 

Tutti dicevano di cimentarsi in una materia conosciuta bene e sfruttarla per fare in modo che fosse utile al pubblico. Dare consigli, suggerimenti o quant’altro invogli la gente a cliccare quell’indirizzo per saperne di più. 
Poi dando un’occhiata ai blog famosi, quelli con milioni di click, mi sono resa conto che in quei casi era solo una questione di nome altisonante, da spremere fino all’ultima goccia. Ed ecco lì la borsa di marca o la linea  autoprodotta da quel nome famoso e ovviamente la spinta pubblicitaria è enorme, le vendite altrettanto.  

In questo marasma di dollari e ambizione all’ennesima potenza, cosa potevo offrire io e quale doveva essere il mio obiettivo?
Mi piace scrivere ma questo non bastava. Perché volevo che le persone mi seguissero?  
L’affermazione personale non rappresentava una priorità, anche se come appartenente alla categoria degli umani, mi piace cimentarmi in un’impresa che abbia successo, altrui approvazione compresa. 

Dopo tanto ragionare ho avuto un’idea illuminante. Ho sempre voluto contribuire alla crescita della società, quindi perché non sfruttare la mia scrittura e la risonanza di una piattaforma come quella di Google?
Ho a cuore il futuro della Terra e quello di un’umanità che si sta perdendo. Mettere la mia competenza di scrittrice a favore di queste due cause, mi è sembrato un nobile scopo. 

Credo che tutti possiamo e dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere su questo pianeta e purtroppo il tempo ci sta dimostrando che il nostro stile di vita è incompatibile con la buona salute dell’ecosistema ed è nostro dovere agire nelle nostre possibilità per invertire la rotta.
Stiamo distruggendo la natura nella quale viviamo e pian piano perdiamo quella umana, tra massacri e desiderio di affermazione individuale. 

Una società dove non prevalgono valori di solidarietà e rispetto reciproco rappresenta un fertilissimo substrato dove si innescano ulteriori tragedie, in un sanguinoso circolo vizioso. Insomma una società migliore cresce individui migliori ed anche in questo caso è nostro dovere renderla un bel posto dove vivere. Come?

Nel mio caso, dal momento che mi diletto a mettere nero su bianco, non mi rimaneva altro da fare che sfruttare quest’abilità per scrivere di alberi, mari e umane debolezze. Un pit stop nella rete dove fermarsi a riflettere, su quanto ogni nostra azione o omissione influenzi l’equilibrio di ciò che ci circonda.
Obiettivo ambizioso il mio, ma non ancora sufficiente per arrivare ad un prodotto di qualità. 

Per fare la differenza in una baraonda di notizie fasulle, giganti bufale e grandi menzogne passate per limpide verità, dovevo offrire un’informazione di qualità, seria, di pubblica utilità e non autoreferenziale. 

Ciò sarebbe stato possibile solo verificando la bontà delle notizie che intendo commentare, e accertare che le fonti dalle quali provengono siano attendibili, per esempio utilizzando solo siti autorevoli, di rinomato rigore scientifico. Sembra una banalità, in realtà è un vero lavoro che comporta un dispendio di tempo e fatica. Le cose più belle comportano un sacrificio e l’avevo messo in conto.

A questo punto dovrei essere soddisfatta di quanto realizzato ed invece sento che ancora non basta. Manca la classica ciliegina sulla torta.  
Cosa rimarrebbe di tante parole seriose, nobili intenti e caldi inviti alla gentilezza, senza la compagnia di un sorriso, radioso, ammaliante o ammiccante?
Quello che cercherò di strappare tra una profonda riflessione ed un attento ragionamento. 

Un invito ad affrontare la vita con serietà, senza prendersi troppo sul serio.
Se riuscirò in quest’ultimo intento, allora potrò aggiungere candeline sulla torta.

Per il momento posso solo essere soddisfatta di festeggiare un anno di vita di questo incredibile, affascinante, avventuroso viaggio senza mezzi di trasporto.


domenica 15 maggio 2016

L'italico mare? Una fogna a cielo aperto


Devo dire la verità: leggere certi dati mi intristisce, subito dopo avermi fatto venire i brividi. Successivamente alla tristezza subentra la riflessione con le conseguenti domande che mi pongo e che non possono trovare, purtroppo, una risposta logica. I dati a cui faccio riferimento sono quelli che riguardano gli scarichi fognari delle regioni italiane, che inquinano i fiumi che poi si gettano nei tanto decantati mari. 

Con il loro carico di sostante chimiche non trattate, metalli pesanti e germi patogeni che vanno ad inquinare e per essere più precisi, anche ad infettare il Mar Mediterraneo. Un terzo dell’Italia getta gli scarichi direttamente in mare, senza neanche una di parvenza di pudore, tanto che il report di Goletta Verde registra un 45% di acque costiere con cariche batteriche superiori ai limiti di legge. 

Sembrerebbe che una gran parte di italiani utilizzi una fognatura non allacciata ad un depuratore, o, quando questo esiste, non è funzionante; parrebbe che le autorità che dovrebbero controllare tali “anomalie” esistano solo sulla carta; potrebbe essere sconcertante pensare che una gran parte di italiani è rimasta ferma al Medioevo, minimamente raggiunta dal progresso tecnologico. Se fossero solo delle pericolose ipotesi si tratterebbe di un altro Stato ed invece, dal momento che è la realtà, parliamo della vituperata Italia. 

E questa nostra ennesima, poco onorevole, “particolarità”  ovviamente non è sfuggita alla Corte di Giustizia Europea con conseguenti, pesantissime sanzioni a carico delle singole regioni, con la sola Sicilia che si troverà a sborsare la modica cifra di 185 milioni di euro. 
Il paradosso riguarda proprio il flusso di soldi che usciranno per pagare tali “inadempienze”, contro un’ancor più consistente cascata monetaria che sarebbe dovuta entrare nelle casse delle regioni, in termini di fondi sia europei che nazionali, per mettere in atto la depurazione delle acque. 

In questo caso però la possibilità di smentire il vizio tipicamente italico di giocare al mago apprendista con i soldi pubblici, non viene colta e i soldi ritornano clamorosamente al mittente.
Le domande suscitate dalla lettura di questi dati sono molteplici. Nel mio caso, la prima riguarda il fatto che sia un giornalista, per quanto di prestigio, a doverci ragguagliare di tale situazione e non lo facciano le persone che amministrano la cosa pubblica. 

Già a proposito, in tutto questo parlare mi sono dimenticata di dire quanta parte hanno avuto coloro preposti a spenderli quei soldi, a metterlo quel depuratore, ed in molti casi a farlo funzionare. Mi duole dirlo ma sembrerebbe che tali amministratori abbiano preferito andare a farsi un bagno, ovviamente in mari stranieri, ben lontano dal loro malgoverno, anzi nongoverno. Anche se è solo una mia ipotesi e magari invece di andare al mare, sono rimasti sulla terra ferma, di certo in altre faccende affaccendati.

Comunque la prossima volta che si indirà un referendum che riguarda il mare, sarà opportuno usare i giusti termini. Il referendum sulle trivelle sarebbe diventato il referendum sulle trivelle nel mare di letame e magari l’attenzione si sposterebbe sui problemi seri, perché questo lo è, drammaticamente.

Intanto, appena si presenterà l’occasione di fare un bagno, ovunque mi trovi lungo le italiche costiere, ci rifletterò.
Non si sa mai, giusto per non prendere qualche seria infezione, anche perché ne conoscerei l’origine. 
Ed almeno io, ci tengo alla mia salute. 

Il politico che ho contribuito ad eleggere, invece, la attenta continuamente.



domenica 8 maggio 2016

L'estremismo... a due passi dalla dittatura


Qualche settimana fa ho pubblicato un post sulla tendenza del mondo della moda a fissare taglie impossibili alle modelle che vedono il loro giro-vita strozzarsi o allargarsi in deroga al più elementare principio di rispetto della persona. Allora ho pensato che l’unico antidoto fosse promuovere uno stile di vita sano e rispettoso dell’ambiente e delle aspettative, ed è stato a questo punto che una mia amica mi ha chiesto se per caso non fossi un’estremista vegana. 

Io ovviamente ho allontanato subito la possibilità di una tale etichetta, chiedendomi subito dopo il perché, anche solo l’idea di apparire come un’estremista mi spaventasse tanto.
Non avevo altra scelta che cercare il termine sul dizionario e la risposta era presto data: colui che segue e propugna idee, tendenze e metodi intransigenti ed estremi, specialmente nella politica. 

E visto che le tendenze ed i metodi dell’estremista sono intransigenti era opportuno cercare il significato anche di quest’altro termine: l’intransigente è quello che non transige, non indulge, non concede. Che è irremovibile nelle proprie idee, nei propri programmi ed è rigido nel farli osservare.
Quindi se è vero che il campo nel quale meglio si possono spendere questi termini può essere quello della politica, la realtà odierna ci insegna che la tendenza alla rigidità mentale è propria di persone comuni, insospettabili travestiti da innocui democratici. 

La mia amica aveva ragione a farmi questa domanda, potrei in effetti sembrare un’integralista del ravanello & C. ed ancora una volta mi trovo a che fare con un termine che non ispira niente di buono ed il dizionario mi dà ragione. Infatti l’integralismo è un esasperato rigore nell'applicare i princìpi di una dottrina nell'ambito sociale, culturale o religioso. 
Anche in questo caso l’apertura al prossimo ed ad eventuali conciliazioni con altre idee è un’utopia e non è certo un passo verso l’evoluzione della specie, obiettivo al quale dovremmo sempre tendere.

Insomma tante facce di un unico modo di vedere la realtà, o bianco o nero, senza sfumature, con un giudice interno, irragionevole ed irremovibile tanto con il prossimo ed ancor di più con sé stessi.
Il dittatore è quindi colui che meglio risponde a questo ritratto monocolore, ma che c’azzecca Hitler o Stalin con il rigido consumatore di fiori e raperonzoli? 

All’apparenza nulla, anche solo se ci si sofferma a pensare a quanta parte hanno avuto questi individui nella storia dell’essere umano, rispetto ad un “innocuo” consumatore di fibra vegetale. Innocuo fino a quando non deciderà anch’egli di imporre le sue idee alla collettività, considerandole le uniche accettabili. 

Il problema nasce quando un illogico pensiero, privo del minimo buonsenso o riscontro scientifico, emerge dalla propria sfera di circuiti neuronali con l’insana ed incontrollabile smania di violare le altrui menti e plasmarle fino a convincerle che la propria teoria è quella vincente. E la storia ci insegna che non è così difficile, se si possiedono le giuste caratteristiche di personalità. 

Ecco che allora il rigido vegano è un estremista per di più dittatore se impone la propria dottrina al figlio in crescita portandolo ad uno stato di carenza di nutrienti o il rigido boicottatore di vaccini comincia una campagna di denigrazione priva di un riscontro scientifico che avalli la sua teoria, provocando però gravi danni alla comunità intera.

L’antidoto migliore è quello di portare ogni individuo a ragionare autonomamente, attraverso l’uso di generose dosi di buonsenso, in modo da essere poco o per nulla influenzabile da bizzarre o ancor peggio folli idee. Ed ecco che il dittatore in erba verrebbe privato del suo primario nutrimento. Le altrui menti da modellare a proprio gusto.

Non mi sembra compito banale, ma bisogna approfondirlo. Come al solito in un prossimo spazio concessomi dalla rete.