La mia prima fiera del libro come autrice, dopo l’uscita di Quando le foglie scadono e l’esperienza è stata travolgente esattamente come la folla che invadeva La Nuvola. Il nuovo palazzo dei congressi di Roma architettato dalla star delle moderne costruzioni Massimiliano Fuksas ha aperto i suoi enormi ingressi ad una moltitudine di persone curiose disposte lungo una chilometrica fila.
Per la prima volta non ero una semplice spettatrice alla ricerca di un titolo accattivante o di un classico da regalare a chi non ha voglia di sperimentare un nuovo autore, questa volta c’era anche la mia opera. Desiderosa di essere giudicata, criticata, messa alla prova da chi non ha la minima idea di chi tu sia.
Ho incontrato molti altri autori, esordienti e veterani, che non attendevano altro che qualcuno si fermasse allo stand e desse anche un’occhiata furtiva al loro libro, per poter poi convincerli ad acquistare il prodotto. Perché alla fine un libro si riduce a questo e quanto ci può essere di affascinante ed emozionante nella sua stesura, si perde nelle strategie di marketing e nei conti dei numeri di copie vendute.
In realtà l’autore ha sempre delle aspirazioni che spera di realizzare quando decide di scrivere una storia, diventare famoso può essere la più banale. Tutti gli scrittori che ho incontrato ne avevano almeno una, la voglia di dichiarare un proprio punto di vista su un determinato argomento, quella di affermare sé stessi, o semplicemente esprimere un’innata passione con tutti i vantaggi che comporta sulla salute psicofisica.
Di certo la volontà comune è quella di riuscire a divulgare il più possibile il frutto di un lavoro magari di anni, la speranza è che il pubblico lo apprezzi. Se dietro questo bisogno di riscontro del pubblico, ci sia un inconfessato narcisismo è un dubbio lecito.
Gli artisti mostrano sempre un qualcosa di sé stessi e si aspettano un giudizio positivo da parte della collettività che li giudica. In ogni caso nulla di più utile in una società in cui vi è così necessità di evolvere verso altri gradi di civiltà.
Quella italiana in particolare ha bisogno che la cultura prenda il sopravvento rispetto ad uno stallo che ci fa stazionare nel limbo della barbarie intellettuale dal quale nessuno dimostra di voler uscire. I numeri parlano chiaro, nel nostro paese si legge pochissimo e sembra che anche i pochi imperterriti rischiamo di perderli, relegati nella loro roccaforte di fede intellettuale in cui ancora si crede che la lettura abbia un fondamentale valore per la crescita della società.
Se a qualche politico interessa saperlo, la crescita sarebbe anche economica, tanto per avere una motivazione a mandare ogni tanto uno spot istituzionale su quanto faccia bene leggere. Certo se il livello della politica raggiunge un grado di preparazione accettabile, allora il messaggio risulta certamente più credibile. E magari un giorno gli emarginati potrebbero essere quelli che oggi dedicano il tempo della lettura all’utilizzo di dispositivi informatici, anche se, è bene chiarirlo, l’uno non esclude l’altro.
Infatti ci si dedica molto alla lettura in paesi come il Canada o in Norvegia dove la rivoluzione digitale è arrivata molto prima che dalle nostre parti, semplice volontà di non rimanere all’età della pietra o della ruota.
A questo punto esaurite emozione e soddisfazione per il traguardo raggiunto, mentre osservo la copertina del libro nel mare magnum delle altre copertine, mi dò appuntamento con gli altri autori alla grande prova di Torino, un salone che non ho mai frequentato e dove c’è tutta l’editoria che conta.
Spero di vedere altrettanta folla come quella che ha visitato la novità architettonica romana, realmente interessata ad immergersi nella generosa ed inebriante offerta editoriale piccola e grande.
O forse erano tutti i lettori d’Italia messi insieme?
Nel dubbio non resta che augurare a tutti noi, autori artisti sognatori, che proviamo a scalfire con forza quest’immobilità culturale nella quale siamo impantanati, di riuscire a smuovere un granellino per uno.
Può darsi che per la fine del secolo ce la faremo a risalire la china.
Sempre che nel frattempo non siamo stati surclassati da tutti gli altri, ma proprio tutti.
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