domenica 26 novembre 2017

Se l'orso diventa vegano, non per moda


In occasione del Black Friday mi sono ritrovata al centro della città di Roma in un famoso negozio a più piani nel pieno di un vortice di compulsione consumistica pre-natalizia.  Mentre le facce fameliche si aggiravano intorno alle occasioni da non farsi scappare, io cercavo di consigliare al meglio chi stavo accompagnando. 

Non sono la persona più adatta per questo genere di suggerimento, in primo luogo perché non seguo la moda ed in genere mi vesto come mi va senza seguire un canone o un orientamento generale. Ed infatti quando ci siamo addentrati nel reparto donna, la persona che era con me sapeva che non avrei comprato niente, ma non aveva idea che l’unica cosa che mi sarebbe venuta in mente davanti ad un elegantissimo e morbidissimo maglione sarebbe stata la sua inadeguatezza rispetto al momento storico. 

“Mi piace, ma a cosa serviranno più? Con il riscaldamento globale potrebbe diventare fuori moda.”
Lui si gira e, con un’espressione di chi la pensa esattamente come te anche se non lo ammetterebbe mai, mi sorride: “Eh si, infatti!”

Probabilmente dentro a quello scintillante negozio molti altri avrebbero detto la stessa cosa, pur continuando ad acquistare quanto programmato nell’illusoria convinzione che possiamo proseguire con il nostro stile di vita senza preoccuparci del contesto.

I cambiamenti sono sempre difficili da mettere in atto, perché si tratta di rivedere principi e comportamenti, il nostro agire, in pratica noi stessi. Insomma un bel lavoro di aggiustamento che non nasce spontaneamente a meno che non ci sia una forte motivazione a dare il via. La difesa dell’ambiente non è evidentemente così forte, perlomeno non per tutti. 

Capita però che anche quando non abbiamo voglia di modificare nulla che ci riguardi, veniamo messi con le spalle al muro dal resto del mondo, da chi ci circonda, dalla vita, da tutto quello che prosegue nonostante la nostra volontà. Alla fine faremo anche noi parte del cambiamento, che piaccia o meno. E questa trasformazione potrebbe non essere proprio indolore. 

Una conferma l’ho avuta stamane, successivamente all’ubriacatura di luci e specchietti attorno ai pesanti e caldi capi invernali in pre-saldo, scorrendo gli articoli del National Geographic.  L’articolo in questione riguarda il triste declino degli orsi polari in una città canadese che affaccia sulla Baia di Hudson ed esordisce con l’amara constatazione sull’aumento delle temperature che avrebbe fatto diminuire il periodo di congelamento della Baia e quindi la presenza degli orsi. 

Nel 2050 potrebbero scomparire del tutto, ma prima di arrivare a questa drammatica conclusione, già assistiamo ad un mutamento nelle loro abitudini, in primis alimentari. In questi ultimi tempi si è sentito spesso parlare del mangiare vegano, un’alimentazione che prevede il prevalente consumo di vegetali, come naturale messa in atto della filosofia secondo la quale deve essere abolito ogni atto di sfruttamento e crudeltà verso il mondo animale. 

Che prenda origine da un viscerale principio o da un insulso allineamento di pensiero per sentirsi più chic, per noi rappresenta comunque una scelta. Se l’animale stesso che vogliamo preservare, decide di fare la stessa cosa, vuol dire che qualcosa non va nel verso giusto. In ogni caso significa che quel cambiamento che vorremmo evitare, per il quale giriamo la faccia dall’altra parte, è già in atto.  

L’orso polare per sopravvivere si sta nutrendo di alghe, bacche e quanto ormai riesce a trovare nello spazio che lo circonda, non più immerso nella neve, non più bianco e ricco di foche o trichechi, suo naturale nutrimento. Scorro la galleria di foto e quel caldo maglione mi sembra sempre più inadeguato. Una in particolare immortala un momento ad un anno di distanza, la Baia a novembre 2015 con -20° e un anno dopo con una minima di + 3°. 

L’orso che si aggira lungo le coste è confuso, frastornato, costretto a mangiare cani e piccoli della sua specie e quando diventa troppo pericoloso verrà narcotizzato, messo in un centro di accoglienza e portato in Antartide. Fino a quando anche quel luogo lo potrà ospitare, fino a quando ci sarà il ghiaccio. 

Possiamo decidere di non essere travolti da un cambiamento di cui neanche la scienza conosce bene la portata, oppure si può scegliere di guidare il cambiamento verso un mondo di serena convivenza con la natura che ci circonda. 

La stessa coesistenza tra esseri umani ne gioverà fortemente. La storia ci insegna che chi non accetta i cambiamenti per rimanere ancorato ai propri assurdi principi, soccombe sotto il peso della sua irragionevolezza. 

La storia si deve sempre ripetere o prima o poi saremo in grado di fare un mea culpa? 

Prima che sia troppo tardi.


domenica 12 novembre 2017

Quando partono i cervelli


In questi giorni si parla di pensioni, l’ennesima volta, e del loro adeguamento all’aspettativa di vita che, buon per noi, si allunga. Quindi le persone che rappresentano la forza lavoro oggi in Italia, dovranno andare a riposo sempre un po’ più tardi, forse per fare posto alle generazioni future. Ma di quali menti parliamo? Chi saranno i prossimi lavoratori, coloro sui quali si fonderà la forza economica e si spera anche intellettuale del nostro paese? 

In realtà questa speranza è molto flebile, ad un punto tale che si sta spegnendo. In termini pratici, di intellettuale rimarranno probabilmente solo i circoli in cui qualche cervello benestante parlerà in maniera distaccata del declino culturale di cui soffriamo da anni e potranno lamentarsene solo loro perché gli altri avranno dovuto emigrare per potersi garantire una vita al di sopra della soglia della dignità. 

Lontano dagli affetti familiari e da una terra che nonostante tutto amano e nella quale avrebbero amorevolmente offerto grande parte del loro immenso sapere. Ma no, questa terra li caccia via senza pietà e al posto loro fa entrare braccia, forza lavoro che non ci farà competere per alcun premio o riconoscimento di eccellenza. Manovali, badanti, pizzaioli che appagheranno il palato ma non la voglia di sapere. 

In effetti se già abbiamo poca autostima di noi stessi, delle nostre potenzialità, perché mai dovremmo avvalerci di geni o anche solo di serie professionalità? 
Perché quando ci si riferisce ai cervelli il pensiero non deve andare automaticamente a ricercatori o studiosi alla ricerca di un nobel, stiamo perdendo anche altro, sempre di qualità. 

Persone che hanno una specializzazione in qualche campo, senza necessariamente essere laureate. Lavoratori qualificati che dovrebbero essere pagati di più perché valgono di più, e qui siamo ad un altro punto cruciale ossia il merito che non viene valorizzato. Seguendo logiche clientelari e che ben poco hanno a che fare con ciò che è giusto, chi rimane fuori sono coloro che per sfortuna o onestà intellettuale si dichiarano al di là di quanto è già deciso. 

Oltre le regole di una sana competizione, al di là dei confini di un paese che non ha nessuna voglia di modificare quest’andamento, forse perché quelli che non vogliono cambiare sono la maggioranza che in questo sistema di cose ne trae enorme beneficio.

E sono qui a domandarmi il perché nessuno si preoccupi di questa emorragia di intelletto che ogni giorno ci impoverisce sempre di più, tanto meno lo hanno mai fatto seriamente i politici di turno, non è una questione così importante da trattare con serietà intorno ad un tavolo?

Mentre prendo atto del fatto che più che evolverci, stiamo perdendo la nostra identità, passo ad un secondo articolo in cui si parla del dramma dei giovani laureati. I quali non solo non vengono adeguatamente orientati su quale sia il corso più adatto alle loro capacità o predisposizioni, da spendere poi sul mercato del lavoro con più facilità, il punto è che non vengono neanche considerati un patrimonio di cui avere cura. 

Insomma i ragazzi vengono abbandonati a loro stessi, come se non fossero una risorsa preziosissima, ma piuttosto carne da macello il cui futuro non ha alcun valore. 

Il risultato è facile da intuire, il numero di laureati si riduce nel corso degli anni, aumentano coloro che abbandonano e soprattutto si perdono numeri nell’alta specializzazione. In pratica si scoraggiano i ragazzi con grandi capacità, le grandi menti del futuro che non lo diventeranno mai, in quanto per adeguarsi al mercato sceglieranno altro per poi finire a fare un lavoro sottopagato che nulla ha a che vedere con il proprio titolo, anch’esso inadeguato. 

Per contro, quelli che seguiranno con caparbietà il loro istinto, per eccellere saranno costretti ad andare altrove, verso paesi che li attendono con ansia per vedere aumentare nel tempo il loro PIL. Stiamo contribuendo in maniera significativa all’involuzione del mondo intero, sì perché siamo bravi in molti campi ed altrettanto bravi a distruggere tanta eccellenza. 

Si dice che il talento di un bambino debbano essere i genitori i primi a riconoscerlo e coltivarlo, allora si può ben dire di quanto sia un pessimo genitore questo paese. Per colpa nostra potrebbe non esserci un altro Einstein, e invece il mondo ha maledettamente bisogno di una mente brillante. 

D’altronde perché preoccuparcene, non è una questione che ci riguarda se siamo fermi con gli occhi al nostro piccolo, insensato mondo.